
Massimo Capacciola
“Sparita l’ultima tonaca, l’universo svanirà nel nulla.”
(G. Bernanos)
Quando penso alla figura del sacerdote cattolico, il pensiero corre ad una figura austera, pensosa ma aperta ad un sorriso accogliente, una specie di parente virtuale cui, una forma di discrezione e timore reverenziale, impedisce di abbracciare in tono confidenziale, ma che tuttavia intuiamo essere ispirato da un gratuito spirito fraterno. La Chiesa infatti, nel corso dei secoli, ha consentito che il delicato servizio pastorale fosse riconoscibile e quindi accolto dai cristiani con sincera apertura e gratitudine proprio anche in virtù di una indiscussa visibilità: la forma era sostanza.
Lo è ancora?
La tonaca, l’abito clericale, la lunga tunica talare hanno rappresentato sempre una garanzia di fede sincera, di autentica vocazione, di indiscussa autorità morale, una piccola sentinella cui aggrapparsi nell’incerta quotidianità.
Pensieri romantici? Immagini decadenti alla don Camillo?
E’ possibile, tuttavia la cruda realtà dei nostri tempi, caratterizzata da evaporazione silenziosa del senso religioso e da una dilagante atmosfera di vuoto spirituale, hanno reso più visibile e marcata la scomparsa di segni esteriori di una fede che non c’è più. Il prete esiste ancora, nonostante il vistoso calo delle vocazioni: è solo che non lo si vede e quindi non si sa dove sia!
“E’ per non essere diversi … per non distinguerci dagli altri” immagino siano le risposte
preconfezionate che essi simulando disagio fornirebbero a fedeli curiosi ed attenti. Appunto! La distinzione e la diversità diviene fardello ed impaccio nell’esercizio di una missione talmente specifica e onerosa (…Andate per il mondo a predicare a tutti la buona novella! Mc. 16, 16/17) che se ne può fare a meno. Non avendo ottenuto che gli uomini pratichino quello che la Chiesa insegna, questa si è rassegnata ad insegnare quello che praticano e così ecco una schiera di pacifisti terzomondisti, di esperti di solidarietà, contenitori alimentari e psicoterapeuti: un borghese in più.
Invece ci sarebbe bisogno della riconoscibilità pubblica del sacerdote proprio per l’assoluta
insostituibilità della loro presenza; se la forma è sostanza, nasce dall’abito la verità di una fede da gridare sopra i tetti. Invece abbiamo solo timorosi questuanti di anonimato, mascherati fuori posto, balbettanti clochard di una fede che non è più verità. La crisi religiosa non dipende certo da questo fenomeno di mimetizzazione, ma alimenta il sospetto che questo ne sia in qualche modo uno dei sintomi più impressionanti. La pubblicità televisiva dell'”otto per mille” o la produzione di fiction di successo (Don Matteo) hanno fatto riscoprire (ai giovanissimi!) una figura obsoleta di curato in tonaca che si prende cura dei più bisognosi e alle prese con crimini irrisolti: se questo deve essere
il risultato della deriva laicista di certo cristianesimo “adulto” allora Cristo è morto invano. Che la Chiesa guarisca tutti i mali della società o sfami finalmente tutte le miserie del mondo potrà interessare l’ateo devoto o il sociologo in cachemire della TV, ma il povero cristo come me ha bisogno che gli si parli del Giudizio, della Resurrezione e del destino della mia anima immortale:
domandarne ragione ad un sacerdote ha ancora un senso a patto di riconoscerlo.
MASSIMO CAPACCIOLA
Tag: camillo, capacciola, don, massimo, matteo, prete, sacerdote, tonaca
Rispondi