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Finalmente Fini si dimette? forse che si…forse che no

25 aprile 2012

Nei giorni scorsi ho scritto in un tweet di “impedimenti istituzionali. Non dico che Fini deve dimettersi, ma è chiaro che l’incarico istituzionale lo blocca. Deve tornare in campo con un ruolo centrale, essere lui a guidare l’innovazione, non Casini. A settembre deve valutare l’ipotesi delle dimissioni da presidente della Camera”, ha dichiarato Fabio Granata, esponente di Futuro e Libertà, ai microfoni della Zanzara su Radio 24. “Il mio leader è Fini, e comunque non c’è bisogno di un nuovo partito, bastano quelli che ci sono che fanno un’alleanza. Io non sono nato democristiano e non voglio morire democristiano. Noi siamo incompatibili con le logiche del vecchio centrodestra“.

Commento di Vito Schepisi da “Il Libero Pensiero”: Basterebbe una semplice riflessione per comprendere che in questa fase politica siano spariti sia Fini che il suo partito. La ragione è che non contano niente. Sono fuori gioco. Al massimo possono unirsi o meno alle strategie degli altri. Per dirla facile sono del tutto inutili! Sarà per questo che, come le serpi più aggressive, reagiscono nervosamente al movimento degli altri. L’altro ieri Bocchino ci fa sapere d’essere disposto a spartirsi le istituzioni col PD, rispolverando Prodi per la Presidenza della Repubblica. Ieri, invece, ha ripreso quota il disimpegno di Fini dalla Presidenza della Camera, per dedicarsi al suo partito. Un atto, quest’ultimo, che da essere dovuto, per le tante ragioni che si conoscono, tra cui l’evidente indegnità, diventerebbe una carta da giocare per manifestare la priorità, per Fini, dell’impegno politico sulla poltrona che occupa.

Bocchino: “Tu, Gianfranco, sei il protagonista della Terza Repubblica”

8 novembre 2010

“Tu, Gianfranco, sei il protagonista della Terza Repubblica”. Così sabato Italo Bocchino, dal palco di Perugia ha incoronato Fini. Ma se quella che è uscita dalle parole del discorso di ieri di Fini è la Terza Repubblica, ci tenevamo la prima.

Giorgio Stracquadanio

di Giorgio Stracquadanio

Dopo aver promesso traguardi “oggi impensabili”, ieri Fini si è espresso secondo la peggior logica partitocratica. Ha chiesto la “crisi al buio”, ha proposto una “nuova formula” con l’ingresso dell’Udc nella maggioranza in una tardiva versione a quattro della Casa della Libertà, ha invocato un “nuovo programma”, ha evitato soltanto di evocare un diverso presidente del Consiglio solo perché ha voluto evitare una provocazione tanto sfacciata. Ma i nostalgici non disperino: se si seguisse la strada proposta da Fini, un minuto dopo le dimissioni di Berlusconi inizierebbe il pressing sull’opportunità di un cambio di premiership. Ed è per questo che Silvio Berlusconi fa bene a respingere la polpetta avvelenata della “proposta” partorita da Fini. Non tanto perché Palazzo Chigi sia proprietà del Cavaliere, ma per il fatto ineludibile che è stato il popolo, in libere elezioni, a incoronare capo del governo Silvio Berlusconi, e se qualcuno deve mandarlo a casa è, guarda un po’, ancora una volta il popolo in altrettanto libere elezioni. Fini, invece, figlio naturale della Prima Repubblica – l’unica che conosce veramente avendo egli rinunciato da tempo a fondare la Seconda solo perché ansioso di entrare nell’arco costituzionale con il beneplacito degli ex-comunisti – ha parlato ieri un linguaggio che non sentivamo dagli anni 80 dello scorso secolo e che pensavamo avesse come ultimo epigono quel Marco Follini, passato da vicepremier di un governo Berlusconi a senatore di Veltroni, Franceschini e Bersani. Nel discorso di Fini di domenica il voto del 2008 è definitivamente archiviato, Futuro e Libertà – come scrive oggi Pierluigi Battista sul Corriere della Sera – diventa “una forza politica vera, proiezione di un’anima autentica del centrodestra italiano” anche se non ha mai preso un voto che sia uno nelle urne, il programma  approvato dagli elettori è ridotto ad un pezzo di carta da mandare al macero e  gli accordi con cui ci si è presentati alle elezioni considerati alla stregua di parole da marinaio. Gianfranco Fini è oggi l’espressione più compiuta del vecchio trasformismo italiano, del più elitario parlamentarismo da Casta, perché almeno i partiti della prima Repubblica i voti – anche se pochini in qualche caso – li avevano presi. Mentre Gianfranco Fini ha preso un po’ di parlamentari dal centrodestra – eletti per sostenere un leader, un programma, una coalizione – e li sta portando a spasso per le praterie del gioco partitocratico del “ritiro della delegazione” in cui ministro e sottosegretari “rimettono il mandato nelle sue mani”, per poi percorrere i meandri di un “appoggio esterno” al governo, nei cui confronti si avrebbero poi le “mani libere”. È evidente quali siano i ghost writer di Fini: Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Arnaldo Forlani, Giulio Andreotti e i loro epigoni. Con il suo discorso Fini ha voluto ergersi a impresario del purtroppo mai chiuso  “teatrino della politica”. Siamo alle comiche Finali grazie ai saltimbanchi di Futuro e Libertà, pronti – appunto – a saltare dal banco in cui li aveva collocati il popolo, a quelli di chi le elezioni le aveva perse.