
Stefano Sallusti
Editoriale di Riccardo Sallusti
Le ultime stime dicono che il debito pubblico italiano ha raggiunto quota 1.875 miliardi di euro. Un dato emblematico, stupefacente, che da solo la dice lunga sulla gestione del denaro pubblico da parte dell’intera classe dirigente del nostro paese. I numeri spesso possono da soli sintetizzare l’andamento di un paese, la sua evoluzione, il suo stato di salute. I dati sull’occupazione, sulla disoccupazione, il reddito pro capite ecc… Ci sono poi altri “termometri” : la qualità della vita, la cultura, il modo di lavorare, e via discorrendo. Torna alla memoria il discorso di Robert kennedy sul Pil negli Stati Uniti: “Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago.

John Kennedy
Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.”
Discorso lungimirante, appassionato che meglio esprime l’anima di un paese. Oggi possiamo porci questa domanda: Siamo orgogliosi di essere italiani? Al di là del Pil e dei numeri, delle eccellenze e delle mediocrità? L’autocritica sembra non essere una delle migliori qualità della popolazione italiana. Se oggi ponessimo questa domanda ai giovani italiani ne uscirebbe uno scenario complesso farcito da un pessimismo in parte giustificato. Il quadro politico italiano è ancorato sulla parete dello scontro perenne, dei litigi, delle chiacchiere. Scontro privato, scontro tra partiti sempre più in fermento. La politica italiana è una questione privata, il nome partito etimologicamente significa “parte”. Aggregato di persone con idee, intenti e gusti comuni, diversi però dall’universale ovvero dall’interesse “collettivo”.
Il partito delibera, elegge un proprio segretario, ha dei propri regolamenti ed ha come obiettivo il perseguimento di determinati obiettivi. Il principale dei fini è il consenso attraverso il quale si possono posizionare le “teste di legno” nei gangli della società. Il “pubblico” diventa terreno di immensi interessi di una parte e dell’altra. I partiti italiani oggi come ieri sono organizzazioni atte a rappresentare interessi privati dei propri membri e dei cosiddetti poteri forti. Le teste di legno sono sedute in parlamento, dopo essere state elette, a difendere i propri interessi, le proprie guarentigie. L’Italia è uno dei pochi paesi in cui la politica è un mestiere. Per un politico italiano e pressoché impossibile farne a meno. L’idea di un lavoro diverso dal fare il politico è uno spauracchio da evitare, il mero obiettivo è resistere il più a lungo possibile all’interno della cabina di comando. Il parlamento, un consiglio regionale, provinciale o comunale diventano sinonimo di vitalizio, prospettiva a lungo termine. Per questo i talk show e le televisioni diventano tribune, piazze virtuali dove guarda caso si parla esclusivamente di “politica”.
La Tv come la politica non fanno altro che parlare di se stesse. L’autoreferenzialità è il primo tassello per cementificare il potere politico. La retorica politica quotidiana inonda tv, radio e giornali. Dai canali pubblici a quelli privati è un crogiuolo di personaggi noti e meno noti della politica. Ci sono esperti, politologi, ministri, segretari e sottosegretari, che ogni giorno si fronteggiano all’ interno di milioni di apparecchi televisivi. Spesso lo scambio di battute è talmente acceso e brutale che il rumore di fondo incomprensibile ai più diventa il vero protagonista della scena. Il conduttore diviene semplicemente un arbitro di boxe pronto a dividere i contendenti dallo scontro. Ci si accorge ben presto di assistere ad uno spettacolo che ha ben poco a che fare con tematiche d’interesse “pubblico”. Lo scontro diviene l’unico modo per riempire una giara altrimenti vuota. Cosa suscita tutto ciò nell’opinione pubblica italiana?
Certamente è difficile non cadere nella retorica, ma di sicuro la repulsione e il disgusto nei confronti della politica è il sentimento più diffuso tra la gente. La stanchezza nel seguire le vicende politiche private nasce dal fatto che i problemi della vita quotidiana sono ben diversi dai problemi di cui si occupano i nostri politici. Tra la retorica del popolo e quella della politica predomina quella politica. La politica senza retorica sarebbe un cadavere vivente.
Provate a pensare una sinistra italiana senza Berlusconi o un Berlusconi senza comunisti…
Di cosa si potrebbe discutere? Un Marco Travaglio, un Santoro, un Emilio Fede senza Berlusconi cosa mai avrebbero potuto fare nella vita? Pensiamo ai giornali senza la politica, sarebbero dei necrologi quotidiani, dei cimeli funebri con qualche annuncio osé nelle ultime pagine. Pensiamo ad un Bruno Vespa costretto solo a fare plastici di villette maledette dove l’assassino non ha un nome. La politica è alla canna del gas pur di tenersi in vita ucciderebbe la madre. Siamo agli sgoccioli, il sipario si sta per chiudere, la crisi vera e presunta del mondo occidentale è al culmine. La politica degli annunci, il marketing politico non sono più sufficienti a tener in vita questo tipo di politica. L’antiberlusconismo sinistroide, l’anticomunismo berlusconiano sono ingredienti scaduti per la ricetta Italia. Mi piacerebbe pensare e credere in un Italia diversa dove la politica non sia la soluzione a tutti i problemi universali di ogni singolo individuo. La politica deve essere decisione, azione atta per esempio a far costruire strade, treni decorosi per chi lavora. La politica presa nel suo ego totalizzante “dimentica” la retorica della gente: Il lavoro, le strade, la ricerca, la sicurezza ecc … Il ballo dei potenti prosegue incurante degli altri “ospiti”. Un ballo che ormai non piace più. Il rischio di far cadere ogni responsabilità sulla politica è forte. Un errore grossolano certamente poiché la politica è lo specchio del popolo. Provare disgusto per i politici è come specchiarsi e dire che noi come comunità siamo belli ed impeccabili. Un narcisismo fuorviante che ha permesso a questa politica di dilagare. Quando un giovane cerca lavoro, viene assunto torna a casa scontento e demoralizzato e dice ai genitori:” mi hanno assunto, ma non ho le ferie pagate, non ho tredicesima, quattordicesima, mi faranno un contratto a progetto per un anno”, i genitori si scaglieranno contro il sistema, contro il politico, dimenticando però che magari anche loro nella loro piccola attività hanno assunto un altro giovane con la stessa modalità.
Nessuno tocchi Caino, il proprio Caino, guai a ledere i propri cari, i propri interessi. Lo facciamo tutti ogni giorno scaricando sugli altri le colpe. Lo fa la politica, lo fa la gente comune che ha il diritto di voto. Possiamo dire tutto su di noi ma non se possiamo essere orgogliosi l’uno dell’ altro…