Da un racconto di Francesco La Rosa nasce la fata Burlona. Un omaggio a Castelluccio di Norcia, con l’augurio che possa ritrovare presto la serenità perduta e la gioiosità di un tempo.

Mariella Cutrona
C’era una volta una fata, la fata Burlona, vestita di luce e di ali vibranti e scintillanti
come diamanti al sole. La fata Burlona viveva nel regno incantato delle fate, dove volava leggiadra, spargendo nell’aria armonia, gioia e, di tanto in tanto, un po’ di polverina orticante, che irrigidiva le ali delle sue amiche fate.
Burlona conosceva il linguaggio degli animali e, all’imbrunire, amava ascoltare le loro
esperienze.
Anche il vento le raccontava spesso di paesi lontani e di esseri umani che piangevano,
ridevano e scherzavano.
Cominciò a desiderare, a sognare il mondo degli umani e un giorno, decise di indossare un vestito dai colori sgargianti, il più bello, e volò sulla terra.
Burlona scelse di vivere nella piana di Castelluccio di Norcia per poterla trasformare in un tripudio di colori, di fiori e di profumi e si divertiva molto nel veder impallidire
improvvisamente le facce incredule dei contadini e dei pastori, quando papaveri,
genzianelle e trifogli spuntavano dal nulla tra le pietre.
Ben presto nella piana, la bellezza unica e straordinaria dei fiori, che riflettevano la
luce, fece gioire l’animo e il cuore di uomini e animali. Tutti potevano assistere al trionfo
della natura. Fiori gialli, rossi, blu, violetto sbocciavano continuamente. I pastori, che trascorrevano le loro giornate sulla piana, erano sempre più impressionati dal fascino indecifrabile di quella natura rigogliosa. La terra sembrava intrisa di magia, piccoli sbuffi di polvere magica, ogni tanto, fuoriuscivano dal terreno.
Un giorno, la risata allegra e cristallina di un pastore squarciò l’aria. Si era accorto che tutti gli animali della piana erano innamorati, ma non era la stagione degli amori! Le coccinelle svolazzavano in coppia da un papavero all’altro, le volpi si amavano tra i fiori, i cavalli allo stato brado si coccolavano e i caprioli si rincorrevano in giochi amorosi sulle colline.
La fata Burlona avvertì la risata e, incuriosita, si trasformò in un piccolissimo colibrì.
Volò e si posò su un cespuglio vicino. Il pastore aveva i capelli corvini, leggermente
mossi, gli occhi neri come il carbone, vispi ed espressivi.
Il suo era il sorriso dei sorrisi, divertito, amorevole, gioioso, amichevole, attraente.
La fata Burlona avvertì subito un dolore al petto e scoprì di avere un cuore che cominciava a battere all’impazzata.
Incantata, rimase ad osservarlo per ore, mentre una strana agitazione le serrava lo stomaco e una goffaggine insolita le faceva perdere il suo equilibrio magico.
Dal cielo cadevano gocce d’acqua colorata, come se la magia di fata Burlona volesse
sommergere tutta la piana.
Da quel giorno il gregge del pastore prosperava più degli altri greggi, le sue pecore non si
mescolavano con le altre e, al suo passaggio, i fiori sbocciavano all’improvviso, sotto i
suoi piedi, quasi a voler tracciare una scia, il cammino che lo avrebbe condotto da lei.
Burlona, consapevole dell’amore che provava per il pastore, decise di aiutare gli abitanti della piana, seminando benessere e prosperità.
Cosi nacquero i fiori di lenticchia che coloravano la terra di bianco e viola e risollevavano le sorti delle famiglie contadine che, in allegria e solidarietà, si riunivano nei campi per il raccolto.
I fiori, gli animali innamorati, la pioggia colorata, la magia celata avevano riempito
il cuore e la vita del pastore che avvertiva sempre più il calore di quella magia, tanto da
desiderare ardentemente di conoscere la creatura che era stata capace di trasformare la
monotonia della sua vita in gioia e stupore. Tornando a casa, con il sorriso sul volto, un
pettirosso si posava sulla sua spalla. Burlona danzava dentro i suoi pensieri e la sua
anima, conosceva il desiderio che albergava nel cuore del suo amato.
Così decise di mostrarsi in sogno. Pertanto la notte sfiorò gli occhi chiusi del
pastore, vi depose i sogni più dolci e lo avvolse con il suo amore. La fata sapeva bene che solo un cuore puro, semplice e delicato poteva vederla e, nel sogno, il pastore l’avvolgeva tra le sue braccia. Una lacrima scese sulla sua guancia, il tempo smise di esistere e l’istante di una lacrima diventò eternità. Certa di essere il suo amore, decise di tornare nel regno delle fate per chiedere alla sua regina di renderla visibile agli occhi di un umano.
Nel frattempo la piana cominciava a rianimarsi di animali incuriositi alla vista del pastore, che si arrampicava sugli alberi e ascoltava le vibrazioni del terreno, nella speranza che un po’ di magia gli facesse percepire la presenza di Burlona: ma il sole lentamente si ritirò, permettendo alla luna di ammantare d’argento la piana e alla fata Burlona di volare nel suo mondo.
La regina camminava da sola lungo un viale che profumava di rose, i capelli sciolti lungo
la schiena, trattenuti da una corona di fiori di biancospino. Nella sua regalità, avvertiva
l’angoscia di Burlona e la frenesia dei suoi pensieri, socchiuse gli occhi, si girò verso la fata e, inclinando la voce, le comunicò che, se un essere fatato si fosse reso visibile ad un umano, non sarebbe potuto tornare indietro e, di conseguenza, avrebbe dimenticato il suo mondo. Burlona doveva fare una scelta, senza essere realmente sicura dell’amore di quell’uomo. Fu allora che la fata Burlona percepì i pensieri del pastore, la sua energia ed entrò in sintonia, sentì il cuore pulsare freneticamente e decise di seguire i battiti. Un’ombra di delusione attraversò il volto della regina,
l’amore aveva trionfato. Burlona, in silenzio, chinò il capo, per l’ultima volta, alla sua regina e d’improvviso gli occhi le diventarono lucidi, stranamente brillanti,
luminosi e in un battito d’ali si ritrovò sulla terra, vicino al pastore addormentato, che
percepì subito la presenza di Burlona.
Aprì gli occhi e la vide. Pensò di essere ancora nel sogno, ma la dolce
carezza della fata lo destò dal suo torpore.
L’amore del pastore veniva dichiarato dal suo sguardo languido, meraviglioso, infinitamente dolce, dai suoi occhi che sorridevano gioiosi, mentre la guardavano. E si persero in un abbraccio impenetrabile, sacro, che illuminò tutta la piana nel momento in cui le ali di Burlona svanirono.
Da allora vissero felici , per sempre.
E nella trepidante attesa di vedere un giorno esseri umani e fate vivere insieme, fianco a
fianco, donandosi reciprocamente serenità e gioia, mi piace pensare che la magia di Burlona permane ancora nella piana di Castelluccio di Norcia e nella Via delle Fate.
Mariella Cutrona
Fiaba dal Volume “SACRO FEMMINILE IN UMBRIA” di Francesco La Rosa
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