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PRIVATIZZAZIONI – UN ATI, UNA AZIENDA. I RIFIUTI ALLA GESENU , L’ACQUA ALL’ACEA E LA WEBRED A CHI?

23 gennaio 2012

di Darko Strelnikov

Sia a livello nazionale che a livello regionale i riferimenti all’equità sono completamente scomparsi. Bisogna pagare e basta e non ha nessuna importanza chi è chiamato a farlo. Anzi la Regione e gli Enti locali “nostrani” sono impegnati, mani e piedi a cercare soldi dalle tasche dei cittadini, usando tutti la stessa scusa e cioè i tagli del Governo, di quel Governo (sic) che a Roma appoggiano e a Perugia (sommessamente, ma senza nemmeno un po’ di vergogna) indicano come capro espiatorio. E così addizionali, tasse, tariffe e tributi schizzano verso l’alto. C’è in giro una caccia al soldo che fa paura. Ci sono aziende pubblico – private come “Umbria Acque” che ne studiano di tutti i colori : dal deposito obbligatorio per chi non aveva l’accredito bancario, alla vicenda (poi rientrata) dei pozzi, al taglio delle agevolazioni per le famiglie numerose. Sinceramente questo tipo di politica è l’ennesima dimostrazione che c’è in giro una classe dirigente che manca perlomeno di fantasia, per non citare altri attributi sui quali è meglio non esprimersi. Perché se mancano i soldi, tutti i “corbelli” sono buoni a fare il conto della serva. Mi manca tot e allora chiedo soldi e taglio tanto quanto basta a raggiungere tot. “A prescindere” direbbe Totò. Per questa roba è sufficiente un ragioniere, non c’è bisogno di capi, Giunte, Consigli, apparati e quando fa spesa pubblica. Di ricette alternative non si parla. E non ci si sforza di trovarle. Non c’è quindi da meravigliarsi che nemmeno le più timide proposte di ridistribuzione del reddito vengono prese in considerazione. La cultura di Governo, quelle delle tradizioni delle Giunte sinistra, è stata letteralmente messa sotto i piedi. Ma se la parte ricerca soldi si risolve facilmente con gli aumenti, la parte tagli presenta qualche difficoltà in più, con la quale bisogna fare i conti. E qui si affaccia il problema dei problemi, quello di armonizzare le privatizzazioni dei servizi, come chiede il Governo, con la necessità delle riforme istituzionali e del dimagrimento dell’apparato pubblico. Alcune operazioni che riguardano la Vus e la Webred sarebbero già in corso*. Ma non è questo il punto. Il punto sono le gare di affidamento. Non tanto quelle attuali, ma quelle future. Sappiamo tutti che c’è una babele di società pubblico – private (o viceversa) in giro per l’Umbria. Se, per esempio, nei rifiuti gli attuali Ati vengono accorpati in un’unica struttura è presumibile che, in futuro ci sia un unico gestore. Stessa cosa per l’acqua. Molti territori temono che alla fine questo processo porterà alla nascita di monopoli dominati da società come la Gesenu sponsorizzata da Perugia e l’Acea sponsorizzata da Terni. Attraverso accorpamenti, cessioni, fusioni e alleanze le tante altre aziende umbre scomparirebbero. A Foligno, Spoleto, Città di Castello, Gubbio e al Trasimeno starebbero preparando le barricate. Barricate trasversali tra tutte le forze politiche, compresa la minoranza. La riforma endoregionale aveva fatto credere che la creazione delle unioni comunali avrebbe portato l’autonomia completa dei 12 territori insigniti del titolo di “provincette”. Ognuno, da solo o in aggregazione con altri, sperava di poter mantenere i propri collaudati sistemi di potere, che, per capire le dimensioni,come nel caso della Vus, sono grandi quanto quelli dei capoluoghi. Queste sirene, non vanno certo ascoltate. Perlomeno se messe in questi termini, perchè rappresentano solo interessi politici locali individuali o di corrente. La razionalizzazione e la centralizzazione, come dico da sempre, sono iniziative auspicabili. Ma prima occorre farsi una domanda. Al termine di questo percorso che cosa e quanto rimarrà di pubblico nella gestione dei beni comuni e dei servizi? Temo molto poco. Lo dice la linea tenuta in questi ultimi 10 anni che è stata caratterizzata dalla socializzazione delle perdite e dalla privatizzazione degli utili. In tutti i settori. Basta pensare ai Trasporto dove il pubblico si tiene il Tpl che ha milioni di debiti e vende ai privati la Sipa che fa soldi con i parcheggi. Per la serie “Il guadagno non sta sullo smercio”. Ed è una linea che nel tempo ha spazzato via le balle secondo le quali privatizzare, aiuta la concorrenza, migliora il servizio e fa risparmiare i cittadini. Da noi è successo esattamente l’inverso. Le tariffe sono enormemente cresciute e i servizi discretamente diminuiti. Il tutto cambiando lentamente, ma inesorabilmente, il concetto di servizio pubblico. Non si tiene più conto delle necessità dei cittadini ma dei costi e dei ricavi. Tutto questo mondo è diventato un business, una merce legata alle oscillazioni di mercato e gli utenti dei clienti da spennare. In tutto questo il Centrosinistra non ha nessuna sfida da raccogliere? Non ha niente da dire? Anzi non ha niente da fare? Purtroppo, non vedo prese di posizione o azioni delle amministrazioni tese a difendere il pubblico. La Regione non ha fatto nessun ricorso sui decreti degli ultimi Governi messi in campo da altri. Non si studiano soluzioni giuridiche che possano stoppare o solo limitare la cessione dei beni comuni ai privati. Ci si adegua. Solo i partiti minori (salvo i socialisti) provano ad opporsi. Ma già girano i soliti ricatti. “Non ti sta bene? Quella è la porta”. Tanto, come dice la Presidente Marini “Una maggioranza che Governa questa Regione si trova sempre”. E’ la gente che non si trova più.

*Secondo le voci che corrono e le proposte già sul tavolo :

1) l’unica azienda umbra completamente in mano pubblica, la Vus, si prepara a scorporare i rifiuti e l’energia. Le nuove società dovrebbero diventare S.p.a. con un capitale privato pari al 40%.

2) Da alcuni mesi si starebbe tentando di vendere o di privatizzare quello che un Consigliere Regionale di maggioranza definisce “il bubbone dei bubboni”; la Webred. Diverse settimana fa voci di corridoio parlavano di una trattativa in corso con una grossa società romana (Ingegnering ingegneria informatica s.p.a.) diretta da un Umbro di Lisciano Niccone, Michele Cinaglia (con il quale si sarebbe incontrata nella capitale la stessa Marini). Ma negli ultimi tempi queste voci si sono affievolite perché da ambienti interni alla Regione si sarebbe giunti alla conclusione che l’operazione, nei termini proposti, non “è giuridicamente fattibile”.

LA RICETTA MONTI SBARCA IN UMBRIA? PREOCCUPAZIONI A SINISTRA CRESCONO.

29 novembre 2011

di Darko Strelnikov – Strelnikov.d@libero.it

Il Congresso comunale del Pd di Città di Castello assomiglia tanto ad uno degli ultimi atti della chiusura di un’epoca; quella dell’egemonia della cultura comunista sull’Umbria. La crisi è cominciata diversi anni fa, ma, come ho più volte ricordato, è stata accelerata dalla nascita del Partito Democratico. Le nuove regole nel definire gli organigrammi, nel fare il tesseramento, nel tenere i congressi, nel ruolo delle organizzazioni locali e decentrate e nel concepire la funzione del partito, sono risultate completamente estranee ed indigeste al modo di praticare la lotta, la gestione politica e del potere del gruppo dirigente uscito dalla morte del Pci. Non ci si è resi conto che il “centralismo democratico” era morto e sepolto e che non bastava più proporre una cosa o un nome agli organismi dirigenti per assicurarsi il via libera. Fuorionda qualcuno ha commentato : “ammettiamolo , non ci abbiamo capito niente”. Da qui sono nate una serie di cocenti sconfitte. Mignini che perde con Stramaccioni per la segreteria provinciale del partito, la Lorenzetti che non riesce a fare il terzo mandato in Regione, Locchi che viene eletto “miracolosamente” a “Terni” solo per una stramba norma della legge elettorale, Bottini che prende meno del 50% nelle primarie per l’elezione dei segretari nazionali e regionali ecc. Sconfitte che hanno, poi, costretto ad eleggere a Perugia persone condivise “grigie e impalpabili, come Rossi e Parlavecchio”. Ma è il contesto che fa presagire un futuro ancora peggiore. Intanto il quadro nazionale spinge verso un raggruppamento, una maggioranza moderata con al suo interno una minoranza di sinistra. Poi ci sono alcuni segnali che sono sconfortanti per i bersaniani umbri. Il primo è lo sfondamento della componente cattolica del Pd nelle ex zone rosse come Gubbio e dintorni, Città di Castello e dintorni, come la zona nord del comune di Perugia e dintorni ecc. “Uno sfondamento avvenuto non per l’aumento del peso dei cattolici e dei moderati dentro il partito, ma per il passaggio all’area “modem” di pezzi consistenti di tradizione comunista”. Il sindaco di Gubbio Guerrini, il Consigliere regionale Smacchi, l’assessore comunale di Castello Secondi, il Presidente del Consiglio Provinciale di Perugia Leonelli, i Consiglieri Comunali del capoluogo Bori e Miccioni ecc. provengono tutti da famiglie di “Rossi” che hanno avuto, in molti casi, un ruolo nel Pci o nelle associazioni di massa vicine al Pci. Un fenomeno che ha anche una aggravante : si tratta, in prevalenza, di “giovani promesse”, di esponenti che non avendo conosciuto le rigidità e gli scontri ideologici di un tempo, hanno un approccio diverso alla politica. Un appoggio, molto legato alle singole carriere, “che chi è di cultura stalinista, fatica a comprendere e al quale evidentemente gli altri riescono a dare risposte più convincenti”. Insomma il futuro, oltre al presente, non sembra essere nelle mani di Bottini, Lorenzetti, Locchi, Giovannetti and son. Una compagnia “percepita come vecchia” dove ormai si è costretti a spacciare ancora per novellini “i soliti Cernicchi, Mariuccini, Boccali e la Marini. Gente che, al di là delle loro indubbie capacità, sarebbe stata dichiarata giovane solo usando i criteri del Komsomol sovietico”. Il secondo segnale che emerge è la voglia di parecchi ex comunisti, di differenziare le appartenenze per avere più libertà di azione. A Roma con Bersani e a Perugia con chi mi pare. Insomma la politica delle “mani libere, sotto l’ombrello dell’autonomia scambiata per convenienza”, senza vincoli di corrente e di mandato. E’ il caso del Sindaco di Foligno Mismetti, dell’assessore spoletino Cintioli, del segretario regionale dei giovani Gatticchi, della portavoce delle democratiche umbre Anna Ascani e, dicono alcuni, anche dell’assessore Provinciale Mignini. Il terzo e ultimo segnale è “l’aumento esponenziale” della frammentazione. Gli eredi di Conti, Caponi padre, Gambuli, Corba, Antonini senatore, Ottaviani, Rossi ecc sono ormai diventati una galassia. L’ on Sereni sta con Fassino che non è chiaro con chi faccia comunella; Verini e Agostini a Roma stanno con Veltroni e con i Modem, ma a Perugia sono cane a gatto con Bocci e soprattutto con Guasticchi; Locchi “per rimanere a galla” fa il bipartisan; la Lorenzetti è data in cura dimagrante perché, dice, che ogni giorno “le si restringono i ragazzi” (l’ultimo a lasciarla sarebbe stato Riommi); L’assessore regionale Fernanda Cecchini ha perso maggioranza e “autorevolezza” nel tifernate, Batino del lago è sotto il tiro di Duca, Bianchi, Carloia e Giovagnola; i principali rappresentanti nelle istituzioni (Marini, Boccali e Giulietti di Umbertide) provano a fare “parrocchia per conto loro”, scoprendo però che “alla loro messa si presentano in pochi a fare la comunione” e, infine, il “povero” Bottini che cerca di “mettere un po’ d’ordine con pochi poteri, enormi difficoltà e scarsi risultati (anche se da non buttare tenendo conto del contesto in cui è costretto ad operare)”. La fine dei Leader ha coinciso con le difficoltà di questo mondo. Oggi, sia in Italia che in Umbria, non c’è una figura in grado di fare la sintesi delle varie posizioni ed esigenze. “E non è solo questione di uomini o di donne di peso”. La mancanza e la fine della figura carismatica del “segretario” ha fatto il resto. Oggi il clima è da “tana libera tutti”. Le conseguenze sono chiarissime. “Se oggi nella nostra regione ci fosse il congresso dei democratici, la maggioranza del Pd sarebbe di un altro colore”. Tanto più che la puzza di balena bianca ha allontanato dagli ex comunisti anche gli uomini di Letta e di Franceschini. Cominciano a capirlo anche quelli del terzo polo che hanno già aperto le danze per un nuovo quadro politico e quindi per una nuova stagione delle alleanze. Fuori la sinistra e dentro loro. E questo mette in discussione anche i vertici delle principali istituzioni umbre. Se il processo non si arresta, “uno degli inquilini di Palazzo dei Priori e di Palazzo Donini dovrà sloggiare”, sancendo il definitivo cambio dell’orientamento politico dell’Umbria. Del resto non sarebbe nemmeno una novità assoluta. Nel 1946 la Dc era il primo partito e i moderati superavano il 50%. E nel 1964 le coalizioni che hanno governato i principali comuni erano a maggioranza moderata con una minoranza di sinistra. Ma quello che sorprende è l’assoluta incapacità di reazione dei futuri “rottamandi”. “E questo, purtroppo, non l’ha capito neanche l’altra sinistra che invece di spingere sull’alternativa, continua a farsi la concorrenza sperando di “spiluccare” qualche osso mollato sotto il tavolo da un certo Pd”. Per il momento, finisce qui il malinconico racconto di un declino che, forse, solo gli avvenimenti nazionali possono ancora fermare.

P.S. – parecchie frasi sono virgolettate perché l’articolo si basa su riflessioni ispirate da una chiacchierata con un “alto” esponente del Pd umbro, che, non vuole essere citato e che mi ha espresso, davanti ad un buon caffè, le sue “inascoltate preoccupazioni”.