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ARCHEOLOGIA A TERNI: NON C’ERANO I CELTI MA GLI UMBRI NAHARKI

27 novembre 2012

di Marina Antinori

La popolazione protostorica degli “Umbri Naharki” è stato l’argomento della trasmissione “Il Salotto Buono …di Sera” condotto da Livia Torre, andato in onda il 21 novembre alle ore 20,40 su Teleterni, visibile anche in web streaming. Ospiti in studio sono stati la dott.ssa Maria Cristina De Angelis della Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Umbria, la dott.ssa Marina Antinori, il dott. Stefano Ferrari, e Stefano Montori del Gruppo Speleologico delle Terre Arnolfe.

Gli argomenti trattati da parte dei rappresentati della Soprintendenza sono stati la necropoli delle (more…)

“La Pompei del centro-Italia”: Carsulae

17 gennaio 2011

di Francesca Romana Plebani

Francesca Romana Plebani

Le rovine dell’antica  Carsulae romana (Comune di Terni e Sangemini[1]) sono ubicate lungo l’originario ramo occidentale della Via Flaminia, asse viario di fondamentale importanza che permetteva la comunicazione tra Roma e le zone alto-adriatiche.

Va premesso che il territorio del ternano entrò nell’orbita d’interesse di Roma quando questa, nella seconda metà del IV sec a.C., pianificò la conquista dell’Italia centro – orientale. A seguito della battaglia di Sentino (295 a.C.) e grazie all’azione militare di M. Curio Dentato, avvenne la definitiva occupazione della zona, la quale fu rafforzata dalla fondazione di alcune colonie e dall’apertura della Via Flaminia. La romanizzazione di queste aree comportò, dunque, una più razionale organizzazione del territorio attraverso pianificati ed intensi interventi di urbanizzazione: Carsulae, colonia romana fondata successivamente al 220 a.C. (apertura della via Flaminia), ne costituisce uno tra i più tangibili segni.

Le rovine di questa città antica furono descritte e identificate fin dal XVII secolo. Tuttavia, soltanto le campagne di scavo svoltesi tra il 1951 e il 1972 hanno permesso di riportare alla luce buona parte del foro, il teatro e l’anfiteatro, un lungo tratto della Via Flaminia[2] e alcune tombe monumentali.

La città occupa un’area di oltre 20 ettari, di cui con immediata evidenza salta agli occhi la favorevole e strategica posizione geografica: protetta ad est dalle pendici del poggio Chicchirichi, propaggine meridionale dei vicini e visibili Monti Martani, si estende su un pianoro appena ondulato, con direzioni aperte ad ovest, a nord e a sud, dominando la vallata del torrente Naia, immissario del Tevere. Rispetto all’originario nucleo insediativo di fine III sec. a.C., s’ingrandì successivamente non solo per la sua posizione privilegiata lungo la via Flaminia, ma anche per la bellezza del luogo, di cui ne rimane memoria nelle parole di Tacito[3] e di Plinio il Giovane[4].

La via Flaminia, attraversando la città in senso nord-sud, coincide con il cardo maximus della città. Il tratto urbano della strada è pavimentato con basoli e, all’altezza dell’ingresso al foro, incrocia il decumanus maximus, altro fondamentale asse viario, che, con orientamento est-ovest, conduce agli edifici di spettacolo.

Templi Gemelli

Divenuta municipium e iscritta alla tribù Clustumina, Carsulae viene menzionata da Strabone (Geogr. V, 2, 10) tra i centri più importanti lungo la strada consolare. Tacito (Hist. III, 60), rivela che il sito venne scelto da Vespasiano per accamparvi, durante l’inverno dell’anno 69 d. C., le sue truppe in marcia verso Roma alla conquista del soglio imperiale, in considerazione sia alla possibilità di recuperare rifornimenti dai fiorenti municipi vicini, e in virtù della sua posizione strategica, posta di fronte alle truppe fedeli a Vitellio, acquartierate a Narni. Si devono a Plinio il Vecchio (Nat. Hist. XVII, 213) le notizie circa il terreno locale, particolarmente adatto alla coltivazione della vite, mentre è Plinio il Giovane (Ep. I, 4) a testimoniare la presenza nel territorio carsulano di parte della proprietà della sua ricca suocera, Pompea Celerina.
La città conobbe il momento di massimo splendore tra il I ed il II sec. d.C., periodo a cui è riferibile la maggior parte degli edifici pubblici finora rinvenuti. Nulla resta del nucleo insediativo originario, formatosi probabilmente già nel corso del III sec. a.C., poco dopo la costruzione della strada.

Carsulae fu abbandonata in seguito ad un grave evento tellurico, collocabile ragionevolmente intorno al IV sec. d.C., evento che si rivelò catastrofico poiché, oltre ad abbattere numerosi edifici, comportò il collasso di alcune delle doline carsiche sopra le quali erano stati costruiti i principali edifici pubblici. Il cataclisma fu con tutta probabilità il colpo di grazia per la città, che già impoverita dallo spostamento ad est della Via Flaminia e dalla sua posizione che la rese successivamente esposta alle invasioni barbariche, finì per ridursi l’ombra delle sue antiche vestigia.

Nel medioevo, fu abitata soltanto da una comunità benedettina, raccoltasi intorno alla chiesa dei Santi Cosma e Damiano[5], che non a caso, fu edificata con materiali di rimpiego, su di un edificio romano nei pressi del foro.

Nel corso del 1500 iniziarono i primi scavi ad opera dei Conti Cesi, fra cui Federico, fondatore nel 1602 della prestigiosa Accademia dei Lincei.

Complice la luce di queste assolate giornate di metà gennaio, lo splendido panorama, incorniciato da un terso cielo azzurro, il Parco archeologico di Carsulae, oltre al suo inestimabile valore culturale, assume i contorni di una preziosa oasi di bellezza nel territorio dell’Umbria meridionale.

Chiesa Santi Cosma e Damiano

 

Approfondimenti: Il Centro Visita e Documentazione “Umberto Ciotti”, realizzato grazie alla collaborazione tra il Comune di Terni e la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria, sorge a sud dell’area archeologica, in posizione rialzata rispetto agli scavi, e funge da porta d’ingresso alla città romana e da punto di accoglienza, informazione ed orientamento per i visitatori. Al suo interno ci sono la biglietteria, un bookshop, un angolo giochi per bambini, la sala di studio “Cinzia Perissinotto” sul territorio della bassa Umbria ed un’aula didattica. Nelle due sale superiori e nella galleria centrale è allestita un’esposizione permanente di reperti, rinvenuti durante gli scavi condotti fra il 1951 e il 1972, che si riappropriano del loro contesto originario dopo esserne stati allontanati per motivi logistici e di sicurezza.

http://carsulae.it/home.php?lang=ita

http://www.fastionline.org/micro_view.php?fst_cd=AIAC_1027&curcol=sea_cd-AIAC_3104


[1] Carsulae si raggiunge facilmente dalla Villa di Monte Solare percorrendo la E45 in direzione Terni e, superata Acquasparta, uscendo a Sangemini.

[2] Partendo da sud e seguendo quest’antica via consolare si intravedono le terme, attualmente ancora interrate, ma di cui si conoscono la struttura e l’esistenza di pavimenti a mosaico.

[3]Tacito, Hist., III, 60. “I capi del partito, giunti a Carsulae, si prendono pochi giorni di riposo […] . La località stessa del campo era assai piacevole: la vista era molto ampia, assicurati i rifornimenti per le truppe, avevano alle spalle municipi estremamente fiorenti […].

[4] Ep. I, 4.

[5] La venerazione di questi due santi sarebbe da porsi in relazione con il culto dei Dioscuri, largamente diffusosi in Umbria in età medio-repubblicana, e che a Carsuale sembrerebbe trovare la sua sede presso i templi gemelli – di età augustea – siti nei pressi del foro, e a breve distanza dalla chiesa stessa. Il culto dei gemelli divini, infatti, potrebbe essersi tradotto nella devozione, a partire dal VI sec. d.C., dei santi Cosma e Damiano, gemelli medici martirizzati tramite decapitazione nel 300 d.C.

I CELTI E L’UMBRIA

11 ottobre 2009
croce celtica

croce celtica


di Diego Antolini

Dal punto di vista militare i Celti possedevano grandi abilità, che permisero loro di espandersi praticamente su tutto il continente europeo, dalla Spagna alla Boemia, dalle Isole Britanniche al Mediterraneo.

I Celti, popolazione di origine indoeuropea dal passato ancora in buona parte oscuro,  si sarebbero formati come popolo all’incirca nel 600 a.C. nel bacino dell’Europa centrale (tra il basso Rodano e l’Alto Danubio). Di cultura nomade, essi furono protagonisti di varie e importanti ondate migratorie che li portarono a colonizzare l’Europa, venendo a contatto con le genti che allora popolavano il continente (Sciiti, Kurgan, Greci, Etruschi, popoli del Nord). Da tale incontro i Celti mutuarono alcune usanze, come la costruzione di tumuli funerari e la venerazione per il cavallo. I Romani, dalle cui fonti abbiamo la maggior parte di notizie riguardanti questo popolo misterioso, narrano di gente guerriera e barbara, che conservava le teste dei nemici a protezione della casa e praticava sacrifici umani e cannibalismo.

Sarebbe tuttavia riduttivo dipingere un’immagine dei Celti così limitata e crudele, se pensiamo alla loro struttura sociale, stratificata in tre livelli di base: il druido (sacerdote), il cavaliere (uomo di potere economico e militare) e il popolo. Il trittico sacro era abilmente intrecciato nel tessuto sociale, con il Druido come “tramite” tra la natura e l’uomo, il guerriero come condottiero in battaglia e il popolo come piattaforma sociologica familiare. Se è vero infatti che i Druidi, erano l’apice della piramide sociale, la famiglia, riunita in clan, ne rappresentava le fondamenta. Da qui il perfetto equilibrio trifunzionale di questa cultura.

Dal punto di vista militare i Celti possedevano grandi abilità, che permisero loro di espandersi praticamente su tutto il continente europeo, dalla Spagna alla Boemia, dalle Isole Britanniche al Mediterraneo.

La religione, che risente moltissimo dell’origine indoeuropea del ceppo originario celtico, contemplava la reincarnazione, la rigenerazione dell’anima e la resurrezione; il culto della natura e il contatto con il cosmo era la matrice mistica fondamentale. Del pantheon celtico va menzionato il trittico Teutate (dio molto potente che veniva placato con sacrifici umani), Eso (anch’esso dio sanguinario, simboleggiato dal Toro) e Tarani (dio della guerra). In seguito il dio Lugh prese il potere su tutti.

Anche l’Italia ha conosciuto l’influenza celtica. In Umbria questo è ravvisabile anzitutto nel nome di alcune divinità locali antichissime, come il Dio Penn, o Pennin.

Penn significa “cima”, ma alcuni storici romani ne parlano come di una misteriosa divinità femminile. La Dea Pennina venne in seguito sostituita da un nuovo culto maschile, quello di Giove, poi detto Pennino.
L’Umbria sarebbe una delle regioni italiane che presentano più connessioni con il “Popolo della Quercia”, come dimostrano le molte similitudini tra il dialetto umbro e la lingua celtica (ancora oggi conservata intatta grazie alla diffusione del gaelico in Irlanda, in Galles e in Scozia).

Ad esempio l’articolo “il” si dice “Lu” in gaelico, ma anche nel dialetto ternano. Come Asun è Asino, Mul è Mulo e Gapr è la Capra per entrambi gli idiomi.

Il professor Farinacci fondò anni fa un’associazione (nel ternano) con lo scopo di dimostrare l’origine celtica delle popolazioni e delle tradizioni umbre. Questa sua tesi è accompagnata da moltissimi indizi: a Monte Spergolate (Stroncone) si trova un tempio dedicato al Sole; a Torre Alta c’è un osservatorio astronomico ancestrale, formato da una roccia–menhir con la cima scavata, a formare una vaschetta quadrata riempita d’acqua. Le costellazioni si specchiavano nella vasca e indicavano nei vari periodi dell’anno solstizi ed equinozi con precisione matematica; a Cesi vi sarebbe la “Pietra Runica di Cesi”, una pietra che presenta simboli runici e che, secondo Farinacci, sarebbero attributivi del “culto fallico”, rituale presente anche a Carsulae.
Qui vi sarebbero tracce del “Culto del Priapos”, antico rito della fertilità legato al Sole che con i suoi raggi mutati in pietra penetrava la Madre Terra e la rendeva fertile.

La conferma dell’esistenza di tali riti nella zona si troverebbe nella presenza di simboli sotto il Menhir, che rappresenterebbero segni zodiacali e il “Fiore della Vita”, simbolo di fertilità, orientato ad Est, verso il Sole (elemento maschile) che tramite il “Priapos” rende fertile la terra (elemento femminile).
Il santuario del culto fallico si sarebbe trovato al posto dell’attuale Chiesa di San Damiano; lì gli iniziati venivano portati per il sacrificio rituale.
Altri indizi a sostegno della tesi dell’influenza celtica in Umbria sono il mosaico con le croci uncinate (o svastiche) e il nodo gordiano, che un tempo dovevano ornare il Santuario del Culto Fallico (oggi il mosaico è conservato al Museo Civico di Spoleto). Nel mosaico è rappresentato un uomo che porta un bastone con una scacchiera in equilibrio e orina. L’immagine descrive forse un Druido nell’atto di preparare la magica “Acqua Santa”, che utilizzava una miscela di orina e acqua. La scacchiera potrebbe rappresentare l’unione delle tribù celtiche sotto il comando di Carsulae.

Presso questo luogo mistico vi sarebbe inoltre l’ingresso del Regno dei Morti, o la Porta di Saman (oggi Arco di San Damiano).

Sulla cultura celtica si protendono ancora molte ombre di carattere mistico ed esoterico, relative soprattutto al ruolo effettivo dei druidi e a quello della donna, la quale era considerata un “veicolo” spirituale e medianico importantissimo. Il principio femminile è stato in seguito interamente sostituito dal predominante maschile della cultura romana, e questo rende molto difficile il lavoro di chi tenta di riportare alla luce i segreti di un popolo che, attraverso i millenni, è capace ancora di suscitare fascino e mistero.