di Matteo Bressan
Il protrarsi della crisi siriana assieme alla corsa al nucleare da parte dell’Iran sta producendo un’accelerazione della tensione senza precedenti, nel già complesso scenario mediorientale. Partendo dagli attentati dello scorso maggio al contingente italiano dell’UNIFIL, seguiti poi da quelli al contingente francese, si è assistito ad una pericolosa concatenazione di eventi riconducibili in qualche modo a quanto avveniva in Siria e Iran. All’epoca dell’attentato all’UNIFIL la comunità internazionale si apprestava ad inasprire le sanzioni contro il regime di Assad e molti hanno intravisto un possibile collegamento tra i due eventi. Più complesso da analizzare risulta invece il lancio di alcuni razzi contro Israele, partiti dal Sud del Libano due notti fa. Nonostante che l’attacco sia stato rivendicato da un gruppo islamico ritenuto vicino ad Al Qaida, le Brigate di Abdallah Azzam, molti sostengono che sia quasi impossibile compiere simili azioni nel Sud del Libano senza il consenso di Hezbollah. Cercando però di trovare una spiegazione a questa azione militare si possono provare a seguire due strade: una di politica interna e una di politica internazionale. Proprio ieri infatti il Premier libanese Mikati, sorprendendo molti osservatori, ha annunciato di aver versato i finanziamenti necessari al funzionamento del Tribunale Speciale che indaga sull’omicidio Hariri. Hezbollah infatti, che sostiene il Governo Mikati, aveva manifestato a più riprese la propria contrarietà al sostegno economico del Tribunale, facendo presagire una possibile crisi di Governo. Il lancio di razzi quindi potrebbe rappresentare un avvertimento non solo per ricordare a tutti i partiti libanesi i rapporti di forza all’interno del paese dei cedri, ma anche una prova di forza nei confronti dello stesso Mikati. Anche i razzi utilizzati questa volta, non più i Katiuscia ma i Grad, potrebbero essere considerati più come un avvertimento ad Israele, che non una vera e propria provocazione. Un messaggio per ricordare, al nemico storico di Hezbollah, che l’arsenale questa volta, rispetto al 2006, annovera razzi ben più potenti dei Katiuscia. Un messaggio quindi, più che una vera provocazione magari tesa a scatenare un conflitto che non gioverebbe ad Hezbollah e che esporrebbe l’intero Libano ad una ben più consistente reazione israeliana rispetto a quella del 2006. Negli ultimi giorni però altri messaggi sono arrivati e ben più inquietanti. In Iran, da quello che viene riferito da dissidenti iraniani, dietro all’assalto all’ambasciata britannica ci sarebbe dell’altro. Il regime infatti, nonostante l’inerzia della comunità internazionale, starebbe vivendo una fase di lenta ma pericolosissima implosione. Addirittura si ipotizza che l’assalto all’ambasciata britannica sia stato architettato per far passare in secondo piano l’esplosione che ha interessato gli impianti di arricchimento dell’uranio nella città di Isfahan. Il Times, ha diffuso delle immagini che testimonierebbero, la distruzione di alcuni edifici ma ad oggi non risulterebbero registrate fughe di radioattività né è possibile provare un coinvolgimento della CIA o del MOSSAD nei fatti accaduti. In questo scenario, con la Siria che minaccia ritorsioni contro l’occidente e l’Iran che promette di scatenare Hamas ed Hezbollah in caso di attacco israeliano, l’Italia si appresta a riprendere il comando della missione UNIFIL dal prossimo gennaio. Il contesto però è notevolmente cambiato rispetto ai tempi del Generale Claudio Graziano e alcune dichiarazioni provenienti dall’Iran meritano la massima attenzione, se non addirittura un ripensamento della missione UNIFIL. La scorsa settimana infatti Yahya Rahim Safavi, Consigliere militare della Guida suprema e già comandante delle guardie rivoluzionarie iraniane, ha fatto riferimento ad una esercitazione congiunta tra la Nato e Israele, svoltasi a largo delle coste della Sardegna, con il contributo dell’Italia. C’è da chiedersi a questo punto, se Hezbollah, che in passato aveva espresso importanti apprezzamenti sul contingente italiano, guarderà con maggiore diffidenza il nuovo comando italiano.