di Matteo Bressan
I cambi di fronte e le pressioni dei potenti vicini del Libano su una comunità piuttosto che su un’altra sono una costante della vita politica del Paese dei Cedri. Allo stesso tempo la storia del Libano è segnata dall’arrivo degli eserciti stranieri e dalle milizie armate: l’Olp, i siriani, i sauditi, gli yemeniti del Nord, i sudanesi, gli israeliani, gli americani, i francesi, gli italiani e il contingente britannico sono stati sempre ben accolti dal gioioso, scaltro e sospettoso libanese. Tutti gli eserciti che hanno attraversato o stazionato in Libano si sono sempre impegnati a non fermarsi una sola ora, un solo minuto più del necessario, per poi uscire dal complesso scenario libanese frustrati o umiliati.
Questa costante, insieme alla frammentazione comunitaria e confessionale della società libanese, va tenuta in considerazione alla luce di quanto sta avvenendo all’ombra del vertice tra Israele e Autorità Nazionale palestinese. Infatti, pur constatando che il fulcro della difficile partita è incentrato sul tentativo dell’amministrazione Obama – discutibile nei modi – di giungere alla costituzione di uno Stato palestinese, non sfuggono le manovre di Arabia Saudita ed Emirati Arabi di allontanare la Siria da Hezbollah, l’ingombrante Partito di Dio.
In questa direzione vanno anche le dichiarazioni del premier Saad Hariri, il quale, dopo aver per quattro anni puntato il dito contro la Siria quale mandante dell’assassinio del padre Rafiq, ha spiazzato molti analisti. In realtà erano emersi segnali di riavvicinamento già dallo scorso dicembre, quando il giovane Hariri aveva effettuato una storica visita in Siria, la prima delle tante che si sono succedute negli ultimi mesi. In quell’occasione evidenziammo che l’unica strada politica percorribile in vista della stabilizzazione del Libano passava per Damasco. Le dichiarazioni concilianti del premier Hariri, tese a distendere i rapporti tra Libano e Siria scagionando quest’ultima dal coinvolgimento nell’omicidio del padre, lasciano intuire come il vero pericolo sia Hezbollah. Nel giro di un anno, infatti, anche le indagini del Tribunale Speciale libanese hanno attutito le responsabilità siriane, per concentrarsi sul Partito di Dio.
La Siria torna quindi a giocare il ruolo di arbitro e paciere del Libano, e torna ad applicare quella che è stata storicamente la dottrina di Damasco nei confronti del Paese dei Cedri. La Siria, infatti, intervenuta nella guerra civile del 1975 a sostegno dei cristiani maroniti, ha sempre alimentato una latente conflittualità tra le varie comunità senza mai prediligere o sostenere la supremazia di una sulle altre. La stabilità del Libano è stata anche, in passato, un motivo di ricchezza per l’economia della Siria, che ha sempre gestito la tensione con Israele in base alle convenienze regionali e internazionali.
A questo punto, però, la partita sembra essere più difficile del solito. Per tre motivi. In primo luogo perché una politica eccessivamente filo-siriana metterebbe in difficoltà gli equilibri della
Coalizione del 14 marzo, attualmente al governo e nata in chiave anti-siriana. Il secondo problema è poi costituito dall’arsenale e dalla compattezza di Hezbollah, che nel sud del Libano è ormai a tutti gli effetti il vero padrone e arbitro della stessa sorte della missione UNIFIL. Hezbollah, infatti, potrebbe non gradire una restrizione del proprio campo di azione politico e militare e potrebbe saldare ancora di più i propri legami con l’Iran. Il rischio che il giocattolo sia sfuggito di mano e che la situazione possa degenerare è inoltre supportato dall’interesse che lo stesso Ahmadinejad sta dedicando al Libano. Il presidente iraniano, infatti, sarà in visita ufficiale il prossimo 13 ottobre in Libano e, oltre a visitare i luoghi della «resistenza» del Partito di Dio contro l’acerrimo nemico israeliano, potrebbe offrire al Paese dei Cedri nuove forniture di armi in sostituzione di quelle americane. Va ricordato, infatti, che dopo l’incidente avvenuto lo scorso agosto alla frontiera tra Libano e Israele, gli Usa hanno sospeso le forniture all’esercito libanese poiché seriamente preoccupati delle infiltrazioni di Hezbollah all’interno di questo. Non è da escludersi, pertanto, la possibilità che la Siria cerchi di armare e sganciare Amal, il partito del presidente del Parlamento libanese Nabih Berri, da Hezbollah, come gli incidenti avvenuti alla fine di agosto a Beirut ovest sembrano far pensare.
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