Martedì 9 aprile 2019 , alle ore 17.00, alla biblioteca del Circolo Lavoratori di Terni, Maria Rita Chiassai, la presidente della sezione di Terni della FIDAPA BPW Italy introdurrà la presentazione del libro di Matteo Bressan e Domitilla Savignoni Le Nuove vie della Seta e il ruolo dell’Italia.
Illustrerà l’ opera e intervisterà l’autore Anna Rita Manuali, presidente del Comitato di Terni della Società Dante Alighieri.
Il tema è molto attuale; la Nuova Via della Seta, la grande iniziativa annunciata cinque anni fa dal Presidente Xi Jinping, sta diventando realtà
coinvolgendo più di sessantacinque paesi con progetti e infrastrutture in corso di realizzazione. La Belt & amp; Road Initiative (Bri) è un’iniziativa di dimensioni (more…)
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Le Nuove vie della Seta e il ruolo dell’Italia
8 aprile 2019Ast di Terni, il premier metta in campo tutta la sua autorevolezza
2 ottobre 2014L’incontro di domani al MISE diventa fondamentale per la salvaguardia e le prospettive del polo siderurgico ternano e per questo chiediamo che il Premier Renzi intervenga direttamente nella vertenza e faccia valere anche il suo ruolo di Presidente del semestre europeo. Non è accettabile, a questo punto della trattativa, che restino sul tavolo troppe incognite sul futuro dell’Ast e che la stessa visita del Premier a Terni sia condizionata dall’esito dell’incontro di domani. Il Premier metta sul tavolo la sua autorevolezza, il suo consenso maturato alle elezioni europee e la larga maggioranza di cui gode in Parlamento affinché questa trattativa non segni una sconfitta per il nostro Paese.
Matteo Bressan
Coordinatore Provinciale Forza Italia Giovani Terni
LIBRO: Hezbollah. Tra integrazione politica e lotta armata
8 ottobre 2013Un testo di grande attualità che offre al lettore un’analisi attenta e mirata sull’origine, la struttura e l’azione di Hezbollah all’interno della società libanese. Hezbollah, ossia “Partito di Dio”, è stato fondato nel 1982 come partito politico di ispirazione sciita.
Oltre ad essere dotato di un’ala militare, il partito sovvenziona in Libano servizi sociali, scolastici, ospedalieri e svolge un ruolo nevralgico nella vita politico-amministrativa del Paese. L’autore, che scrive con cognizione di causa (more…)
Bilancio del Comune di Terni, Bressan: sembra di essere a scherzi a parte
29 dicembre 2012Riceviamo e pubblichiamo
A leggere i toni quasi trionfalistici con i quali il Sindaco Di Girolamo ha tracciato il bilancio e le prospettive del Comune di Terni si rischia di credere di trovarsi su “Scherzi a parte”. Le aliquote sulla prima e la seconda casa, così come l’aumento delle addizionali IRPEF testimoniano che non (more…)
Terni: Convegno del Comitato “Giù le mani dalle acciaierie”
25 ottobre 2012Un convegno che servirà a rilanciare il dibattito sul futuro del polo siderurgico ternano a mantenere alta l’attenzione su una vertenza che è ancora aperta e per la quale l’intera comunità di (more…)
Terni, altro che “rimodulare le tariffe”, qui si tratta di salasso di un “Comune Vampiro”
1 giugno 2012A Palazzo Spada c’è gente irresponsabile che in questa situazione economica in cui versa l’Italia e Terni non trova altro da fare che assestare la più dura stangata degli ultimi venti anni ai cittadini ternani che si vedranno massacrare i loro stipendi per mantenere il carrozzone pubblico che il Sindaco non vuole smantellare. Hanno anche il coraggio di chiamarla “rimodulazione”; noi preferiamo chiamarla “salasso di un Comune Vampiro” e nelle prossime ore ci attiveremo con tutti i mezzi per far sapere alla gente cosa fanno questi pazzi. I dati parlano chiaro e ci sono cifre spaventose che la gente deve conoscere: (more…)
TERNI. PDL contro l’IMU
6 Maggio 2012L’amministrazione comunale chiarisca quanto prima la sua posizione sull’Imu. Il comune vuole svolgere il ruolo di gabelliere di questa nuova “tassa sul macinato” o vuole unirsi agli altri comuni e alla forte presa di posizione dell’Anci che in questi giorni stanno manifestando le proprie legittime perplessità su una tassa che risulta essere una vera e propria patrimoniale mascherata? Se il Comune vuole invece applicare l’aliquota massima sulla prima casa, è bene che sia chiaro da ora che informeremo le famiglie ternane di questa decisione, la cui scelta spetta alla Giunta comunale. Sia ben chiaro che l’Imu pensata dal Governo Berlusconi si sarebbe applicata solamente alle seconde case, non alle prime, e pertanto ribadiamo la giustezza della soppressione della vecchia Ici sulla prima casa. Noi continueremo invece a ribadire l’inopportunità di questa Imu, applicata in maniera vessatoria a qualsiasi livello, che snatura i principi di un fisco municipale, che riteniamo, in virtù della vicinanza tra amministratore e cittadino, debba essere improntato alla trasparenza nelle gestione dei soldi pubblici.
Matteo Bressan – Presidente Club della Libertà Italia libera
“Figli dell’Europa?” incontro organizzato dai militanti di Giovane Italia Orvieto
20 aprile 2012Il giorno 21 aprile 2012 alle ore 17.30 presso il Palazzo dei Sette, Sala del Governatore, si terrà l’incontro “Figli dell’Europa?” organizzato dai militanti di Giovane Italia Orvieto. Al dibattito parteciperanno:
• Chiara Frontini, assessore al Comune di Viterbo ed esponente della Giovane Italia;
• Antonella Sberna, coordinatrice Giovane Italia Provincia di Viterbo;
• Maria Tripodi, Vice-segretario Nazionale GIPPE (Giovani Italiani del Partito Popolare Europeo)
• Umberto Garbini, Presidente Giovane Italia Orvieto;
• Matteo Bressan, Coordinatore Giovane Italia Provincia di Terni e Presidente Club della Libertà di Terni “Italia Libera”;
• Enea Paladino, Dirigente Giovane Italia Umbria e Consigliere Comunale Pdl Citerna (PG).
L’incontro si prefigge l’obiettivo di aprire un confronto costruttivo tra i giovani sulle tematiche dell’attuale fase critica che sta attraversando l’Unione Europea sia per cause prettamente economiche che strutturali. A tutti i presenti sarà data la possibilità di intervenire sul tema ponendo domande sia riguardanti l’Europa che il movimento giovanile del Popolo della Libertà.
AUTOVELOX A TERNI, CITTADINI USATI COME UN BANCOMAT?
14 aprile 2012LETTERA A GOODMORNINGUMBRIA
Apprendo dalle dichiarazioni del Sindaco Di Girolamo che sul caso degli autovelox di Via dello Stadio e Via Alfonsine il Comune non farà nessuna retromarcia, convinto di aver spiegato con la dovuta chiarezza la regolarità del posizionamento degli apparecchi. Non si comprede però per quale motivo il Sindaco ammetta la necessità di migliorare la segnalatica per aumentare la visibilità degli apparecchi, andando di fatto a riconoscere uan carenza sulla quale si fonda l’illegittimità degli stessi autovelox. Questi infatti secondo l’articolo 142 del codice della strada devono essere preventivamente segnalati e ben visibili, i segnali stradali e i dispositivi di segnalazione luminosi devono essere installati con adeguato anticipo rispetto al luogo ove viene effettuato il rilevamento della velocità (D.M. 15/08/2007 del Ministero dei Trasporti) ed infine tutti i segnali devono essere realizzati in modo da consentire il loro avvistamento su ogni tipo di viabilità ed in qualsiasi condizione di esposizione e di illuminazione ambientale. Se l’amministrazione Comunale sospetta di essere in difetto rispetto a queste questioni, per le quali diversi automobilisti stanno ricorrendo al giudice di pace, è secondo noi necessario ammettere l’errore, evitanto che i cittadini siano trattati come bancomat e annullare le multe onde evitare anche il pagamento delle spese con danno economico per il Comune.
Matteo Bressan – Presidente Club della Libertà di Terni Italia Libera
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NOTA DI REDAZIONE
Cassazione:In città rilevamenti solo su strade ad “alto scorrimento”
Secondo l’articolo 4 della legge 168/2002 che disciplina i controlli di velocità da ”remoto”, questi sono sempre possibili sulle strade “extraurbane principali” ma non sulle strade “urbane ordinarie”, mentre per quelle “extraurbane ordinarie” e per quelle “urbane di scorrimento” occorre l’autorizzazione del prefetto. L’autorità di governo può, dunque, autorizzare gli autovelox sulla base di alcuni elementi quali: la pericolosità, il traffico o la difficoltà di fermare il veicolo. È accaduto però, secondo la Cassazione, sentenza 3701/2011, che alcuni comuni hanno forzato un po’ la mano ai prefetti ottenendo un lasciapassare all’installazione anche in strade prive delle caratteristiche previste dalla legge. Ragion per cui i giudici, pur riconoscendo l’autonomia dei prefetti, hanno annullato i verbali. Secondo un’altra sentenza, la 7872/2011, i margini di manovra del prefetto nel definire i tratti di viabilità ordinaria su cui autorizzare le postazioni fisse “trovano come limite insuperabile il tipo di strada, che è individuato con certezza dalla legge 168/02”. Paletti più rigidi per l’accertamento delle infrazioni al limite di velocità tramite autovelox. Le ultime sentenze della Cassazione, infatti, definiscono meglio il quadro delle tutele per gli automobilisti. Così, per esempio, se il dovere di segnalare in anticipo il dispositivo elettronico è uno dei punti ormai acclarati dalla giurisprudenza, per la prima volta, è stato riconosciuto un uguale obbligo informativo anche a beneficio di chi proviene da strade laterali. Infatti, i giudici di Piazza Cavour, con una recente sentenza, hanno riconosciuto le ragioni del guidatore in quanto il cartello segnaletico era apposto unicamente sulla strada principale e non anche sulla provinciale che più avanti l’intersecava.
Con un’altra recente pronuncia, invece, la Suprema Corte ha annullato una multa in quanto dal verbale non emergeva la presenza dell’agente di polizia municipale nella fase di “elaborazione dell’accertamento”, avendo il comune interamente esternalizzato la gestione del servizio.
Mentre, per quanto riguarda i rilevamenti in città, le multe elevate su percorsi urbani “ordinari” sono sempre annullabili anche quando vi è stato il placet del prefetto all’installazione.
Termovalorizzatore: a Terni vince il partito del NO?
28 febbraio 2012LETTERA A GOODMORNINGUMBRIA
Apprendo che il “partito del no” composto da Sinistra Ecologia e Libertà, Rifondazione comunista e Italia dei Valori hanno consegnato al Sindaco Di Girolamo una petizione popolare contro la riattivazione del termovalorizzatore. Auspico che sul tema dello smaltimento rifiuti nella nostra città non prevalga l’approccio di chi, sfruttando la cattiva informazione, vuole dire no a qualsiasi opzione, come avvenuto in Regione sull’ipotesi di bruciare i rifiuti nei cementifici. Così come per altri grandi temi, come ad esempio l’approviggionamento energetico, il “partito del no” si oppone a delle scelte senza proporre un modello alternativo realizzabile in tempi certi.
Matteo Bressan – Presidente Club della Libertà di Terni Italia Libera
“LA PRIMAVERA ARABA” – GIOVANI E SOCIAL NETWORK
20 gennaio 2012Viterbo. Sabato 21 gennaio alle ore 11 presso il Gran Caffé Schenardi si parlerà della Primavera Araba, il fenomeno rivoluzionario che coinvolge i Paesi del Medio Oriente del Vicino Oriente e del Nord Africa. Il convegno è organizzato congiuntamente della Giovane Italia di concerto con il G.I.P.P.E. (Giovani Italiani del Partito Popolare Europeo). Ci si concentrerà sul ruolo che hanno giocato, e continuano a giocare, igiovani e i social network come strumento di diffusione e di aggregazione. “Nonostante lo scetticismo e il distacco siano troppo spesso i sentimenti con cui si guarda a questi paesi, le giovani generazioni metropolitane arabe non sono molto diverse da quelle occidentali. E grazie a internet vivono davvero nello stesso mondo globale.” Lo dichiara Antonella Sberna, Coordinatore provinciale della Giovane Italia Viterbo, la quale modererà i lavori. Introdurrà il dibattito il Consigliere Regionale Carlo De Romanis, neo-eletto Vice-Presidente dello IYDU (International Young Democrat Union) al Congresso di Sydney la scorsa settimana, durante il quale i giovani di centro-destra provenitneti da tutto il mondo hanno anche discusso largamente sulla Primavera Araba. Relatori d’eccezione saranno il libanese Bernard Selwan El Khowury, Vice-Direttore dell’osservatorio di Geopolitica del Medio Oriente e l’egiziano Muhammad Abdel – Kader, assistente universitario presso l’università di Helwan che racconteranno le esperienze dei loro Paesi, vissute in prima persona. Ad intervenire nel dibattito saranno Stefano Felician, responsabile della formazione del Coordinamento Romano di Giovane Italia, Matteo Bressan, coordinatore provinciale della Giovane Italia Terni, entrambi esperti di politica internazionale e Alessandro Colorio, coordinatore regionale della Giovane Italia Lazio. Conclude l’incontro il coordinatore nazionale della Giovane Italia, l’On. Annagrazia Calabria.
Tagli anche per la difesa: si riaccende il dibattito
5 gennaio 2012di Matteo Bressan
Sin dal suo discorso in Parlamento il neo Ministro per la Difesa, l’Ammiraglio Di Paola, aveva annunciato che anche le Forze Armate avrebbero fatto la loro parte nel generale clima di austerità indicato dal Governo Monti. Lo scorso 29 dicembre il Ministro Di Paola, in un’intervista pubblicata sul Messaggero, aveva spiegato come l’elevato numero di militari over 50 costituisse una delle voci più pesanti nel bilancio della difesa, auspicando “con adeguati strumenti normativi ed il consenso del Parlamento” la possibilità di trasferire le loro capacità e i loro valori in altre Amministrazioni, rendendo così più snelle le Forze Armate”. Tale scelta sarebbe giustificata dal fatto che l’esodo naturale di questa fascia di personale avverrebbe tra 10–12 anni e renderebbe più lento e complesso il raggiungimento di un nuovo e più adeguato modello di difesa. Il primo problema cruciale da affrontare infatti è proprio il modello di difesa italiano che prevede 190.000 effettivi e che oggi ne conta circa 180.000. Tali numeri, a detta anche degli stessi esperti del mondo militare, sono difficilmente sostenibili e pesano in termini di stipendi circa il 62% dell’intero bilancio della Difesa. Viene però da domandarsi se il modello di Forze Armate a 190.000 o a 140.000 sia adeguato oppure no per garantire la interoperabilità del nostro strumento militare con quello degli altri paesi europei e Nato, ricordando che quando si optò per il modello 190.000 già si era al limite. Il paradosso che però circonda il dibattito sul modello di difesa ideale per l’Italia non può essere affrontato con la semplice logica della razionalizzazione della spesa perché si andrebbe ad invertire un principio razionale non scritto alla base del funzionamento delle nostre Forze Armate traducibile nella domanda: a cosa servono le nostre Forze Armate? Si badi bene questa non deve e non vuole essere una provocazione ma la risposta a questa domanda è fondamentale perché è questa e non altre esigenze che possono determinare il modello di difesa italiana. Partendo quindi da una brevissima analisi delle principali missioni alle quali hanno partecipato le nostre Forze Armate negli ultimi 15 – 20 anni (Balcani, Afghanistan, Iraq, Libano solo per citare le più impegnative e anche le più dolorose in termini di vite umane) si può dire, con la relativa approssimazione, che in tutti i casi il nostro strumento militare è stato proiettato fuori area a sostegno di operazioni di peacekeeping e peace enforcing in cui l’elemento costante è stato quello di spostare uomini e mezzi potendo disporre di una massa di manovra in grado di garantire il ricambio di questi nelle missioni. Tale sforzo è giunto anche ad avere impiegati sui teatri circa 13.000 uomini, essendo così ad essere l’Italia, dopo Stati Uniti e Gran Bretagna, il terzo paese impegnato in missioni internazionali. Da questi numeri e dallo scenario di guerra asimmetrica determinatosi con l’11 Settembre, al quale si aggiunge un livello di instabilità nel Mediterraneo e Medio Oriente mai visto negli ultimi venti anni, deve partire la riflessione politico strategica per definire il nostro modello di difesa e quindi, conseguentemente, i relativi costi. Questo non significa dare ragione a chi in queste ore sta protestando in maniera anche pretestuosa contro l’acquisto dei 131 caccia F – 35 (ogni F – 35 costa all’incirca 200 milioni di euro) o le 10 fregate della classe FREMM (costo complessivo del programma 6 miliardi). La partecipazione italiana ai programmi ad alto valore tecnologico non può essere tagliata mettendo a rischio i benefici e il know-how diffuso anche per le realtà industriali nazionali che operano nell’industria della difesa. Si dovranno invece rivedere i numeri di questi programmi posto che questo Governo o il prossimo stabiliscano quante e a quali tipi di missioni internazionali l’Italia vuole partecipare. Se infine il taglio nel settore della difesa andrà a riguardare, in misura preponderante, la voce “personale” ci si troverà nella paradossale situazione di bloccare il reclutamento dei Volontari in Servizio Permanente, andando così a vanificare le aspirazioni e la professionalità dei Volontari in Ferma Prefissata a 4 anni (VFP4), che nelle intenzioni originari avrebbero trovato il loro naturale sbocco di carriera come Volontari in Servizio Permanente.
Assalto all’ambasciata britannica e razzi contro Israele dal Sud del Libano: due messaggi mirati
1 dicembre 2011Il protrarsi della crisi siriana assieme alla corsa al nucleare da parte dell’Iran sta producendo un’accelerazione della tensione senza precedenti, nel già complesso scenario mediorientale. Partendo dagli attentati dello scorso maggio al contingente italiano dell’UNIFIL, seguiti poi da quelli al contingente francese, si è assistito ad una pericolosa concatenazione di eventi riconducibili in qualche modo a quanto avveniva in Siria e Iran. All’epoca dell’attentato all’UNIFIL la comunità internazionale si apprestava ad inasprire le sanzioni contro il regime di Assad e molti hanno intravisto un possibile collegamento tra i due eventi. Più complesso da analizzare risulta invece il lancio di alcuni razzi contro Israele, partiti dal Sud del Libano due notti fa. Nonostante che l’attacco sia stato rivendicato da un gruppo islamico ritenuto vicino ad Al Qaida, le Brigate di Abdallah Azzam, molti sostengono che sia quasi impossibile compiere simili azioni nel Sud del Libano senza il consenso di Hezbollah. Cercando però di trovare una spiegazione a questa azione militare si possono provare a seguire due strade: una di politica interna e una di politica internazionale. Proprio ieri infatti il Premier libanese Mikati, sorprendendo molti osservatori, ha annunciato di aver versato i finanziamenti necessari al funzionamento del Tribunale Speciale che indaga sull’omicidio Hariri. Hezbollah infatti, che sostiene il Governo Mikati, aveva manifestato a più riprese la propria contrarietà al sostegno economico del Tribunale, facendo presagire una possibile crisi di Governo. Il lancio di razzi quindi potrebbe rappresentare un avvertimento non solo per ricordare a tutti i partiti libanesi i rapporti di forza all’interno del paese dei cedri, ma anche una prova di forza nei confronti dello stesso Mikati. Anche i razzi utilizzati questa volta, non più i Katiuscia ma i Grad, potrebbero essere considerati più come un avvertimento ad Israele, che non una vera e propria provocazione. Un messaggio per ricordare, al nemico storico di Hezbollah, che l’arsenale questa volta, rispetto al 2006, annovera razzi ben più potenti dei Katiuscia. Un messaggio quindi, più che una vera provocazione magari tesa a scatenare un conflitto che non gioverebbe ad Hezbollah e che esporrebbe l’intero Libano ad una ben più consistente reazione israeliana rispetto a quella del 2006. Negli ultimi giorni però altri messaggi sono arrivati e ben più inquietanti. In Iran, da quello che viene riferito da dissidenti iraniani, dietro all’assalto all’ambasciata britannica ci sarebbe dell’altro. Il regime infatti, nonostante l’inerzia della comunità internazionale, starebbe vivendo una fase di lenta ma pericolosissima implosione. Addirittura si ipotizza che l’assalto all’ambasciata britannica sia stato architettato per far passare in secondo piano l’esplosione che ha interessato gli impianti di arricchimento dell’uranio nella città di Isfahan. Il Times, ha diffuso delle immagini che testimonierebbero, la distruzione di alcuni edifici ma ad oggi non risulterebbero registrate fughe di radioattività né è possibile provare un coinvolgimento della CIA o del MOSSAD nei fatti accaduti. In questo scenario, con la Siria che minaccia ritorsioni contro l’occidente e l’Iran che promette di scatenare Hamas ed Hezbollah in caso di attacco israeliano, l’Italia si appresta a riprendere il comando della missione UNIFIL dal prossimo gennaio. Il contesto però è notevolmente cambiato rispetto ai tempi del Generale Claudio Graziano e alcune dichiarazioni provenienti dall’Iran meritano la massima attenzione, se non addirittura un ripensamento della missione UNIFIL. La scorsa settimana infatti Yahya Rahim Safavi, Consigliere militare della Guida suprema e già comandante delle guardie rivoluzionarie iraniane, ha fatto riferimento ad una esercitazione congiunta tra la Nato e Israele, svoltasi a largo delle coste della Sardegna, con il contributo dell’Italia. C’è da chiedersi a questo punto, se Hezbollah, che in passato aveva espresso importanti apprezzamenti sul contingente italiano, guarderà con maggiore diffidenza il nuovo comando italiano.
La primavera araba in Egitto si tinge di sangue
22 novembre 2011Il sogno dei ragazzi che sono stati protagonisti della protesta scoppiata lo scorso gennaio si sta scontrando da tre giorni con la dura repressione della polizia. I manifestanti, riuniti dallo scorso venerdì a piazza Tahrir, temono il protrarsi dell’esecutivo militare, chiedono le dimissioni dei vertici militari e il trasferimento del potere ad un esecutivo civile. A differenza però delle rivolte dello scorso luglio questa volta i manifestanti non hanno il sostegno dell’esercito ed il bilancio di ben 40 morti e più di 1.800 feriti, con il fronte della protesta in espansione anche ad Alessandria e Suez apre uno scenario inquietante e in contrasto con le speranze che avevano accompagnato la fine del regime di Mubarak. Piazza Tahrir, il luogo simbolo della primavera araba, ieri mattina ospitava una serie di ospedali da campo improvvisati dai manifestanti, come testimoniano le foto ricevute attraverso il videofonino da una manifestante egiziana. Nel pomeriggio di ieri si è appreso che la piazza si è andata riempiendo sempre di più nonostante il massiccio uso di lacrimogeni e di proiettili di gomma. Secondo il Ministro dell’Interno egiziano, Sami Sidhom, ad alimentare le proteste non sarebbero i giovani attivisti, ma una serie di delinquenti comuni infiltrati tra i manifestanti. Questi ultimi però hanno accusato l’esecutivo militare di influenzare i media, negando il coinvolgimento dei presunti infiltrati. Nella notte il Governo egiziano ha presentato le sue dimissioni, ma il vero problema resta l’esecutivo militare.
La crisi del commercio a Terni tra concorrenza straniera e balzelli
7 novembre 2011di Matteo Bressan
Se al calo dei consumi, figlio dell’attuale crisi economica, sommiamo l’elevato canone di locazione dei locali, un centro storico blindato da una zona a traffico limitato e la spietata concorrenza cinese, possiamo leggere più facilmente i dati diffusi da Confcommercio Terni che censiscono ben 200 negozi sfitti. A questi numeri e a queste criticità che gravano sui commercianti ternani si è aggiunta nelle ultime settimane la tassa sulla pubblicità, un vero e proprio balzello usato dal Comune per fare cassa sulla pelle dei negozianti, secondo quanto affermato dalle opposizioni PDL, UDC e lista Baldassare. Ben 500 commercianti ternani hanno infatti ricevuto multe a seguito del censimento sulle insegne e sui cartelli pubblicitari portato a termine dall’Ica (la concessionaria per la pubblicità del Comune). Gli episodi contestati sono di incerta interpretazione e in molti casi i commercianti sono stati multati per cartelli e adesivi come nel caso di una pescheria che esponeva un cartello con sopra scritto “filetto di tonno”, oppure il titolare dell’albergo Michelangelo, multato per avere apposto degli adesivi che segnalavano la presenza di porte a vetro. Il vice presidente di Confcommercio Marco Benucci polemizzando in tono ironico sulle tasse pubblicitarie, una materia notoriamente capziosa, si è così espresso: “ di questo passo si arriverà a tassare anche i cartelli di divieto di fumo o i listini prezzi”. Nei prossimi giorni Confcommercio riunirà i soci per elaborare un piano di rilancio da presentare al Comune, ma nel frattempo non si escludono proteste eclatanti da parte dei commercianti.
L’ultima tenda del Colonnello
21 ottobre 2011Razionalmente questo articolo si sarebbe dovuto scrivere molto tempo fa e forse dire certe cose oggi è sin troppo facile se non ipocrita. Oggi tutti vogliono voltare pagina in Libia e anche chi tra i leader dell’opposizione libica era fino a qualche mese fa parte integrante del regime di Gheddafi ora si appresta a rappresentare il nuovo. Termina così, dopo 8 mesi di sanguinosa guerra, l’ultima resistenza del Colonnello, calpestato e sfregiato come altri dittatori della storia, accomunati dall’esser trucidati dalle stesse mani di chi per anni ha applaudito il Rais. Molti sono stati i Governi che a vario titolo hanno consentito al Rais di godere di una rispettabilità internazionale al di sopra dei suoi reali o presunti meriti. Il petrolio prima e la paura di Al Qaida poi hanno reso indispensabile il dialogo con il Colonnello, sempre più leader autoreferenziale di un Mediterraneo in fibrillazione.
Chi era Gheddafi? Un rivoluzionario, un anticolonialista, un riformatore, un brutale dittatore, ma anche un guerrafondaio che ha rifornito le milizie palestinesi in contrasto con Arafat e foraggiato gli eserciti privati che si sono contrapposti in Libano negli anni della guerra civile, un terrorista e infine l’argine del fondamentalismo islamico in Nord Africa. I Governi europei hanno fatto a gara per avere buoni rapporti con il Rais e se tanto rumore hanno provocato i caroselli e le pagliacciate messe in scena nella sua ultima visita ufficiale in Italia ben più grave è stato il silenzio sulla liberazione da parte della autorità scozzesi di Abdelbaset al Megrahi, unico condannato per l’attentato di Lockerbie, dove morirono ben 259 persone.
Il rapporto tra l’Italia e la Libia di Gheddafi è stato contraddistinto da un cinico mix di propaganda interna contro il passato coloniale italiano controbilanciato da ottime relazioni bilaterali. All’indomani della presa del potere di Gheddafi nel 1969 che sancì l’esproprio e la cacciata, senza spargimento di sangue, dei 12.000 italiani e della comunità ebraica presente in Libia, i governi italiani sono stati costretti a più riprese a dover mercanteggiare la propria sicurezza e le proprie forniture energetiche con il dittatore libico, a scapito della dignità di quelle famiglie italiane che espulse dalla Libia non avevano nulla di che vergognarsi.
Se è vero che l’Italia di Andreotti e Craxi salvò il rais dai bombardamenti americani del 1986 è altrettanto vero che sia i Governi di centro sinistra che di centro destra della seconda repubblica hanno concesso molto, forse sin troppo, per cancellare le violenze del passato coloniale indistintamente compiute dall’Italia di Giolitti così come da quella di Mussolini.
Gheddafi ora non c’è più e il conto che l’Italia ha pagato alla Libia prima di Re Idris e poi del Colonnello è stato saldato da tutti i Governi del dopoguerra in ragione di evidenti interessi di politica estera ed economica. Lo scenario è oggi cambiato e l’Italia è chiamata a ridefinire i propri rapporti con la vicina Libia lasciando alle spalle qualsiasi forma di sudditanza psicologica inconcepibile per un paese che vuole avere un ruolo dignitoso nel Mediterraneo.
Matteo Bressan
Gli indignados italiani: la brutta copia di girotondini e popolo viola in salsa black block
16 ottobre 2011Commentare le immagini di devastazione avvenute ieri a Roma è impresa quanto mai ardua in questo complesso momento politico ed economico.
La guerriglia urbana premeditata scatenata dai black block sbarcati a Roma che di fatto hanno condizionato e sconfitto chi in maniera pacifica era giunto a manifestare deve avviare un’attenta riflessione sul clima che negli ultimi dieci, quindici anni ha accompagnato le varie forme di protesta, più o meno organizzata, più o meno spontanea in questo paese.
Se andiamo a ritroso fino agli scontri del G8 di Genova del 2001 ritroviamo da una parte una schiera di manifestanti che in modo del tutto pacifico contestavano i grandi della Terra e dall’altra un nutrito gruppo di delinquenti che in maniera del tutto premeditata mise a ferro e a fuoco la città.
A quella esperienza seguirono poi i movimenti contrari alla politica statunitense dell’amministrazione Bush e il fenomeno tutto italiano dei girotondini. In tutti e tre i casi, seppure con sfumature e differenze qualitative e quantitative, anche la parte sana dei manifestanti ha sempre operato e si è sempre ispirata a dei cattivi maestri. Così è avvenuto quando illustri icone della peggiore sinistra italiana bruciavano la bandiera americana insieme a quella israeliana e così è stato quando i leader dei girotondi paventavano addirittura il rischio di una nuova dittatura in Italia.
Il linguaggio e le argomentazioni di questa “presunta cultura” è stato anche infarcito da immagini e terminologie che andavano a richiamare nelle menti addirittura la resistenza.
Da queste pericolose premesse ha preso forma la versione italiana degli indignados: un popolo caricato ad uso e consumo di chi negli ultimi giorni non ha fatto altro che invocare lo scontro fino ai limiti estremi e che oggi dopo i fatti di Roma ha creato quelle premesse pseudo culturali per cui anche tra i manifestanti pacifici si sentono dire frasi del tipo: “tutto sommato bisogna capire questi ragazzi che sono arrabbiati.”
Ovviamente anche la versione italiana degli indignados gode della straordinaria logistica e organizzazione di cui godevano qualche anno fa i girotondini e che consentiva di spostare con estrema facilità centinaia di persone sui pullman.
A questa folla però non solo si sono aggiunti e contrapposti i black block, ma sono arrivati ancora una volta i NO TAV che di certo non sono noti per i metodi gandhiani.
All’appello, sembrerebbero non essere pervenuti i NO Dal Molin, ma al di là del puro censimento delle note sigle della protesta in Italia, si possono riscontrare delle ricorrenti mobilitazioni di gente pronta alla guerriglia urbana in grado di essere presenti al momento del bisogno.
Va ricordato come anche nelle proteste campane contro le discariche e i termovalorizzatori accanto alle comunità locali si registrasse la presenza di svariate sigle, anche anarco-insurrezionaliste, sempre pronte allo scontro con le forze dell’ordine.
Il contrasto a questi eserciti della protesta dovrà essere sempre più rigoroso ma molto dovrà fare la politica affinché queste simili forme di guerriglia non siano minimamente e subdolamente tollerate o peggio ancora incoraggiate.
ALEMANNO PREOCCUPATO PER IL DERBY DELL’OLIMPICO
“Il derby di oggi desta preoccupazione, ma ciò che più mi preoccupa e’ che, dopo quello che e’ successo ieri, non succeda ciò che e’ accaduto a Roma il 14 dicembre dello scorso anno, quando successero incidenti molto simili, e il giorno successivo i manifestanti arrestati furono tutti rilasciati perché, con il solito permissivismo, si disse che erano solo dei ragazzi che manifestavano”.
I precari del Comitato 9 aprile: “Respingiamo al mittente qualsiasi tentativo di strumentalizzazione. Da qualsiasi parte esso arrivi. Noi non ci facciamo manipolare da nessuno”. E sugli scontri: “l’azione di piccoli gruppi organizzati di violenti non ci appartiene e non ci rappresenta”.
Rete degli Studenti Medi e Unione degli Universitari: Dura la denuncia delle due associazioni studentesche: l’intento dei black block “era noto da tempo. Siamo profondamente amareggiati per la mancata volontà di isolare politicamente tali pratiche già nella fase di preparazione e organizzazione della data”.
Tilt. La rete dei movimenti di sinistra: “Non vogliamo che tutto questo offuschi il vero messaggio della giornata di ieri, ovvero che un’alternativa a questo sistema di sviluppo, anzi di non-sviluppo, è davvero possibile. E noi vogliamo dirlo con voce forte, chiara, che non lasci alibi a chi continua a difendere sempre e solo gli interessi dei soliti noti, che oggi hanno avuto un grande alleato nel gruppo di violenti armati che come i peggiori vigliacchi non hanno avuto neanche il coraggio di agire a viso scoperto”.
Revoca dimissioni Di Girolamo: cosa cambia?
20 Maggio 2011di Matteo Bressan Coordinatore Provinciale Giovane Italia Terni
Dopo aver assistito per due settimane ad uno scontro tra ex ds e margherita a tutti i livelli, dal regionale al provinciale per passare ai comuni di Amelia e Montecastrilli, il Sindaco Di Girolamo ha comunicato questa mattina la revoca delle proprie dimissioni. Cosa è cambiato in queste due settimane in cui inizialmente lo stesso Sindaco aveva ammesso di non esser riuscito, a fronte di una discussione e un confronto di alta politica, a far quadrare il cerchio della sua maggioranza? Da quanto si apprende Di Girolamo si appresterebbe a presentare un aggiornamento programmatico in grado di fronteggiare le emergenze del momento. I dubbi della contesa all’interno della maggioranza stentano però a tramontare anche in virtù delle affermazioni dello stesso segretario provinciale del PD che, commentando le decisioni di Di Girolamo si era così espresso: “si voleva piegare il Sindaco a logiche di scambio di basso profilo”. Cosa è cambiato in queste due settimane in cui l’amministrazione comunale di fronte alle non incoraggianti notizie provenienti dalla Thyssen, è rimasta chiusa in “conclave” senza dare cenni di vita. Si dirà che a schiarire le idee possa esser stato d’aiuto anche l’esito elettorale nei comuni di Amelia e Montecastrilli, o anche la vicenda giudiziaria che ha colpito il Presidente del Consiglio Regionale Eros Brega, come qualche maestro della dietrologia sicuramente sta pensando in queste ore. Forse nei prossimi giorni capiremo, in base alle spartizioni correntizie, quali criteri e motivazioni abbiano ispirato il Sindaco a fare retromarcia.
La vicenda Thyssenkrupp tra sentenze e dubbi
20 aprile 2011di Matteo Bressan
Non si placano le divisioni, le paure, le attese e anche il dolore ancora vivo nei familiari delle vittime, dopo la sentenza che i giudici di Torino hanno emesso lo scorso venerdì. Per molti si è trattato di una sentenza storica ma forti restano i dubbi sulla condanna per “omicidio volontario con dolo eventuale” a carico dell’amministratore delegato Harald Espenhahn. Il mondo politico, tra cui anche il Ministro del Welfare Sacconi, ha tenuto a precisare gli effetti positivi, in termine di prevenzione e sicurezza, che nei luoghi di lavoro produrrà questa sentenza. L’analisi però non può essere ristretta al certo importante accertamento delle responsabilità, alla storica svolta nell’impianto accusatorio o alle conseguenze positive che si determineranno nei luoghi di lavoro. Vi è un aspetto, che forse attira meno l’attenzione della stampa nazionale e dei riflettori dei media, che in queste ore pone dei grandi interrogativi sul funzionamento della nostra giustizia. È difficile toccare un tema delicato come questo, soprattutto in una fase storica che segna il livello più alto dello scontro tra politica e magistratura ma è necessario aprire una riflessione sulle sanzioni che andranno a colpire direttamente lo stabilimento ternano della Thyssen e che potrebbero avere gravi ripercussioni non solo in termini occupazionali. Se è vero infatti che l’azienda tedesca non dovrà probabilmente rinunciare ai contributi pubblici per la cassa integrazione risultano essere molto severi e punitivi i divieti di pubblicizzazione dei prodotti così come il mancato dissequestro e relativo trasferimento della linea 5 da Torino a Terni che impedisce al polo ternano il raggiungimento degli obiettivi produttivi e la tenuta dei costi aziendali. Sul dissequestro delle linea 5 si sta determinando un vero e proprio paradosso a danno della ThyssenKrupp proprio perché l’azienda, qualora volesse riprendere il possesso di questa, sarebbe costretta a rinunciare al processo di appello e a rendere esecutiva la sentenza. Non si esclude infatti che in appello la linea 5 possa essere oggetto di perizie e ulteriori accertamenti.
Terni, convegno su La rivoluzione liberale di Berlusconi: da Forza Italia al Popolo della libertà
7 aprile 2011Si terrà domani pomeriggio a Terni alle ore 17.30, presso Palazzo Gazzoli, il dibattito su La rivoluzione liberale di Berlusconi: da Forza Italia al Popolo della libertà.
L’incontro si terrà alla presenza dell’On. Giuseppe Moles, il Presidente del gruppo del PdL in Regione Umbria Raffaele Nevi e il Presidente di Giovani per la Libertà Marco Casella.
Al centro del dibattito, moderato dal vice presidente di Giovani per la Libertà Matteo Bressan, ci saranno i temi fondamentali e i cardini della rivoluzione liberale di Berlusconi: la riduzione della pressione fiscale, la riforma della giustizia, l’ammodernamento e alleggerimento della macchina statale e la questione generazionale.
Dall’Unione Mediterranea alla politica delle “cannoniere”
11 marzo 2011di Matteo Bressan
Le ultime cronache degli scontri tra le forze di Gheddafi e i rivoltosi ci riportano indietro nel tempo, esattamente alla guerra del deserto tra Rommel e Montgomery. Assistiamo ancora una volta ad un guerra paradossalmente classica dove si avanza sulla stessa strada litoranea dove più di sessanta anni fa si fronteggiarono le truppe dell’Asse contro gli Alleati. Anche questa volta, secondo alcune fonti, sarà di vitale importanza non allungare le linee dei rifornimenti onde evitare di rimanere, a corto di carburante e munizioni.
Nell’era della guerra asimmetrica e della rivoluzione degli affari militari, in Libia si è tornati ad una guerra quasi tradizionale. Il tema dell’odierno conflitto libico è però molto più complesso e articolato rispetto ad un parallelismo storico militare sul quale comunque è doveroso fare alcune riflessioni. In primo luogo desta curiosità l’atteggiamento e il richiamo alla politica delle “cannoniere” lanciato ieri dal Presidente Sarkozi, al quale potrebbe accodarsi anche il Premier Cameron; si rimane infatti sconcertati dall’apprendere la volontà francese di intervenire militarmente anche in maniera unilaterale.
È evidente che sono ben lontani i vaghi e fumosi proclami francesi circa l’Unione Mediterranea, peraltro mai andati oltre una serie di incontri e dichiarazioni programmatiche e mai trasformatisi in una vera e propria politica estera per il Mediterraneo.
Ad aggravare l’imbarazzo della posizione francese vi è poi una generale inazione delle principali potenze, a cominciare dagli Stati Uniti, di fronte ad un quadro estremamente fluido e incerto che si sta profilando in Nord Africa e Medio Oriente.
La prudenza invocata anche ieri dal Ministro degli Esteri Franco Frattini, in merito alla necessità di concordare e condividere qualsiasi decisione in sede Onu, segna sicuramente un punto di grande importanza per la diplomazia italiana che piuttosto che lanciarsi in pericolose avventure unilaterali preferisce, in virtù di un generalizzata assenza di visione strategia sul Nord Africa, rilanciare la strada del sistema multipolare, unica carta in grado di reggere l’urto delle sfide dei nostri tempi.
Terni, una via ai martiri delle foibe?
27 febbraio 2011Istallazione di una targa nei pressi di piazza Dalmazia o intitolazione di una via, una piazza o un parco ai Martiri delle Foibe; questo l’oggetto della mozione presentata ieri dal consigliere Forzanti durante il consiglio della II Circoscrizione Nord tenutosi a palazzo Spada, come anticipato nella conferenza stampa da Matteo Bressan, Coordinatore Provinciale della Giovane Italia, movimento giovanile di cui Forzanti è coordinatore comunale. Atto questo, molto importante ai fini del ricordo di un momento storico tragico vissuto dai connazionali fiumani e istriano-dalmati.
Matteo Bressan – Coordinatore Provinciale Giovane Italia Terni
Francesco Forzanti – Coordinatore Comunale Giovane Italia Terni
Rivolte in Medio Oriente e Nord Africa: premesse simili ma conclusioni imprevedibili
22 febbraio 2011di Matteo Bressan
L’ondata rivoluzionaria che sta scuotendo il Nord Africa così come il Medio Oriente non deve portarci a semplicistiche considerazioni. Si percepisce infatti la sensazione, da parte di alcuni opinionisti e politici italiani, di essere di fronte ad processo storico evolutivo che porterà, quegli Stati dove sono in atto imponenti stravolgimenti, al raggiungimento di vere e proprie forme di democrazia compiuta.
Sentendo poi alcuni agghiaccianti accostamenti tra quella che fu la rivoluzione iraniana e quello che si sta osservando oggi si rimane molto preoccupati.
Si viene a scoprire infatti che molti intellettuali e militanti della sinistra nostrana avevano guardato con speranzosa benevolenza alla rivoluzione di Khomeini salvo poi accorgersi, tempo dopo, quale tipo di minaccia si fosse venuta a creare in Iran. Oggi non conosciamo o quantomeno non possiamo prevedere quali saranno gli esiti di queste insorgenze in molti casi sorte a causa della povertà e dalla fame, ma in altri casi spinte o peggio ancora sostenute dall’Iran. Possiamo rimanere fermamente convinti che alla fine ci sarà un vero e proprio processo evolutivo delle Istituzioni e di quei paesi governati sin qui in maniera dispotica?
Stiamo valutando attentamente quale sia il rischio della nostra sicurezza energetica e le conseguenze umanitarie che si riverseranno sui paesi del Mediterraneo?
Siamo sicuri che alla fine di questo pericoloso domino non ci si possa ritrovare con un’influenza della Cina estesa al Nord Africa o peggio ancora alla nascita di formazioni appartenenti alla galassia di Al qaeda a poche miglia dalle nostre coste?
È possibile che in mezzo a tante e sanguinose rivolte si sia smarrita la visione strategia di quello che è in primo luogo il principale paese esportatore del fondamentalismo islamico?Ci si è forse dimenticati che il padrino dei movimenti terroristici presenti in Libano, Iraq e Afghanistan è riuscito anche in questa ondata di rivolte ad uscire sostanzialmente indenne. È pensabile che di fronte al crollo dei regimi illiberali del Nord Africa ci si dimentichi del vero manovratore, che vive al sicuro a Theran, e si finisca per accumunare il tutto in una grande rivoluzione per la democrazia?
Nucleare italiano: ennesima pagina di ipocrisia nazionale
19 febbraio 2011di Matteo Bressan
L’allarmismo lanciato dal Senatore del PD Francesco Ferrante sulla possibilità di realizzare al confine con l’Umbria un deposito di stoccaggio delle scorie nucleari, rilancia una annoso dibattito della politica italiana: nucleare si nucleare no. La storia del nucleare italiano è, se vogliamo, lo specchio di assenza di politica strategica e sperpero di risorse che per anni hanno caratterizzato il nostro paese.L’Italia, è bene ricordarlo, è stata uno dei paesi più all’avanguardia nel settore della ricerca e della produzione dell’energia nucleare.Se consideriamo infatti le limitazioni imposte all’Italia con il Trattato di Pace del 1947, si rimane stupiti nel constatare che nel 1966 l’Italia era il terzo produttore di energia nucleare dopo Stati Uniti e Gran Bretagna. L’Italia in una prima fase si dotò di tre tipi di reattori differenti ma tutti di tecnologia anglo americana, che una volta sviluppati raggiunsero i più alti standard di produzione a livello europeo.
Gli esiti del referendum del 1987 contro il nucleare, determinato dall’emotività suscitata dal disastro di Černobyl’ e da una sapiente campagna di informazione mirata ad affossare il programma nucleare italiano, portarono alla scelta politica negli anni 1988 e 1990 di interrompere la produzione dell’energia nucleare e la chiusura delle tre centrali ancora funzionanti. Sarebbe interessante capire quali attori internazionali spinsero l’allora classe dirigente ad affidare un tema così strategico per la sicurezza nazionale al non certo indicato strumento referendario che, mai come in quella occasione, favorì il nostro attuale maggior fornitore di energia nucleare, vale a dire la Francia. Il pensiero dominante di quella fase storica fu che con l’interruzione del programma nucleare italiano, che di fatto tagliò le gambe ad anni di investimenti e know how non indifferente, si poteva essere il paradiso ecologico dell’Europa pur avendo centrali nucleari a ridosso dei propri confini, si veda Francia e Jugoslavia. È evidente che questo approccio altamente autolesionista ed ipocrita, tipicamente italiano, è stato la causa principale del costo record in Europa, per chilowattora, che i contribuenti pagano per l’energia.Ciò non significa che i risultati raggiunti prima del 1986 contribuissero al fabbisogno energetico nazionale, ma certamente possiamo altrettanto dire che la strada delle sole energie rinnovabili o alternative non può da sola compensare un giusto mix di approvvigionamento energetico all’interno del quale il nucleare gioca un ruolo certamente importante. Se al referendum del 1987 aggiungiamo i costi e problemi derivati dalla gestione dei cinque impianti, per i quali ancora oggi la Società gestione impianti nucleari (SOGIN) è attiva nella fase di nuclear decommissioning, possiamo ben comprendere quali e quanti danni abbia rappresentato l’uscita dell’Italia dal programma nucleare.
Oggi assistiamo, ancora una volta, alle prese di posizioni di una certa parte politica e alle barricate alzate da alcune Regioni che si stanno nuovamente scagliando contro il nucleare, in una fase storica caratterizzata dalla permanente instabilità dei nostri maggiori paesi fornitori di energia (si vedano le rivolte di questi giorni in Libia, Tunisia, Egitto e Iran). La partita del nostro fabbisogno energetico è stata spiegata in maniera molto chiara dal Governo Berlusconi che si è posto come obiettivo quello di suddividere la produzione di energia elettrica dalla seguenti fonti: 25% da energia nucleare, 25% da fonti rinnovabili e 50% da fossile. La nuova politica annunciata dal Governo italiano punta a tagliare le emissioni di gas serra, ridurre la dipendenza energetica dall’estero e abbassare il costo dell’energia elettrica all’utente finale.
Giuseppe Moles: le idee, il turbo della rivoluzione liberale
9 febbraio 2011Intervista di Matteo Bressan
In un momento in cui il rapporto tra i giovani e la politica è ridotto al lumicino è forse

On Giuseppe Moles, laurea in scienze politiche, indirizzo internazionale; Professore universitario, Esperto di relazioni internazionali e di comunicazione e mass media
significativo (e per molti versi esemplare) discutere con l’on. Giuseppe Moles, un leader politico giovane ma già forgiato da forti esperienze ad alti livelli istituzionali, i temi più spinosi dell’attualità in un locale tradizionalmente frequentato da giovani romani all’ora dell’aperitivo domenicale.
On. Moles i giovani non hanno una grande opinione della politica italiana, ma al tempo stesso sono una componente decisiva per la vittoria elettorale. Secondo lei come è considerato il mondo giovanile dalla politica? E perché un giovane dovrebbe votare per il centro destra?
Innanzitutto sono felicissimo di questo incontro, perché “voi siete la politica” e perché avete il coraggio di fare politica ben sapendo che altrimenti la politica comunque si occupa di voi. Quindi, così come ho fatto io, fate politica per “legittima difesa” ma con il vantaggio di avere dalla vostra la forza delle idee vincenti: quelle idee che non solo hanno vinto prima ma che è necessario far vincere domani. Non è facile fare politica oggi venendo da una tradizione di Forza Italia in un momento storico così difficile. È molto più semplice invece essere stupidamente proni ai cattivi maestri della contestazione di sinistra. Inoltre sono felicissimo di essere qui perché voi siete la evidente dimostrazione che esiste ancora, e mi auguro anche abbia sempre più forza e rilevanza, quella componente giovanile che tanto ha fatto nei 16 anni della vita politica di Berlusconi, e cioè quella di Forza Italia, che è parsa a volte porsi in secondo piano rispetto al semplice movimentismo di destra sociale.
Ma allora può riuscire la fusione tra i due movimenti giovanili?
Assolutamente si, sono poche le cose che ci dividono dai nostri amici provenienti da AN ma molte quelle che ci uniscono. A condizione però che le nostre idee, i nostri valori, quello in cui crediamo, quello che Berlusconi ha sempre sostenuto non vengano offuscate dalle logiche di palazzo. Dobbiamo e dovete essere orgogliosi di quello che siamo, perché anche giovani ex FI sanno fare politica, magari non urlata, hanno idee che sono quelle giuste e sanno, quando vogliono e quando possono, portarle avanti con la forza e la coerenza che li contraddistingue.
Se ascoltiamo alcune voci sorge spontaneo un quesito: il PdL è all’inizio o alla fine del suo percorso politico?
Non possiamo cambiare il passato ma possiamo influire sul futuro. La rivoluzione di Berlusconi è nata per cambiare l’esistente. Non per gestirlo. In tutti questi anni a causa di una serie di fattori indipendenti dalla vera volontà di Berlusconi la rivoluzione liberale italiana è iniziata ma non si è compiuta, e ciò spesso proprio a causa delle logiche perverse della politica politicante. Tre esempi per tutti: il tradimento di Bossi del 94 con l’avallo del Presidente della Repubblica; le enormi difficoltà e i veti posti dall’UDC di Casini nel precedente Governo Berlusconi; la pazzia perversa di Fini oggi. Ben venga non solo una rivoluzione fiscale ma anche qualsiasi riforma che tenti di abbattere finalmente il potere vero, quello dell’establishment.
Ma proprio adesso On. Moles? Con tutte le difficoltà del momento storico?
Si, soprattutto adesso, perché è il momento storico che segnerà la frattura con il passato. O i poteri forti abbattono noi e Berlusconi o noi rilanciamo la grande riforma liberale con la forza delle idee. E quindi avanti con la riduzione delle aliquote, la separazione delle carriere dei magistrati, la cancellazione degli enti inutili, il presidenzialismo, la modifica del sistema elettorale.
Un sistema elettorale che non va bene perché di fatto siete dei nominati…
Chi lo dice ha ragione. La mia personale preferenza è per l’uninominale secco all’americana. Ma siccome ritengo che i sistemi elettorali sono degli strumenti, la fortuna o meno di un sistema elettorale la fa chi lo utilizza. Anche con un sistema elettorale uninominale si potrebbero verificare casi di “nominati” ma bisognerebbe vedere che tipo di assetto vogliamo e, sulla base di quello, adattare il sistema elettorale. Questa legge avrebbe potuto consentire anche a chi non ha enormi disponibilità finanziarie o di partito di entrare in Parlamento e portare la propria professionalità e contributo ed era questo l’intento di Berlusconi; purtroppo è anche vero che poi le perversioni hanno colpito questo sistema. Il ritorno al Mattarellum sarebbe un primo passo avanti. Secondo alcuni calcoli se al 2008 avessimo avuto il Mattarellum il Popolo della Libertà avrebbe avuto una maggioranza superiore perfino dell’attuale.
Che assetto ipotizza per un partito moderno? Il partito delle tessere o il partito che si mobilita solo per i grandi appuntamenti?
È ormai chiaro che a Berlusconi il contenitore PDL così com’è non piace. Quando Berlusconi dice potessi tornare a FI non fa solo riferimento al contenitore, ma fa riferimento a quello che FI era. Un insieme eterogeneo ma tendenzialmente unito dai valori comuni e rivoluzionari all’interno del quale senza le storture e le beghe del partitismo stile vecchia repubblica, convivevano tutta una serie di componenti senza che mai si sia verificato nessun tipo di divisione perché il programma rivoluzionario univa su quei principi e su quei valori tutti. In secondo luogo c’era una sintesi effettuata diversamente da Berlusconi che ha sempre premiato le persone in base non all’appartenenza a correnti o componenti ma in base a quello che sapevano fare o alle idee che avevano. Questo a maggior ragione era importante in quello che era il giovanile di FI, che era un pour puri di gente entusiasta che si era avvicinata a quelle che erano le idee vincenti. Qualsiasi sia il contenitore, se non ci si mettono le idee, rischia di diventare uno dei tanti partiti modello Prima Repubblica. Perciò anche io ho sottoposto, nel mio piccolo, un contributo in tal senso a Berlusconi sul futuro del nostro movimento.
Movimento o partito?
Mi piacerebbe che si tornasse al movimento. Mi piacerebbe che fosse più il partito delle idee che quello delle tessere.
Che opinione si è fatto della miriade di associazioni, circoli e club che compongono la galassia del PdL?
Qualsiasi iniziativa presente passata e futura che possa essere utile a far si che il PdL in quanto movimento possa diventare il partito unico del centrodestra italiano mi vede favorevole. Ma se l’intento fosse quello di affermare componenti o correnti mi farebbe schifo. Ho partecipato e parteciperò a qualsiasi manifestazione di queste realtà, ma se mi accorgessi che la finalità è separare anziché unire ne trarrò conclusioni.
Secondo lei Berlusconi ristrutturerà il centrodestra procedendo con un cambio generazionale?
Il cosiddetto “cambio generazionale” è un concetto molto populistico e mi fa venire i brividi. Un cambio generazionale significa annullare in un colpo solo sia cose positive sia fattori negativi allo stesso tempo. La classe dirigente di oggi era giovane ieri. Ma senza quella che è oggi la classe dirigente, i giovani di domani da chi potrebbero ricevere il testimone delle idee e dei valori vincenti? Anni fa ci fu una tesi di laurea affidata dall’ On. Antonio Martino ad una studentessa. Questa verificò che il 95 % dei testi di economia politica nelle Università italiane erano keynesiani e solo il 5% erano monetaristi. Le nostre idee, quelle di Berlusconi sono il libero mercato, la libera impresa, l’avversione alla patrimoniale e la limitazione dell’ingerenza dello stato. Da chi possiamo apprendere queste cose se cancelliamo una generazione che deve insegnare? Diverso è invece individuare nuovi e migliori strumenti che consentano a chiunque, a prescindere dalla generazione, di dare il suo contributo al PDL.
In questi giorni stiamo registrando l’ennesimo scontro tra politica e magistratura. Un duello infinito?
È necessaria la separazione dei poteri e la separazione delle carriere. Se una componente, seppure minoritaria, della magistratura fa politica non siamo in un paese civile: automaticamente rende non più liberi ed indipendenti gli altri poteri, e ciò alla faccia di quella grande componente della magistratura che fa il suo lavoro ed il suo dovere in silenzio. Questa è l’unica magistratura che noi rispettiamo, quella magistratura che non guarda dal buco della serratura per un anno sputando su uno dei principi liberali più sacri: la libertà personale e la privacy.
Che idea si è fatto di quanto sta avvenendo in Medio Oriente ed in particolare in Tunisia ed Egitto?
Se mai ce ne fosse bisogno è la dimostrazione del fallimento della politica del Presidente Obama. Fin dall’inizio ha abbassato la guardia nei confronti degli estremismi aprendo all’Iran e ad altri non solo ricevendone schiaffi in faccia ma anche legittimandoli e ponendo le premesse che potrebbero consentire loro di impossessarsi dell’intero Medio Oriente. L’appoggio di Obama alla piazza in Egitto non favorisce una transizione democratica gestita con l’attenzione dovuta. Tutti noi riteniamo che la libertà sia un valore assoluto ma, nonostante tutte le critiche, proprio Berlusconi ha bene esposto quella che deve essere una linea in politica estera giusta, indicando la necessità di una attenta e non frettolosa fase di transizione dell’Egitto. Hamas ha in mano Gaza, Hezbollah ha il potere in Libano, l’Iran è degli ayatollah, ci manca solo che l’estremismo islamico metta le mani sull’Egitto.
La scorsa settimana una sua collega, l’On. Calipari, ha contestato l’eccessiva spesa per le operazione militari in Afghanistan che, a suo dire, avrebbero tolto risorse dalla spese di ricostruzione e cooperazione. Qual è il suo punto di vista su questa vicenda e sulla situazione in Afghanistan?
L’On. Calipari è un’amica ma, come al solito, fa propaganda pur sapendo perfettamente che ogni operazione o intervento all’estero costa di tre fasi: militare, militare e civile, civile. È evidente che in Afghanistan siamo ancora nella prima fase, che è quelle di assicurare il controllo e la sicurezza sul tutto il territorio. Sarebbe molto bello poter solo stanziare soldi per fare asili senza che i bambini rischino di saltare su una bomba mentre vanno a scuola. Invece dovremmo aumentare uomini e risorse per portare a termine la missione e per consegnare il paese alle sue istituzioni. Altrimenti non si onorerebbe il sacrificio dei nostri morti. Non ti difendi da un RPG solo dicendo che hai stanziato soldini per opere di bene.
Ma perché non si parla abbastanza del peacekeeping italiano che rappresenta un modello vincente delle nostre Forze Armate?
I nostri militari si contraddistinguono per un approccio estremamente professionale e nello stesso tempo elastico negli impegni delle missioni all’estero, e questo è uno dei punti di forza delle nostre partecipazioni. È indubbio che ci siano state molte difficoltà per superare la propaganda cattocomunista che per anni ha identificato il militare con l’uomo di destra, il fascista. Oggi, per fortuna, il clima è in parte cambiato, e la gente pian piano è tornata e guardare con affetto le donne e gli uomini in divisa.
A proposito delle nostre missioni militari. Alla luce della caduta del Governo Hariri, ha ancora senso la nostra presenza in Libano?
Sono stato sempre contrario alla missione in Libano perché in realtà l’hanno voluta Prodi e D’Alema solo per far dimenticare che erano scappati dall’Iraq; in più hanno limitato e mortificato l’azione dei nostri militari con assurde regole di ingaggio. Se il compito affidato dall’ Onu era di disarmare Hezbollah le regole imposte dal nostro Governo hanno rischiato di mettere in pericolo i nostri militari, tanto da rischiare di farli trovare tra due fuochi senza possibilità di agire. Un esempio su tutti: se i nostri militari fermano un camion di armi di Hezbollah non possono sequestrarli ma devono chiamare i militari libanesi e consegnare loro uomini e armi; il problema è che, però, la gran parte dei componenti dell’esercito libanese proviene proprio da Hezbollah. Io sposterei i nostri militari dal Libano all’Afghanistan proprio per perseguire quanto detto prima: più truppe, più controllo del territorio, più sicurezza.
Foibe, il 10 Febbraio Giornata del Ricordo per tutti?
8 febbraio 2011di Matteo Bressan
A due giorni dal 10 febbraio, data in cui si ricorda il dramma delle foibe e dell’esodo, molti si interrogano su come e quanto le celebrazioni istituzionali di questi drammatici eventi abbiamo realmente cambiato l’impostazione di molti manuali di storica contemporanea. A giudicare dall’esiguo numero di studenti che hanno optato per il tema di maturità sulle vicende del confine orientale e il dramma delle foibe viene da pensare che poco sia stato fatto nelle sedi preposte a studiare e a spiegare la storia dei nostri connazionali. Non deve quindi stupire se i migliori prodotti della storiografica sulle foibe, l’ esodo, i prigionieri di guerra italiani in Unione Sovietica restano lavori isolati e, nella maggior parte dei casi, considerati storia minore. La sensazione che alcuni settori del mondo accademico, per non parlare di coloro che si sono scagliati contro i lavori di Pansa, siano indifferenti, se non proprio restii a rivedere alcuni assiomi della storiografia italiana è molto forte.
Nonostante ciò molto si è fatto e molto ha contribuito anche la televisione che sicuramente può essere più incisiva sul grande pubblico rispetto ad un manuale di storia, ma certamente è necessario che le giovani generazioni possano comprendere sin dalla giovane età quali e quante sfaccettature ci possano essere nell’interpretare la storia. Si potrà obiettare che non tutto può essere scritto su un manuale e che pertanto si è costretti ad operare delle cesure ma molte volte anche dei singoli spunti, possono fare molto soprattutto se si parla della nostra storia, della storia del nostro Paese.
L’Occidente non deve chiudere gli occhi sul colpo di stato in Libano
26 gennaio 2011di Matteo Bressan
Il Presidente libanese Michel Suleiman e il presidente del parlamento Nabih Berri hanno firmato il decreto con cui si incarica formalmente l’ex primo ministro filo siriano Najb Mikati di formare il nuovo governo libanese. Najb Mikati, il deputato centrista, uomo di affari vicino alla Siria si è affrettato a dichiarare che cercherà di essere il Primo Ministro di tutti i libanesi, tentando di smarcarsi dalle posizioni politiche di Hezbollah, salvo però la difesa della la resistenza nazionale.
Considerando che circa l’80% della comunità sunnita, schierata con Hariri, ha subito la nomina di Mikati a Primo Ministro, così come i cristiani maroniti di Samir Geagea e tutti gli altri partiti della coalizione 14 Marzo, c’è da restare molto scettici di fronte a queste prime dichiarazioni solo apparentemente concilianti. Chi conosce il Libano infatti sa bene che cosa significhi la resistenza nazionale e quali forze politiche, Hezbollah e Iran, hanno creato un vera e propria esaltazione della resistenza nazionale contro Israele.
Andando poi ad analizzare quali fattori abbiano determinato lo spostamento degli 11 parlamentari del leader druso Walid Jumblatt, che di fatto ha capovolto i rapporti di forza in Parlamento a favore della colazione dell’ 8 Marzo, si scoprono alcuni fatti inquietanti. Molti cittadini di Beirut hanno infatti testimoniato la presenza di numerosi miliziani di Hezbollah che sarebbero scesi armati per le vie di Beirut rievocando nelle menti dei drusi i sanguinosi scontri del 2008. Per questo motivo e per testimoniare le violenze e le minacce del Partito di Dio in queste ore i libanesi che si riconoscono nella coalizione elettorale che ha vinto le elezioni politiche del 2009 stanno scendendo in piazza per protestare contro il ribaltone che sta andando in scena in Libano.
Nel frattempo i cristiani maroniti guidati da Samir Geagea, già da due giorni, si stanno radunando a Freedom Square, la piazza nel centro di Beirut dove si trova il sacrario di Rafiq Hariri e gli uomini della sua scorta e nella quale si riversarono migliaia di libanesi per chiedere il ritiro della Siria, insieme alle altre componenti della coalizione del 14 Marzo hanno esposto cartelli contro Hezbollah e contro quello che pare agli occhi dei più attenti come un colpo di stato camuffato da ribaltone parlamentare.
Oggi a distanza di pochi anni si comprende che quel ritiro fu solo parziale e non intaccò mai il peso politico di Damasco negli affari libanesi sia nel settore della sicurezza che nella formazione dei quadri militari. In queste ore molto tese viene anche da chiedersi se e quale dovrà essere il ruolo della missione Unifil in un contesto che a questo punto è totalmente cambiato rispetto all’estate del 2006 e dove sarà difficile ipotizzare, seppur lontanamente, il disarmo di Hezbollah. Avrà ancora senso mantenere una forza multinazionale con un Primo Ministro che con molta probabilità cercherà di raffreddare le possibili condanne del Tribunale Speciale che indaga sull’omicidio Hariri?
Le prime reazioni internazionali non si sono fatte attendere e ieri sera il Dipartimento di Stato americano, pur riservandosi di verificare la composizione del nuovo Governo, ha manifestato i rischi che potrebbe comportare la crescente influenza di Hezbollah nel prossimo esecutivo. Del tutto diverso l’approccio del responsabile della politica estera dell’ Unione Europea, Catherine Ashton che auspica che il neo Primo Ministro libanese si impegni per creare il più ampio consenso possibile intorno al nascente esecutivo. Ancora una volta e nonostante le evidenti pressioni di Hezbollah, l’Unione Europea ha perso l’occasione per chiamare, in maniera appropriata quello che solo chi non vuole vedere è a tutti gli effetti un colpo di stato.
Crisi di Governo in Libano: Hezbollah prepara il colpo di stato?
13 gennaio 2011La crisi del già fragile Governo Hariri innescata dalle dimissioni di ben undici Ministri dell’opposizione sui trenta che compongono l’esecutivo sembra rappresentare una delle due opzioni in mano ad Hezbollah per fermare le ormai prossime accuse del Tribunale Speciale che indaga sull’omicidio del Premier Rafiq Hariri.
Di fatto con le dimissioni di un terzo dei Ministri il Presidente Michel Sleiman è obbligato a verificare le disponibilità di tutte le forze politiche per creare un nuovo esecutivo.
È chiaro a questo punto che l’obiettivo del Partito di Dio, che ha sempre visto il Tribunale come un’ingerenza dello stato ebraico nella vita politica libanese, sarebbe pronto a giocare la sua vitale partita affinché il nuovo esecutivo possa assumere una minore determinazione nel rispettare le ormai imminenti accuse della Corte.
Lo stessa dichiarazione dei Ministri dimissionari pubblicata sul sito Al – Manar, canale televisivo di Hezbollah, segna un possibile punto di non ritorno nella fase delle trattative e dell’ unità nazionale.
Vengono rivolti infatti dei precisi ringraziamenti al ruolo di mediazione svolto da Arabia Saudita e Siria nel tentativo di ridimensionare gli effetti dell’attività del Tribunale Speciale.
Allo stesso tempo però si riconosce il fallimento dell’azione dei due principali “padrini” della stabilità libanese e si punto il dito su quelle forze politiche, sostenute dagli Stati Uniti e da Israele, che avrebbero perso l’occasione di sottrarre il Libano dalla destabilizzazione.
Il messaggio dei Ministri dimissionari, così come la fase politica che si andrà a delineare nelle prossime ore potrebbe far sperare in una soluzione politica dell’attuale crisi ma allo stesso tempo non si può non denunciare con preoccupazione quali semi di rinnovata discordia si siano lanciati in queste ore.
Il passo dall’accusa di responsabilità politica delle forze, che a detta dell’opposizione guidata da Hezbollah avrebbero reso impossibile l’unità nazionale del Libano, alla discriminazione delle stesse potrebbe essere breve. Rapida e concretizzabile in poche ore invece potrebbero essere la presa del potere da parte di Hezbollah.
Non è infatti una novità che la seconda opzione in mano al partito di Dio per uscire dal vicolo cieco della probabile condanna del Tribunale sia quella di attuare una rapida presa del potere, facilitata dal grandissimo arsenale militare fornito in questi anni da Siria e Iran.
È bene ricordare che un simile scenario metterebbe seriamente a rischio la componente cristiano maronita della popolazione libanese che perderebbe in pochissimo tempo qualsiasi tutela e garanzia proprio in un momento così difficile per le minoranze cristiane del Medio Oriente.
Caso Battisti: Lula nega l’estradizione
2 gennaio 2011Commento di Matteo Bressan – Coordinatore Provinciale Giovane Italia Terni
Il parere negativo dell’Avvocatura Generale del Brasile all’estradizione del terrorista Cesare Battisti anticipa il parere che il Presidente Lula ha comunicato da poche ore. In sostanza quindi l’Avvocatura e il Presidente Lula hanno riconosciuto lo status di rifugiato politico ad un conclamato pluriomicida.
La gravità di una simile decisione è ovviamente sotto gli occhi di tutti perché di fatto si andrebbe a legittimare la lotta armata degli anni di piombo in Italia riconoscendo ad un brutale assassino l’onore di aver addirittura combattuto per una causa politicamente giusta. Si badi bene però che i contorni di questa vicenda non sono ancora molto chiari. Non bastano infatti le simpatie di alcune note star come l’attrice Fanny Ardant e la Carla Bruni nei riguardi di qualche terrorista nostrano a giustificare un certo buonismo verso i cattivi maestri. Vi è piuttosto un preoccupante atteggiamento
culturale, se così può essere definito, che alberga nei salotti buoni, così come in molte università italiane, e che concepisce come “normali” alcune anomalie tutte italiane o peggio ancora, riconosce nelle lotta armata contro lo Stato e le forze dell’ordine delle giuste e sane motivazioni. Non si spiegherebbe altrimenti il clima di tolleranza manifestato da ampi settori della magistratura nei riguardi dei teppisti che hanno messo a ferro e a fuoco Roma lo scorso 14 dicembre. Non si spiegherebbe come sia possibile dare come per scontato l’occupazione permanente di alcune aule universitarie da parte di soggetti che tutto sembrano essere meno che studenti universitari. Non andrei quindi a scomodare e rispolverare l’ignominiosa dottrina Mitterand che ha consentito protezione ed impunità ad un folto gruppo di terroristi italiani per ricercare le cause che stanno consentendo a Battisti di farla franca ancora una volta. Certamente pur non disponendo ancora di elementi che possano chiarire quali possano essere le ragioni di un simile atteggiamento da parte delle istituzioni brasiliane posso altresì avanzare dei leciti dubbi sulla credibilità delle medesime istituzioni che sia a livello economico che a livello diplomatico hanno manifestato una notevole dinamicità soprattutto negli ultimi anni.
Quanto è credibile a livello internazionale uno Stato che aspira ad essere la quinta economia al mondo e che al tempo stesso riconosce l’asilo politico ad un terrorista come Cesare Battisti? Dopo questa vicenda si potrà ancora dare credito ad uno paese che non più di qualche mese fa aveva cercato addirittura di svolgere un ruolo determinante insieme alla Turchia nella complessa questione del nucleare iraniano?
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Mi viene il sospetto che dietro a quello strano terrorismo di Sinistra, ci sia stata proprio la Francia. Strano come tutti i terroristi (Brigate rosse), dopo aver compiuto misfatti e crimini di ogni genere, scappassero proprio in Francia!
La riforma Gelmini è legge: ora si realizzi un sistema universitario razionale e meritocratico
24 dicembre 2010di Matteo Bressan
Passata la furia e la guerriglia urbana del 14 dicembre, così come rispedite alle opposizioni le accuse di facciata e di maniera sui contenuti della riforma, il Senato ha approvato ieri pomeriggio la tanto discussa riforma Gelmini. Tra le tante novità previste nel disegno di legge tre meritano particolare attenzione proprio perché su queste si concentrano le speranze e le aspettative degli studenti. In primo luogo è prevista infatti una riorganizzazione e fusione degli atenei con meno iscritti e con attività simili. Parallelamente si effettuerà un taglio netto della miriade di corsi di laurea prodotti dall’infausta riforma Berlinguer che tanto hanno danneggiato gli studenti alle prese del mercato del lavoro. Sul fronte dei ricercatori invece si interverrà andando a limitare entro i sei anni il termine entro il quale si può praticare attività di ricerca all’interno delle università. Con questo intervento, duro sotto certi aspetti ma doveroso visti i tempi, si cercherà appunto di frenare un fenomeno, quello dei precari a vita, che per anni ha costituito il serbatoio di voti e false speranze del centro – sinistra. Infine è previsto un limite di mandato per i rettori, peraltro sfiduciabili dal senato accademico, e una serie di limitazioni fino al quarto grado di parentela per partecipare ai concorsi accademici. Una riforma quindi che vuole consegnare all’Italia un’ università più dinamica, più adatta alle sfide e alle esigenze del mercato del lavoro e che vuole spezzare la deriva sessantottina che ancora oggi alberga nelle nostre università.
18 dicembre: giornata della moratoria per la pena di morte
19 dicembre 2010di Matteo Bressan
Il 18 dicembre 2007 l’Assemblea Generale delle Nazioni unite ratificava, 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti, la moratoria universale della pena di morte approvata dalla commissione.
La moratoria è una proposta di sospendere l’applicazione della pena di morte in tutti i paesi appartenenti alle Nazioni Unite.
Va precisato che la moratoria tecnicamente sospende l’utilizzo della pena di morte che però rimane sostanzialmente presente negli ordinamenti giuridici dove questa trova applicazione.
L’Italia, Amnesty International e la Comunità di Sant’Egidio sono stati sin dai primi tentativi i principali protagonisti di questa iniziativa in campo internazionale.
Questa importante ricorrenza ci colpisce oggi più che mai anche alla luce di quello che è il dibattito sempre aperto sulle sentenze capitali e sulla deterrenza che queste avrebbero sui potenziali assassini.
L’ultimo esecuzione, dell’omicida John David Duty, avvenuta ieri negli Stati Uniti ha destato grandi polemiche alla luce dell’utilizzo di un farmaco veterinario usato per ammazzare animali.
Wikileaks: Hezbollah può colpire Israele
12 dicembre 2010di Matteo Bressan
I documenti confidenziali divulgati da wikileaks confermano i timori e i sospetti della comunità internazionale circa il riarmo del Partito di Dio.
Nel dettaglio è emerso che Hezbollah dovrebbe disporre di un arsenale di circa 50.000 razzi e missili e, tra questi, almeno 40/50 missili terra aria Fateh – 110 in grado di colpire Israele.
Sempre dai documenti sono emerse le principali direttrici del traffico di armi che coinvolge il Medio Oriente: armi dal Sudan per Hamas,armi dall’Iran a Hezbollah e missili dalla Corea del Nord a Iran e Siria.
Il coinvolgimento della Corea del Nord non va mai dimenticato soprattutto in relazione a quanto avvenuto in Siria nel lontano 6 settembre del 2007.
In quell’occasione l’aviazione israeliana bombardò un’area nel Nord della Siria, denominata Dayr az-Zwar, dove secondo l’intelligence israeliana, il regime di Damasco avrebbe stoccato materiali, tecnologie, e sistemi d’arma forniti dalla Corea del Nord, utili per assemblare missili a media e lunga gittata con testate atomiche.
PDL: EMANUELE OCCHIPINTI VICEPRESIDENTE GIOVANI ‘TORIES’
10 dicembre 2010Appartiene ai Giovani della Liberta’-Pdl il vicepresidente dell’internazionale dei movimenti
giovanili di centrodestra (International Young Democrat Union), con Matteo Bressan della delegazione umbra, si tratta di Emanuele Occhipinti eletto in questa carica al congresso dei Giovani ‘Tories’ di tutto il mondo svoltosi in questi giorni a Londra. Lo rende noto un comunicato. Il congresso, spiega Marco Casella, coordinatore dei Giovani per la Liberta’ e vicepresidente uscente dell’Iydu, ”e’ stata una occasione utile per rafforzare il legame tra i giovani del Pdl e le altre delegazioni dei movimenti giovanili di centrodestra provenienti da molti paesi e da ogni continente”. ”Esserci riproposti in questo contesto – hanno detto Casella e Carlo De Romanis, segretario generale dei Giovani del Ppe – nel ruolo di protagonisti nella famiglia mondiale dei moderati, e’ motivo di orgoglio, in quanto conferma che il nostro partito
e’ tra i pochi a vantare membri eletti in tutti i network giovanili internazionali del centrodestra. Il nostro candidato ha ottenuto il 90% dei voti e si e’ classificato primo tra tutti i concorrenti degli altri paesi europei. Siamo convinti che il Pdl possa gia’ esprimere una classe dirigente giovane, capace di sostenere e vincere le grandi sfide politiche a livello globale”.
”L’Iydu – sottolinea il neoeletto Occhipinti – e’ un network globalmente impegnato in favore dei diritti umani e della democrazia fondata sul libero mercato. Fin da ora intensificheremo la nostra azione contro Mugabe, Fidel Castro e il regime teocratico in Iran perche’ i nostri coetanei possano, come noi, respirare finalmente un’aria di liberta’ ”.
Tornano i maneggioni della politica
6 dicembre 2010Dott. Matteo Bressan – Coordinatore Provinciale Giovane Italia Terni
È sconcertante sentire che a distanza di anni, in un momento di oggettive difficoltà economiche a livello internazionale, ci siano ancora forze politiche che elogiano i metodi e il consociativismo della prima repubblica che tanto hanno devastato il nostro paese.
Allo stesso modo ritengo doveroso smascherare tutti coloro che in questi giorni si stanno trincerando dietro il rigido impianto costituzionale pur di attaccare la moralità e le novità portate in politica dal Presidente Berlusconi.
Si deve prendere atto che la volontà popolare non può essere sovvertita da congiure e maneggi di palazzo che hanno determinato la paralisi di questo paese per più di cinquant’ anni.
Questa paralisi e questo sistema che oggi vogliono recuperare i maneggioni della politica, come giustamente li ha definiti il Presidente Berlusconi, sono il frutto di una Costituzione, sicuramente piena di buone intenzioni, ma che ha di fatto impedito qualsiasi forma di governabilità in Italia.
Se i premi di maggioranza, tesi a garantire la governabilità, fanno paura a questo o a quel partitino sarà bene sin da ora smascherare l’ennesimo attacco dei presunti soloni della politica, della sinistra e dei maneggioni, che vogliono riaprire una stagione vergognosa della politica.
Chi ha perso le elezioni o chi è uscito, per il proprio tornaconto dal Governo, non può avere la pretesa di dettare le regole e l’agenda della maggioranza.
Guai a non applaudire Saviano
17 novembre 2010di Matteo Bressan
Quando nel lontano 2006 uscì il libro Gomorra di Roberto Saviano si squarciò un importante velo sul mondo e i rituali della camorra e delle organizzazioni criminali.
Il libro ebbe così tanto successo che nel 2008 l’eccellente regia di Matteo Garrone e l’importante interpretazione di Toni Servillo produssero la vincente versione cinematografica del libro di Saviano.
Come spesso avviene in Italia però, i primati delle vendite nelle librerie, e in questo caso anche nelle sale cinematografiche, possono generare un diffuso senso di dogmatica e messianica verità in tutto ciò che viene detto e scritto.
Una volta messo in movimento un simile e perverso ingranaggio nessuno ha però avuto più il coraggio di esternare o quantomeno verificare qualsiasi affermazione di Roberto Saviano.
Tale dogma si è però interrotto lo scorso lunedì quando Saviano ha lanciato accuse, anzi sentenze nel più perfetto e inquietante parolaio da inizio anni ’90.
Giusta quindi la risposta e la presa di posizione del Ministro dell’Interno Maroni che ha chiesto di poter replicare in una nota trasmissione televisiva alle accuse dell’inconfutabile Saviano.
Non può passare più il principio secondo il quale nel momento in cui si scrive e si compie una battaglia culturale contro la criminalità organizzata si abbia la titolarità di sparare sentenze contro questo o quel partito.
Bisognerebbe ricordare infatti all’ottimo Saviano che è stato il Governo Berlusconi insieme al leghista Maroni a portare l’esercito in Campania per contrastare i Casalesi ed è stato sempre questo Governo a varare una serie di provvedimenti per colpire duramente le organizzazioni criminali, soprattutto sotto l’aspetto patrimoniale.
La cattura di Antonio Iovine è l’ennesimo colpo inferto al mondo della criminalità organizzata e se non si vuole riconoscere e dare giusto valore ai risultati di questa dura e difficile lotta alla criminalità vuol dire che si è diventati strumento di falsa informazione in mano ad una parte politica.
Pieno rispetto quindi per il Saviano scrittore ma altrettanto rispetto per chi sta quotidianamente lottando contro la criminalità organizzata.
I libri sono utili ma con i libri non si catturano i latitanti.
Muro di Berlino 21 anni dopo… il 9 novembre 1989
8 novembre 2010di Matteo Bressan e Nico Camilli – Giovine Italia Terni
Il coordinamento provinciale della Giovane Italia, movimento giovanile del PDL, vuole ricordare l’importanza storica e politica della ricorrenza della caduta del Muro di Berlino, 9 novembre 1989, affinché un evento così significativo diventi e si consolidi nelle future generazione come un passaggio chiave della lotta per la libertà e per la democrazia contro tutte le forme di totalitarismo. Il muro non ha rappresentato solamente una limitazione della libertà di movimento della popolazione di Berlino ma ha di fatto impedito una libera circolazione delle idee andando a determinare due stili di vita e due economie differenti. È bene ricordare, nelle opportune sedi, come l’amministrazione Regan dal punto di vista politico e il ruolo svolto dal Pontefice Giovanni Paolo II abbiano contribuito rispettivamente ad esasperare le contraddizioni del regime comunista dell’Unione Sovietica e a fornire una cassa di risonanza alle popolazioni oppresse. Allo stesso tempo non vanno dimenticati gli sforzi del Presidente Michail Gorbačëv, la Glasnost e Perestroika, tesi a normalizzare e a trasformare una realtà politico sociale ormai in fase stagnante. Il crollo del muro di Berlino oltre a rappresentare la fine del totalitarismo comunista e della Guerra Fredda deve essere un monito e un esempio di ritrovata libertà e pace non solo in Europa ma in tutto il mondo.
Università, risposta di Giovane Italia di Terni al consigliere regionale Stufara
24 settembre 2010di Matteo Bressan – Coordinatore Provinciale Giovane Italia Terni
Apprendo con stupore le dichiarazioni del consigliere Damiano Stufara che ha ben pensato di sfruttare in maniera demagogica la protesta dei precari dell’università di Perugia per sparare a zero contro il Governo Berlusconi e il Ministro Gelmini. Vogliamo ricordare a tutti coloro che oggi a vario titolo si schierano con i precari che la difficile strada intrapresa dal Ministro Gelmini, di riformare il disastrato sistema universitario, è un passaggio obbligato per uscire dall’ambiguità prodotta dalla riforma De Mauro. Abbiamo il dovere di ricordare i danni prodotti da quella riforma di cui ancora oggi molti giovani laureati risentono le conseguenze. Un sistema che è servito a regalare cattedre e docenze e che ha spezzettato l’offerta formativa didattica in una miriade di corsi di laurea totalmente inadatti a consentire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Comprendiamo quindi le difficoltà dei precari ma non accettiamo l’ennesima propaganda contro il Governo.
Esteri, la Siria e i nuovi scenari mediorientali
23 settembre 2010di Matteo Bressan
I cambi di fronte e le pressioni dei potenti vicini del Libano su una comunità piuttosto che su un’altra sono una costante della vita politica del Paese dei Cedri. Allo stesso tempo la storia del Libano è segnata dall’arrivo degli eserciti stranieri e dalle milizie armate: l’Olp, i siriani, i sauditi, gli yemeniti del Nord, i sudanesi, gli israeliani, gli americani, i francesi, gli italiani e il contingente britannico sono stati sempre ben accolti dal gioioso, scaltro e sospettoso libanese. Tutti gli eserciti che hanno attraversato o stazionato in Libano si sono sempre impegnati a non fermarsi una sola ora, un solo minuto più del necessario, per poi uscire dal complesso scenario libanese frustrati o umiliati.
Questa costante, insieme alla frammentazione comunitaria e confessionale della società libanese, va tenuta in considerazione alla luce di quanto sta avvenendo all’ombra del vertice tra Israele e Autorità Nazionale palestinese. Infatti, pur constatando che il fulcro della difficile partita è incentrato sul tentativo dell’amministrazione Obama – discutibile nei modi – di giungere alla costituzione di uno Stato palestinese, non sfuggono le manovre di Arabia Saudita ed Emirati Arabi di allontanare la Siria da Hezbollah, l’ingombrante Partito di Dio.
In questa direzione vanno anche le dichiarazioni del premier Saad Hariri, il quale, dopo aver per quattro anni puntato il dito contro la Siria quale mandante dell’assassinio del padre Rafiq, ha spiazzato molti analisti. In realtà erano emersi segnali di riavvicinamento già dallo scorso dicembre, quando il giovane Hariri aveva effettuato una storica visita in Siria, la prima delle tante che si sono succedute negli ultimi mesi. In quell’occasione evidenziammo che l’unica strada politica percorribile in vista della stabilizzazione del Libano passava per Damasco. Le dichiarazioni concilianti del premier Hariri, tese a distendere i rapporti tra Libano e Siria scagionando quest’ultima dal coinvolgimento nell’omicidio del padre, lasciano intuire come il vero pericolo sia Hezbollah. Nel giro di un anno, infatti, anche le indagini del Tribunale Speciale libanese hanno attutito le responsabilità siriane, per concentrarsi sul Partito di Dio.
La Siria torna quindi a giocare il ruolo di arbitro e paciere del Libano, e torna ad applicare quella che è stata storicamente la dottrina di Damasco nei confronti del Paese dei Cedri. La Siria, infatti, intervenuta nella guerra civile del 1975 a sostegno dei cristiani maroniti, ha sempre alimentato una latente conflittualità tra le varie comunità senza mai prediligere o sostenere la supremazia di una sulle altre. La stabilità del Libano è stata anche, in passato, un motivo di ricchezza per l’economia della Siria, che ha sempre gestito la tensione con Israele in base alle convenienze regionali e internazionali.
A questo punto, però, la partita sembra essere più difficile del solito. Per tre motivi. In primo luogo perché una politica eccessivamente filo-siriana metterebbe in difficoltà gli equilibri della
Coalizione del 14 marzo, attualmente al governo e nata in chiave anti-siriana. Il secondo problema è poi costituito dall’arsenale e dalla compattezza di Hezbollah, che nel sud del Libano è ormai a tutti gli effetti il vero padrone e arbitro della stessa sorte della missione UNIFIL. Hezbollah, infatti, potrebbe non gradire una restrizione del proprio campo di azione politico e militare e potrebbe saldare ancora di più i propri legami con l’Iran. Il rischio che il giocattolo sia sfuggito di mano e che la situazione possa degenerare è inoltre supportato dall’interesse che lo stesso Ahmadinejad sta dedicando al Libano. Il presidente iraniano, infatti, sarà in visita ufficiale il prossimo 13 ottobre in Libano e, oltre a visitare i luoghi della «resistenza» del Partito di Dio contro l’acerrimo nemico israeliano, potrebbe offrire al Paese dei Cedri nuove forniture di armi in sostituzione di quelle americane. Va ricordato, infatti, che dopo l’incidente avvenuto lo scorso agosto alla frontiera tra Libano e Israele, gli Usa hanno sospeso le forniture all’esercito libanese poiché seriamente preoccupati delle infiltrazioni di Hezbollah all’interno di questo. Non è da escludersi, pertanto, la possibilità che la Siria cerchi di armare e sganciare Amal, il partito del presidente del Parlamento libanese Nabih Berri, da Hezbollah, come gli incidenti avvenuti alla fine di agosto a Beirut ovest sembrano far pensare.