di Roberta Capodicasa
Mozia, Motye in greco, Mtwe (filanda?) in fenicio, è una piccola isola dinanzi alle saline dello Stagnone di Marsala. D’improvviso veniamo a trovarci dopo essere stati a Taormina-Naxos, come d’incanto, sulla costa occidentale della Sicilia, potremmo dire nel suo angolo più ad ovest che coincideva in antico con capo Lilibeo. Abbiamo a questo punto percorso da Taormina tutto il fianco nord del trilatero che stabilisce il lato nord dell’isola stessa definita col nome greco di Trinacria (tria-akrai), cioè terra con tre promontori (Pachino. Peloro e Lilibeo) e forma triangolare. Abbiamo abbandonato così le colonie greche della costa est per avventurarci in territorio prettamente Fenicio. Fino ad alcuni anni fa si pensava che la presenza fenicia nel mediterraneo e quindi in Sicilia, si potesse ragionevolmente porre tra la fine del XII secolo a.C. e il secolo seguente, sulla scorta di vari dati e considerazioni cui brevemente accenno: il dato più interessante che costituisce il punto di partenza è il noto passo (dell’immancabile!!!) Tucidide che qui ritengo di riportare per la sua grande importanza: “Abitarono poi anche i Fenici tutte le coste della Sicilia, avendo occupato il promontorio sul mare e le isolette vicine, a causa del commercio coi Siculi. Ma quando poi gli Elleni in gran numero vi giunsero dal mare, lasciata la maggior parte dell’isola abitarono a Mozia, Soloenta e Panormo, vicino agli Elimi, avendole confederate e confidando nell’alleanza degli Elimi e perchè da quel punto, Cartagine dista dalla Sicilia di una brevissima navigazione” (Vincenzo Tusa 1988)”.
Sarebbe bello esaminare attentamente in chiave storiografica questo passo interessante da molteplici punti di vista ma dobbiamo procedere per giungere al nostro isolotto, 45 ettari appena, denominato anche San Pantaleo. Mozia dista appena un chilometro dalla costa. Le testimonianze più antiche provengono dagli scavi eseguiti nei primi anni del 1900 dall’inglese J. Whitaker che, per non avere intralci sul lavoro, vide bene di comprarsi tutta l’isola. Fu anche merito suo la produzione del celebre vino Marsala tipico dell’isola che Whitaker vide bene di produrre oltre che dedicarsi all’archeologia. Fu egli a scoprire le prime necropoli fenicie di Mozia e ad avviare quegli scavi che arrivarono nel corso del Novecento ad identificare Mozia come un luogo di altissimo interesse archeologico soprattutto per la sua fase di maggiore splendore quella cioè di VI e V secolo a.C.: gli scavi attestano infatti che il sito fu poi distrutto nel 397 a. C. e mai più ricostruito. I reperti sono conservati nel Museo Whitaker alloggiato al pianterreno della villa che appartenne all’omonimo proprietario. Era questo il luogo in cui personalmente aspiravo vivamente ad entrare la prima volta che mi recai nell’isola. Il motivo era
vedere quella che considero una delle statue più belle conservateci dall’antichità, il kouros, un ‘giovane’ con una veste insolita: un chitone con sette pieghe di stoffa, abito sottile e insieme ampio, che cinge completamente il corpo atletico della statua secondo la tipologia dello Stile Severo in cui è realizzata. Le pieghe dell’abito sembra che ondeggino in forza del movimento appena accennato che il corpo, in un gioco di onde e di veli che creano una atmosfera molto sensuale, sembra compiere: come dice uno studioso di nome Falsone, “Si ha l’impressione che lo scultore avesse voluto ritrarre un nudo e che sia stato costretto a vestirlo!!!” . La statua è certamente un originale greco della prima metà del V secolo opera di un grandissimo maestro forse ateniese. Si tratta probabilmente di un atleta olimpico punico di cui la statua funeraria celebra la memoria? I discorsi degli studiosi sono sempre aperti a nuove e stimolanti interpretazioni che non arrivano mai a nulla di definitivo lasciando dunque il kouros e la sua storia mitica. Appeso tra Grecia e Sicilia, il suo fascino misterioso si conserva nelle sale di un piccolo museo di una piccola isola fenicia. Per quanto mi riguarda io credo che si tratti davvero di un atleta olimpico vincitore di una gara alle antiche olimpiadi visto l’episodio singolare che mi capitò quando andai a vederlo per la prima volta nell’Agosto 2004.
Appena sbarcata col traghetto dalla terraferma mi recai di corsa, si fa per dire!, all’ingresso del Museo. Si può dire che quasi non parlai con il bigliettaio, una bella signora forse nord europea, che mi vide andare di fretta, ma proprio di fretta! Entrai nella sala dove mi aspettavo di incontrare il kouros girando una sorta di angolo e…la stauta non c’era! Cosa poteva essere successo? Ero confusa e disorientata. La portinaia mi raggiunse in persona e, con fare dispiaciuto, mi disse a bassa voce: “Il Kouros è stato portato ad Atene in occasione delle Olimpiadi, mi dispiace, mi dispiace davvero”. Per alcuni secondi stentai a crederlo. Peccato però!
Fu una delle mie più cocenti delusioni dell’età adulta.
Nota:L’accesso all’isola è consentito solo da due imbarcaderi privati, che oltre a collegare la stessa Mozia alla terraferma permettono di visitare anche le altre isole dello Stagnone. L’isola appartiene alla Fondazione Whitaker, e benché sia aperta al pubblico e visitabile durante gli orari di apertura, è in vigore il divieto di sbarco non autorizzato. Nell’antichità una strada collegava la terraferma all’isola tra Capo San Teodoro e l’estrema punta moziese settentrionale: oggi la stessa via risulta sommersa dal mare.
Da visitare all’interno delle mura, il “Santuario del Cappiddazzu” (in siciliano “cappello largo”) a poca distanza dalla Porta Nord.
Tag: capodicasa, cappiddazzu, di, fenici, giovinetto, isola, kouros, marsala, mozia, museo, roberta, santuario, sicilia, trinacria, whitaker
30 ottobre 2011 alle 17:28 |
Splendide foto!
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