
Massimo Capacciola
L’instancabile computo del tempo, l’inseguirsi sicuro dei mesi, la consueta simmetria delle stagioni, la rassicurante cadenza del calendario e la certezza della sua irreversibilità sono i saldi pilastri su cui si è costruita la civiltà umana. Il tempo che scorre segna da sempre l’avvicinarsi di una fine, necessaria perché naturale, non occasionale perciò necessaria. Eppure il mese di Agosto, il mese consegnato dal divino Augusto al riposo e alla cura di sé stessi, rappresenta un elemento di
instabilità strutturale nell’ordinato scorrere dei giorni. Agosto non è mese di mezzo, non è un segnatempo originale, nemmeno un eccentrico intervallo che consenta di pianificare: è semplicemente un tempo caldo, uno strampalato periodo afoso, fiaccante, che toglie volontà e talvolta respiro, compare in cima all’elenco delle cose da evitare, e che, se non fosse occupato dal riposo, sarebbe un ulteriore spreco di forze. Agosto non appare all’improvviso, ma non per questo giunge inatteso. Sembrerebbe superfluo, balzano di certo, ma questo solo quando è quasi giunto alla fine…come oggi. Già, oggi! Tre quarti del suo periodo è consumato, è ancora estate e lo sarà ancora per molto, anzi si inganna chi crede che Agosto ne segni la fine, tuttavia sta proprio in questa sua infida credenza lo stupore che sgomenta ed intristisce. In Agosto il dato di fatto è costituito dalla evidenza inequivocabile della propria realtà, ma il sentore intimo di ciascuno che vive questo periodo è tutt’altro che rassicurante, l’intuito ferino che abbiamo ereditato ci avverte che qualcosa sta mutando, che l’abitudine troverà una disillusione amara, non sarà più lo stesso tempo di prima anche se esteriormente nulla lo lascerebbe intendere. È come se avvertissimo la presenza del crepuscolo all’aurora, sebbene nessun elemento vi sia in comune tra i due eventi: colori diversi,
temperatura discordante, posizione del Sole assolutamente agli antipodi, la direzione delle ombre, i rumori ambientali e poi i versi degli animali. Eppure captiamo la svolta nella vita: un ripiegarsi interiore della socievolezza, uno scolorire dell’allegria, una rottura della disponibilità. Agosto non è più il mese del riposo e dell’apatia, non lo è mai stato; non è il mese di progetti né tantomeno delle sue realizzazioni, è piuttosto il mese dei rimpianti, delle disillusioni, è il mese delle incertezze, quelle incertezze determinanti che hanno segnato ogni rientro, ogni ripresa, ogni riassunto. Agosto è un fiore nel deserto, anzi è un fiore del deserto, ispido, inodore, puntuto, fresco eppure arido, colorato eppure sbiadito: è un tempo per pregare (se piace, ma lo consiglio) è uno stimolo alla pazienza, uno sbadiglio nell’insonnia, un’avventura sospesa che consuma, come un frinire di cicale.
I nati in questo mese ( come me) non sopportano le ricorrenze né i propri compleanni, a motivo di un’inesplicabile intolleranza per la memoria profonda: non per demenza precoce, s’intende, quanto piuttosto per non dover materializzare i ricordi felici ( ma esistono più?) quei momenti trascorsi proprio in Agosto, preavviso di cocenti illusioni in un tempo inopportuno. E così, tra queste ambiguità, tra queste sonore contraddizioni mi acconcio a declinare un ultimo commiato ad un tempo che avrebbe potuto essere e non fu. Un altro calendario lo avrebbe inserito in un posto di maggior riguardo, magari nel bel mezzo dell’inverno, dove la propensione alla tristezza avrebbe trovato comprensione adeguata; invece messo lì alla fine dell’estate che non finisce, sembra davvero una nebbia vaporosa che inganna, un fantasma del tempo, che spaventa chi lo frequenta e illude gli increduli che non esista un mese così.
Massimo Capacciola
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