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La “città nel mezzo” Mevania, capitale politica e centro religioso degli antichi Umbri

9 settembre 2013

mevaniaUn fine settimana alla riscoperta della Bevagna più antica. La due giorni organizzata dall’Associazione culturale Perdiquà, seguita da un folto, attento ed interessato pubblico, ha puntato i riflettori sulla storia più lontana. Bevagna, famosa per il suo medioevo, sapientemente riproposto durante il Mercato delle Gaite, contiene una storia più antica in cui la città ricopriva un ruolo di primaria importanza: Capitale dell’Etnos umbro.

L’Archeologo, studioso della storia degli Umbri, Simone Sisani ha coinvolto (more…)

Megara Iblea, la civiltà greca e arcaica che diede origine alla meravigliosa Selinunte

10 febbraio 2012

di Roberta Capodicasa

Il viaggio potrebbe dal punto in cui siamo arrivati scendere dolcemente a Sud, verso Selinunte ma proprio questa intenzione costringe a tornare per un momento sulla costa Est della Sicilia, a Megara Iblea, polis che fu la fondatrice della meravigliosa Selinunte. La costa orientale della Sicilia come abbiamo detto, fu quasi naturalmente investita dalla colonizzazione greca. Era infatti l’area immediatamente raggiungibile dalla Grecia, naturale punto di approdo in vista dello stretto di Messina e quindi del mar Tirreno. Era questa la rotta già percorsa dai Micenei e ripercorsa poi dai colonizzatori di VIII ca.. Non è un caso che tutta quest’area denominata ‘Etnea’, fosse sede dei Ciclopi e dei Lestrigoni, noti personaggi dei poemi omerici e di molte avventure dell’Eroe occidentale per eccellenza, Eracle. La fertilità delle pianure ivi presenti diede vita anche allo stanziamento delle colonie storiche di insediamento tra le quali appunto Megara Iblea fondata dopo una serie di traversie da coloni di Megara Nisea, polis collocata a metà strada tra Corinto ed Atene.

Circa alla stessa epoca anche Lamide venne in Sicilia, conducendo una colonia da Megara, e sopra il fiume Pantacia fondò una città dal nome Trotilo; più tardi andò da lì a Leontini e si associò in una comunità politica coi Calcidesi per un po’ di tempo; da essi fu scacciato e dopo aver fondato Tapso morì, mentre gli altri, costretti a partire da Tapso , fondarono Megara, detta Iblea, dopo che Iblone, un re siculo, aveva consegnato loro il territorio e li aveva condotti a quel luogo (750 a.C.ca.). Dopo avervi abitato per duecento quarantacinque anni, furono espulsi dalla città e dal territorio da Gelone, tiranno dei Siracusani. Ma prima di essere scacciati, cento anni dopo aver istituito la colonia di Megara stessa, avevano fondato Selinunte (628 a.C. ca.), inviandovi Pammmilo…

Questo il racconto dalle parole del nostro compagno di viaggio lo storico antico Tucidide., racconto che si mostra incerto e lacunoso. Quello che ci interessa è però la collocazione della polis nel lembo di terra settentrionale del golfo di Augusta, un terreno ad essi ceduto dal re siculo di Ibla, Iblone da cui deriva chiaramente il nome della polis.

Il sito che ci apprestiamo ad esaminare costituisce un caso emblematico per lo studio di una città di epoca arcaica. Lo scavo iniziato già nell’Ottocento è stato ripreso in modo sistematico solo nel dopoguerra ad opera della scuola francese facene capo a Vallet e Villard.

Gli scavi oltre a fornire dati di estremo interesse per lo studio della città greca in epoca arcaica, ha permesso di ritagliare un’oasi archeologica nell’area presa d’assalto ai nostri giorni dagli impianti industriali delle raffinerie sulla costa tra Augusta e Siracusa. Il piccolo angolo straordinariamente antico degli scavi è ritagliato, infatti, “tra le straordinariamente moderne raffinerie … pensiamo che ci sono forse ancora parti della necropoli (?) sottostanti agli edifici amministrativi di una delle 7 Sorelle che le giacciono placidamente sopra . *
Il sito è di difficile reperimento anche perché le indicazioni sulla strada, almeno quando andai io a visitarla, non sono facilmente rintracciabili, ma avere pazienza e perseverare nella ricerca permette di visitare una città greca arcaica che dovette essere di grande rilievo se appena un secolo dopo la sua fondazione, fu promotrice della felice fondazione di Selinunte nella parte orientale dell’isola. In seguito la guerra contro Gelone, tiranno di Siracusa, le fu fatale e la città fu rasa completamente al suolo: era l’anno 483 a.C.. Il tiranno divise la popolazione in due gruppi: i ricchi, chiamati grassi da Erodoto, che furono trasferiti a Siracusa ed integrati nel corpo civico, gli altri che furono resi schiavi e venduti benché non fossero i responsabili del conflitto. La città nel 415 a.C. era ancora deserta come ricorda Tucidide e sarà nuovamente occupata solo nel 340 ad opera di Timoleonte per subire poi, di lì a poco, un identico destino da parte dei Romani nel 214 a.C.. Come abbiamo accennato, la cattiva stella di Megara Iblea continuerà fino ai nostri giorni ma l’opportunità di visitare lo scavo andrebbe davvero tentata: sarà così possibile accedere direttamente alla visita delle splendide strutture dell’ VIII e VII sec. a.C. e al piccolo Antiquarium. Si potrà conoscere così l’insediamento che si articola su un pianoro alto appena 20 metri sul livello del mare che è ad esso prospiciente sul versante est. Il sito è d’altra parte limitato a Nord e Sud dalla valle del Cantera. L’area da visitare si presenta, dunque, assolutamente pianeggiante priva di un’acropoli e circondata da imponenti mura ma non tali da proteggere la polis dai vari assalti subiti nel corso del tempo. E’ possibile conoscere de visu le case degli antichi abitanti ed entrare nel loro habitat. Lo spazio abitativo era infatti diviso in due lotti: privato (lotti di terra con le case) e pubblico (aree religiose civili e strade). Ogni lotto, isolato dai primi cittadini, era di ca. 12 m. e le case ivi costruite presentavano una superficie abitativa di non più di 15-20 mq e uno spazio antistante con funzione di orto pari a 100-120 mq. Nel corso degli anni la superficie abitativa delle case si doterà di un altro piccolo locale tanto da avere tre piccoli ambienti allineati con apertura a sud verso il cortile.

Fin dal 1948 lo scavo della missione archeologica francese ha messo in luce l’impianto urbano di tutta la zona dell’agorà. L’area si articolava secondo tre assi principali, due in direzione est/ovest e uno nord/sud. Queste strade principali che tagliavano i nuclei abitativi avevano una larghezza dai 5 ai 6 metri.

Ricordo delle strade regolari che mi fecero impressione per la loro precisione e degli spazi abitativi altrettanto ammirevoli per la loro uniformità.

La città sembrava proclamare ancora la sua esistenza nonostante i terribili colpi subiti dalle alterne vicende storiche che l’avevano colpita.

Ricordo bene il mare su cui sembrava affacciarsi con le piccole case e le strade su cui si poteva camminare ancora seguendo tragitti antichi.

Mi ricordo dell’antiquarium e dei nomi dei grandissimi archeologi francesi Georges Vallet e Francois Villard che tanto fecero nella seconda metà del Novecento per riportare alla luce questo splendido sito greco che sembrava non dover mai cessare la sua lotta per la sopravvivenza, mutatis mutandis ancora di più nei nostri civili e modernissimi tempi.

I personaggi che incontrai furono anche essi tremendamente percepibili nella loro ‘lontana vicinanza’: una figura di donna che allattava due bambini e la statua funeraria di un medico, le due celebri sculture provenienti dalle necropoli di Megara, attualmente nello splendido Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi di Siracusa.

Le due statue colpirono moltissimo la mia fantasia: la prima era una statua funeraria di un kouros del colore della carne viva che mi gridava la giovinezza e la morte precoce del personaggio raffigurato, un medico, come dichiarava la frase incisa in caratteri greci sulla coscia; voleva indicare la sua qualifica e la sua generalità, medico Sombrotidas figlio di Mandrokles. La seconda, una statua di circa la metà del VI sec. a.C., che stringeva in un abbraccio affettuoso due fanciulli, pareva conscia della storia pesante vissuta dagli uomini e dalla città che l’aveva ospitata e gridava nonostante tutto con quell’abbraccio, la sua arcaica tenerezza.

Ho voluto e dovuto tornare indietro e fermarmi in particolare su questo sito perché è tanto importante e tanto poco conosciuto anche se ha una storia interessantissima sia nell’antichità che nel presente, perchè è stato amato e scavato da studiosi che stimo moltissimo per la tenacia e la caparbietà e cui devo importanti frammenti del mio vario e vago interesse per la Storia.

Naxos-Tauromenion, emozioni oltre la barriera del tempo

13 ottobre 2011

di Roberta Capodicasa

Proprio a ridosso della strada che s’affaccia sulla splendida e famosa  spiaggia di Giardini Naxos, (Giaddini  in siciliano) frequentata da  numerosi  turisti, si trova lo scavo di Naxos una delle colonie greche più  antiche di Sicilia. Lo scavo, a quanto mi ricordo, è così bene nascosto a sguardi troppo  indifferenti al passato da rendere del tutto probabile la  permanenza a  Giardini per una vacanza e non rendersi neanche conto di trovarsi nei pressi di  uno scavo di straordinario rilievo.

porta di Apollo

Si comincia  la visita da un piccolo Antiquarium all’interno di una struttura  borbonica a Capo Schisò; da qui è possibile orientarsi sull’area archeologica  vera e propria. Mi rendo perfettamente conto a questo punto del bisogno sempre  più necessario di spiegare  la grande rilevanza che dò a questa località, il  motivo affettivo che ad essa mi lega. Ricordo chiaramente che fu uno dei miei
momenti più emozionanti  in Sicilia,  l’accorgermi all’improvviso, girato  l’angolo oltre la splendida e mondana spiaggia di Giardini Naxos , di trovarmi  su uno scavo greco arcaico; d’incanto  la confusione era cessata, lo spazio si era  come dilatato, il silenzio dominava le cose. Mi sembrò di aver superato, senza  accorgermene, la barriera del tempo.  Nasso  fu la prima colonia greca di Sicilia, se vogliamo prestar fede a   Tucidide, e numerosi autori tramandano di Teocle calcidese che insieme ad  alcuni Ioni di Nasso, l’omonima isola delle Cicladi,  avrebbe occupato l’area di Capo Schisò sottraendola probabilmente a degli indigeni Siculi. Il sito dove  sarebbe sorta Naxos doveva essere un approdo sicuro  ed obbligato per le navi  che facevano

panorama Giardini Naxos - Taormina

rotta verso Occidente dal Mediterraneo Orientale. I primi coloni  sarebbero arrivati su una spiaggia dove eressero un tempio ad Apollo  Archeghetes il dio di Delo protettore dell’impresa coloniale, nell’anno 754 a. C.: anche questo riferimento a Delo ci riporta all’area delle Cicladi da cui proveniva il nucleo forte dei coloni, considerato anche il nome dato al sito e  mutuato probabilmente dalla omonima isola dell’Egeo, Nasso. Dai pochi dati che  abbiamo risulta che la polis fu partecipe degli eventi politico economico  militari che riguardarono la costa est della Sicilia per tutta l’età arcaica e  si trovò spesso in lotta con Siracusa. Le guerre intestine caratteristiche del  mondo greco la videro completamente distrutta da Dionigi, il celebre tiranno  siracusano, nel 403 a. C.. Gli abitanti superstiti cercarono continuamente  di

Gelsomino

riprendere possesso della polis fino a che Andromaco, padre del grande storico  Timeo, non vide più opportuno abbandonare il sito di Nasso per preferire  quello  prospiciente di Tauromenion, la moderna Taormina, città gentilmente  appoggiata su una collina a 200 m. slm. da cui è possibile uno sguardo  meraviglioso sulla costa est della Sicilia fino all’Etna. Il dato d’eccellenza,  tra i molti, su cui ci soffermeremo  è l’essere stata celebre nell’antichità  per il rinomato vino di cui ci testimonia Plinio il Vecchio nella sua opera  Naturalis Historia  insieme alle monete su cui è spesso raffigurato il dio del  vino, Dioniso. Plinio famoso per la sua competenza in materia, prediligeva il vino ‘Taormina bianco’ prodotto con le antiche uve Catarratto bianco*,

grappolo uva catarratto

Carricante, Grillo, Inzolia e Minella bianca.  Tali testimonianze, consentono a questo punto di spendere qualche  insufficiente e certamente povera parola sul vino di Sicilia: il vino siciliano
potrebbe essere davvero confuso con un’ambrosia divina, direttamente donata da  Dioniso; le uve particolari, i raggi del sole cocente sotto cui i chicchi  maturano, il paesaggio caldo e mediterraneo che lo nutre, il suo profumo  impregnato di mare, con il retrogusto al sapore di mandorle,  gli conferiscono un carattere particolare che lo rendono inimitabile: non  riesco mai a decidere dinanzi ad un vino siciliano se mi affascini di più il  colore, il profumo o il sapore. La miscela dei tre è, comunque, un cocktail   prediletto tra le cose amabili di questo mondo e della Sicilia in particolare.

*Il catarratto, l’uva a bacca bianca più diffusa in Sicilia