Claudio Ricci (portavoce centro destra e liste civiche) ha (dopo il presidente della Regione Umbria) illustrato le proposte sugli indirizzi del programma amministrativo (2015/2020) citando (come hanno fatto gli altri Consiglieri Regionali di centro destra e civiche) la priorità dello sviluppo, del lavoro e del sostegno alle persone (in Umbria sono cresciute sino a 30.000 le famiglie in condizione di povertà relativa) cercando di “risparmiare e aumentare l’efficienza” per reperire le risorse, unitamente al quadro europeo, per attivare la crescita e diminuire le tasse. Strategico sarà internazionalizzare l’Umbria per promuovere meglio i prodotti, anche turistico culturali, e attrarre investimenti mettendo insieme pubblico, privati e associazioni; migliorare i servizi sanitari a partire dalla (more…)
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Claudio Ricci, il Gruppo Centro Destra e Civiche Vota Contro le la Mozione sul Programma del Presidente della Regione Umbria: Valuteremo Ogni Atto e Faremo Proposte Alernative.
29 luglio 2015Umbria – Tre cose da fare subito : Riforme, nuovi rapporti politici e rimpasti di Giunta
4 novembre 2010di Darko Strelnikov
E’ cominciata la corsa al “dobbiamo cambiare”. Dopo l’apertura dell’inchiesta sulla sanità, si va avanti a botte di richieste di autocritica, di buoni propositi per il futuro, di dichiarazione sulla necessità di “invertire la rotta e rompere con il passato”. Persino i sindacati, che hanno fatto del consociativismo la bandiera della loro presenza negli enti pubblici umbri, reclamano (ma con che coraggio senza mettersi in discussione?) il cambiamento. Insomma dalle parti del centrosinistra in generale e del Partito Democratico in particolare, c’è una specie di fuggi fuggi dalle responsabilità e di messa in onda del gioco delle tre scimmiette (non c’ero, non sapevo, non vedevo, non sentivo, non parlavo). Sembra quasi che molti abbiano vissuto in un mondo lontano anni luce dalla nostra regione. Invece erano qui e partecipavano attivamente alla gestione del sistema di Governo (o di potere se vi piace di più) creato nell’ultimo decennio ed ora sotto accusa. Chi, come me ed altri, ne parla da anni in termini politici, è stato spesso messo alla gogna, come eretico da sbattere sul rogo. Oggi, chi tappava gli orecchi, deve fare i conti con la dura “verità rivelata”. L’impressione però è che, ancora una volta, l’approccio non sia dei migliori e che si sia alle prese di posizione, ai riti di palazzo. Sembra che molti siano in attesa di tempi migliori, per poi gradatamente riprendere il lavoro : “da dove l’avevamo lasciato”. Non ci sono stati, infatti, segnali politici chiari di inversione di tendenza. Anzi, in alcuni casi (leggi la Presidenza della Vus), sono ricominciate le battaglie intestine. Ci si avvita su parole come “ trasparenza”, “merito”, “discontinuità”, che dicono tutto e non dicono niente. Persino l’opposizione sceglie strade per me sbagliate. Chiedere nuove regole per la nomina dei manager sanitari è aria fritta. L’esperienza insegna che più lacci si mettono, più si ingessano le norme, più si restringono le possibilità di opzione e più si creano le possibilità di fare “aborti”. Il punto è la modifica strutturale di un metodo e di una cultura, che è comune sia alla destra che ad una certa sinistra e cioè quella di privilegiare, negli incarichi, gli amici e gli amici degli amici. Unico requisito richiesto la fedeltà. Meglio se accompagnato da una scarsa capacità e intelligenza; cose che rendono più tranquillo il manovratore. Ma allora quali dovrebbero essere i segnali di cambiamento da mettere immediatamente in campo? Proverò ad elencarne qualcuno:1) Naturalmente le riforme. Riforme non aggiustamenti. Occorre un mezzo terremoto. Deve rimanere solo ciò che veramente serve ed essere cassato tutto quello (ed è tanto) che è inutile. Gran parte delle competenze oggi in mano ad un esercito di enti devono essere trasferite alle istituzioni elettive, anche per una questione di democrazia : sono le uniche il cui operato può essere giudicato dai cittadini. Niente nuove agenzie, via tutto l’intermedio, una sola Asl e va allargato il processo di accorpamento delle aziende pubbliche. Dopo quella dei trasporti ci vogliono quelle dei rifiuti e dell’acqua. Insomma un trend diverso, nel quale le nomine entrerebbero nel palmo delle due mani, costringendo tutti a fare in conti con la competenza, l’affidabilità e l’esperienza dei candidati.2) Le continue sconfitte elettorali, l’emergere di un sistema politico clientelare, deve imporre alla guida del centrosinistra una revisione dei rapporti interni. Il Partito Democratico è chiamato ad un bagno di umiltà e a rinunciare a fare la parte dell’asso pigliatutto e del dio- imperatore che decide ogni cosa. Il Pd ha in Umbria un potere che nessun altro partito, nemmeno il Pci, si è sognato di possedere. Ha tutte le principali presidenze, i sindaci delle città più grandi (dove non li ha è perché ha perso con il centrodestra o con altri), la maggioranza (spesso i 2/3 degli assessorati) nelle giunte, la conduzione dei Consigli. Invece di pensare, come ancora di salvezza, di allargare , ancora una volta, le sue alleanze verso l’Udc (che in questi giorni sta lanciando ponti d’oro alla Marini), condivida le responsabilità con gli attuali partners, costruisca un vero progetto comune di legislatura, impegnando tutte le istituzioni al raggiungimento degli obiettivi concordati. 3) Questo si porta dietro un altro processo da iniziare immediatamente : Il rinnovamento della classe dirigente. Qui mi tirerò dietro tutti gli strali possibili, ma, com’è mio costume, non mi sottrarrò ad esercitare il diritto di critica. E’ sotto gli occhi di tutti che, perlomeno negli ultimi 15 anni, si è assistito ad un graduale e costante peggioramento della qualità degli amministratori. Se non si riconosce questo dato è difficile produrre innovazioni per il futuro. C’è una discreta dose di incompetenza in giro, condita con qualche piccolo sorso di incapacità e di improvvisazione nella gestione della cosa pubblica, soprattutto nelle Giunte (non prendo in esame i Consigli, perché sono scatole vuote prive di poteri, che non incidono minimamente sulle scelte degli esecutivi). Questo, fra parentesi, ha reso sempre più difficile il lavoro dei Presidenti e dei sindaci eletti e li ha costretti ad assumersi in proprio, gran parte delle responsabilità dell’amministrazione. E’ l’effetto di una pratica che deve soddisfare gli orticelli delle formazioni minori e gli orti delle correnti dei democratici. Il primo correttivo da introdurre è quello di fare un accurato esame della situazione e prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di andare a rimpasti di Giunta in molti enti, mettendo dentro persone di riconosciuta capacità e dando maggiore fiducia ai giovani (se ci sono) che si sono veramente distinti nell’attività politica per spirito di servizio, che hanno già avuto esperienze pubbliche e che meritano, quindi, di essere messi alla prova. Non una rivoluzione, ma un cambiamento che dia un segnale preciso a tutta la società regionale e cioè che il merito e il rinnovamento vero (e non solo di anagrafe) diventano i principali se non gli unici criteri di scelta. 4) Fatto tutto questo abbiamo risolto? Ci abbiamo messo una pezza, una bella pezza. Perché manca ancora il futuro. Bisogna costruire meccanismi che aiutino la crescita di una nuova classe dirigente. La lancetta è già sul rosso. Le prossime elezioni amministrative testimoniano la grande difficoltà di tutte le forze politiche e dei poli a trovare candidati riconosciuti, popolari e competitivi. La generazione del 68 fa fatica a trovare sostituti. E allora ad Assisi spuntano riconferme e vecchi nomi, A Gubbio si brancola nel buio o si mettono in pista nomi di bandiera e a Città di Castello non si è ancora deciso se andare sull’usato sicuro (Bacchetta), su un dirigente di belle speranze (Biagini) o su un nome illustre che richiama la storia della nostra sinistra (Zaganelli). E, in questa confusione, il partito che soffre di più è il Pd, che scopre come le sue anime e i suoi dirigenti locali, non abbiano più il feeling di una volta con i cittadini. Per invertire questa tendenza le cose da fare sono due : una politica ed una istituzionale. I partiti debbono rivalorizzare e rivitalizzare le strutture di base, per rimettere in moto un meccanismo di confronto diretto sui problemi reali della gente e dare l’opportunità ad una nuova generazione di misurarsi sul campo con la politica delle cose e non dei palazzi. I comuni devono creare nei quartieri e nelle frazioni organismi di base, elettivi, senza compenso per i partecipanti, che costituiscano un ponte di congiunzione diretta tra l’amministrazione e i cittadini e, nel contempo, una utile palestra per decine e decine di persone, che così potranno iniziare a misurarsi su problemi, come gestione della cosa pubblica, bilancio, scelte. Tutto ciò perché la futura classe dirigente non si forma alle scuole di partito, che ci devono essere perché aiutano, ma alla scuola delle esperienze vissute sul terreno diretto, sul territorio, tra e con la gente, avendo come riferimento, una cosa ormai messa in soffitta, il bene comune. Per la serie, quando l’ovvietà diventa necessità.