Nel corso del 2010 le province italiane hanno pesato per ben quattordici miliardi di euro sul bilancio dello Stato. Di questa somma il settanta percento è stato destinato ai costi di funzionamento degli enti, mentre il residuo trenta percento è stato impiegato per erogare servizi al cittadino. Questo dato ci dice che le province, oltre a dimostrarsi in pratica superflue, sono affette da un’inefficienza strutturale che l’Italia non può permettersi. La verità è che oggi le province non sono più uno strumento dell’azione amministrativa, ma sono divenute solo un gradino nella scala gerarchica della politica: per questo motivo i soldi che dovrebbero servire per la manutenzione delle scuole e delle strade, ad esempio, vengono impiegati per iniziative di marketing politico-elettorale. Di qui l’insofferenza dei cittadini verso questi enti dei quali oggi mal si comprende l’utilità, visto che le funzioni della provincia potrebbero essere svolte agevolmente e con costi sensibilmente inferiori dalle regioni.
Tutti i partiti politici, da anni, hanno sfruttato le province in termini di consenso elettorale: in piazza è stata promessa la loro abolizione, in parlamento ne sono state autorizzate di nuove. Questo atteggiamento truffaldino e strumentale, ribadito nella bocciatura ad opera di PDL, Lega e PD della proposta di legge sull’abolizione delle province presentato da IDV, si ripresenta oggi in maniera ancor più evidente. Il caso è quello dell’aumento dell’imposta sull’RC auto da parte delle province (a ciò autorizzate dal DL sul Federalismo Fiscale): tutti si sono dichiarati contrari, tutti hanno ghermito i propri avversari politici senza preoccuparsi però di quello che stavano facendo i propri colleghi di partito nelle province limitrofe o di quanto era successo in Parlamento solo pochi giorni prima. In realtà nessuno dice che fino a quando le province esisteranno si dovrà far fronte ai loro costi “strutturali” e improduttivi a prescindere da chi amministri politicamente l’ente: Guasticchi (PD) e Podestà (PDL), a Perugia come a Milano, saranno sempre costretti a succhiare risorse dai cittadini per cercare di far quadrare il bilancio.
Finché ci saranno le province tutti avranno qualcosa di cui parlare, in termini più o meno contrari a seconda della convenienza del momento. Nel frattempo il nostro debito pubblico ha assunto proporzioni incomprensibili per un normale essere umano e le risorse accumulate con manovre finanziarie di “lacrime e sangue” svaniscono per le oscillazioni di borsa. La sensazione è che chi siede nella stanza dei bottoni abbia compreso che la crisi economica dell’Italia sia ormai irreversibile. Come dargli torto?
Fabrizio Gareggia
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