A pochi chilometri dal confine nord della nostra regione, in direzione tosco-romagnola, c’è una piccola frazione abbarbicata sopra un piccolo rilievo dell’Alta Valle Tiberina detto mons Herculis (il monte di Ercole) donde il nome Monterchi, in provincia di Arezzo (fino al 1939 in provincia di Perugia).
Questo borgo, a ridosso del più noto Borgo San Sepolcro, ospita, in un piccolo museo di campagna, uno dei più celebri affreschi di Piero della Francesca e, per la sua inconfondibile iconografia credo, di tutta la storia dell’Arte italiana.
La Madonna del Parto. Il pittore creò questa immagine, sembra, per ricordare la morte della propria madre verso 1460. Non mi vorrei soffermare sulla singolare novità di proporre in una pittura che ritrae la Vergine, una gravidanza reale, fisicamente onerosa, di un uomo-Dio incarnato in un ventre contadino, terragno, niente affatto mistico e spirituale: andate a vederlo!
Quello che mi preme sottolineare è che, il dipinto assume per tragico contrappasso, il simbolo della sterilità attuale delle nostre coppie, e del calo demografico umbro costante, progressivo, che assume ormai da alcuni anni, le sembianze di una catastrofe umanitaria difficilmente reversibile, almeno nella misura in cui, la coscienza genitoriale non si riapproprierà dei valori fondanti la civiltà umana. La prolificità come segno di progresso e sviluppo, di fiducia nel futuro dell’uomo, di reazione contro tutte le crisi esistenziali del vivere umano, sono le coordinate “ontologiche” che vanno via via perdendo di importanza, soppiantate da ben altre ragioni contingenti (crisi finanziaria globale, disoccupazione stagnante, assenza di politiche a favore della famiglia,, nuovi paradigmi nel campo etico-morale, feroci politiche statali per il controllo delle nascite, etc) circa le quali si può più o meno essere d’accordo ma con le quali occorre confrontarsi in modo fattivo e non solo teorico. L’Umbria perde costantemente popolazione (siamo meno di 5-6 anni fa), nel conteggio delle nascite e delle morti e se non supportate da altrettanta immigrazione (Capito? Immigrazione!), il calo progressivo demografico avrà conseguenze rilevanti, non solo per l’economia ma per la società tout-court. Occorre recuperare il senso della nostra umanità, che è fatta di paura dell’altro ma anche di spirito di collaborazione, di sogni e speranze ma anche di pregiudizi, di servitù ma anche di libertà. Non occorre rinunciare alle nostre aspirazioni profonde ma non si può pretendere che il mondo sia pronto a soddisfarle senza lottare. La nostra condizione di creature deve poterci salvare dalla paura della morte sia dall’enfasi dell’ottimismo tecnologico: occorre modificare l’idea che progresso significhi solo muoversi in avanti quando sarebbe necessario salire più in alto.
MASSIMO CAPACCIOLA
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