Posts Tagged ‘egitto’

ROTTAMANO I PEZZI MERLONI E LI RIVENDONO IN EGITTO?

17 aprile 2013

L’avv. Federici: temo attacchi alla mia persona

di Stefania Piazzo 

Sembra non esserci pace per la storia dell’ex Merloni. Che accade negli stabilimenti in attesa della sentenza del 23 maggio sull’annullamento della vendita? Un po’ di tutto. Ma anche in tribunale non si scherza…

Per cominciare, al Tribunale fallimentare di Ancona, cerca e ricerca… sembra manchi qualcosa… “Non si ha traccia in particolare di una delega, per il (more…)

Bombe in Siria e Libano

29 dicembre 2011

di Matteo Bressan

Facciamo un passo indietro e cerchiamo di fare il punto di situazione sui principali avvenimenti che dalla fine di novembre ad oggi hanno interessato due aree strettamente legate tra di loro: Libano e Siria. In Libano il Premier Mikati, di cui Hezbollah fa parte, è riuscito a disinnescare una possibile crisi interna, rifinanziando il Tribunale Speciale delle Nazioni Unite che indaga sull’omicidio dell’ex Premier Hariri. L’esito di questa scelta era tutt’altro che scontato dato che la compagine di Hezbollah e dei suoi alleati, potendo contare di 18 ministri sui 30 membri del Governo, avrebbe potuto ostacolare con la forza dei numeri il rifinanziamento del Tribunale Internazionale. Un simile scenario avrebbe determinato conseguenze imprevedibili in Libano e avrebbe inevitabilmente attirato l’attenzione degli Stati Uniti e degli Europei su Hezbollah, in un momento, quello della crisi siriana, che vede il Partito di Dio sotto osservazione per il suo sostegno ad Assad. Questa posizione sembra peraltro procurare più danni in termini di coerenza e credibilità che benefici al Partito di Dio agli occhi dei suoi molti sostenitori presenti non solo in Libano ma anche in Siria e in Libia. Non è un mistero infatti che le dichiarazioni di sostegno pronunciate dal Segretario Generale di Hezbollah, Nasrallah, alle rivolte in Egitto e Libia e in generale a tutti i movimenti di protesta della primavera araba, stridano con il silenzio sui massacri in Siria. Per queste ragioni Hezbollah ha ritenuto opportuno ribadire la propria sfiducia nel Tribunale Internazionale senza tuttavia far sprofondare il Libano in una nuova crisi di Governo a quasi un anno dalla caduta del Premier Saad Hariri, volendo in questo modo testimoniare la propria fedeltà al più importante interesse nazionale. Ottenuto l’assenso di Hezbollah, seppure con molti distinguo, Mikati ha potuto erogare ai primi di dicembre ben 32 milioni di dollari alle Nazioni Unite, favorendo così la prosecuzione dei lavori del Tribunale. Pochi giorni dopo, ed esattamente il 9 dicembre, un battaglione francese dell’UNIFIL subiva un attentato senza gravi conseguenze nei pressi della città di Sidone, evento questo che ci porta al dentro della crisi siriana. Poche ore dopo infatti il Ministro degli Esteri francese Alain Juppe’s accusava, annunciando peraltro di non averne le prove, Hezbollah e la Siria di essere responsabili dell’attentato. Anche il leader delle Forze Libanesi, Samir Geagea, ha accusato Hezbollah di essere direttamente o indirettamente responsabile dell’attacco ai militari dell’UNIFIL aggiungendo che di fatto è il Partito di Dio l’unico vero apparato di sicurezza nel Sud del Libano. Geagea ha inoltre precisato come sul luogo dell’attentato i primi a raccogliere prove e ad avviare le indagini siano stati proprio i membri di Hezbollah, poi l’esercito libanese ed infine l’UNIFIL. Risulta difficile per Geagea comprendere come Hezbollah non sia in grado di identificare gli attentatori e al contempo essere capace di smascherare gli agenti della CIA in Libano. A queste domande alle quali forse ad oggi non è possibile dare risposte certe si aggiungono i misteri che circondano il duplice attentato a Damasco dello scorso 23 dicembre, dove sono state colpite da un commando suicida, le sedi dei servizi segreti siriani, causando ben 40 morti. Anche per questo attentato molte sono le piste ma poche sono le certezze. Per il regime e per bocca della tv di stato dietro gli attacchi ci sarebbe al Qaida, per i ribelli invece si è trattato di un attentato preconfezionato da Assad per dimostrare all’opinione pubblica internazionale di essere vittima del terrorismo. Un’altra pista fa pensare al golpe militare anti Assad da parte dei fuoriusciti dell’esercito, opzione questa che non necessariamente andrebbe a rafforzare il fronte dei ribelli. Altre due versioni su questo attentato arrivano invece dal Libano e più precisamente da Hezbollah e dal canale televisivo di riferimento del Partito di Dio, Al – Manar. Per Hezbollah dietro l’attacco infatti ci sarebbero gli Stati Uniti, colpevoli ed esperti in questo genere di attacchi sanguinosi contro i civili. Un’altra pista poco seguita è invece quella diffusa da Al – Manar, che il 24 dicembre ha riportato da un sito internet dei Fratelli Musulmani di Siria, la rivendicazione dell’attentato. Poche ore dopo però gli stessi Fratelli Musulmani della Siria hanno negato il loro coinvolgimento ed hanno accusato il regime di Assad di diffondere, mediante siti web falsi, notizie tese a screditare il loro movimento.

Arriviamo quindi a ieri mattina, quando un’esplosione ha distrutto, senza provocare vittime, un ristorante a Tiro in Libano. L’esplosione è avvenuta alle 5.00 ora locale per mezzo di un esplosivo di 2 chilogrammi posto nella parete esterna del ristorante “Tyros”. Dopo il sopralluogo della Quinta Brigata dell’esercito libanese, gli esperti hanno posto un perimetro di sicurezza intorno alla zona, bloccando alcuni ingressi nella città. Secondo quanto appreso dalla emittente radiofonica “la voce del Libano” sembrerebbe che dietro all’attentato ci possa essere la regia di un partito estremista intenzionato ad impedire l’annunciata festa di Capodanno al ristorante. Il proprietario del ristorante, Arnaout Zuhair, intervistato dall’emittente libanese LBC ha raccontato che 10 giorni prima dell’attentato di ieri mattina ignoti avevano distrutto il manifesto pubblicitario che annunciava la festa di Capodanno presso il “Tyros”. Sempre il proprietario ha poi affermato che i danni saranno riparati rapidamente e che la festa di Capodanno con l’offerta dell’alcool si svolgerà regolarmente. Arnaout ha poi denunciato che ci sarebbero alcuni intenzionati ad impedire i festeggiamenti del Capodanno a Tiro, operazione questa che danneggerebbe gravemente l’attività turistica della cittadina costiera. È significativo inoltre che il gestore di un altro ristorante vicino al “Tyros” abbia deciso di annullare i festeggiamenti per l’arrivo del nuovo anno. A questa testimonianza si aggiunge quella di un altro gestore che afferma di aver ricevuto minacce telefoniche che suggerivano di non organizzare nessuna festa per il veglione di capodanno. Sembra inoltre che alcuni ristoranti e locali a Tiro abbiano affisso dei cartelloni in cui si chiedeva scusa per la somministrazione dell’alcool. Va ricordato che la città di Tiro è una della poche città del Sud del Libano dove è consentita la somministrazione di bevande alcooliche. Lo scorso novembre un’ esplosione ha distrutto un locale, sito in un quartiere sciita di Tiro, che vendeva bevande alcooliche. Alcuni osservatori già dallo scorso agosto avevano denunciato che nella città di Nabatieh, capoluogo dell’omonimo governatorato, il sindaco appartenente al Partito di Dio, avrebbe vietato la vendita di alcoolici e che, l’unico commerciante ad essersi rifiutato di applicare la disposizione, si è ritrovato il negozio distrutto.

La primavera araba in Egitto si tinge di sangue

22 novembre 2011

di Matteo Bressan

Il sogno dei ragazzi che sono stati protagonisti della protesta scoppiata lo scorso gennaio si sta scontrando da tre giorni con la dura repressione della polizia. I manifestanti, riuniti dallo scorso venerdì a piazza Tahrir, temono il protrarsi dell’esecutivo militare, chiedono le dimissioni dei vertici militari e il trasferimento del potere ad un esecutivo civile. A differenza però delle rivolte dello scorso luglio questa volta i manifestanti non hanno il sostegno dell’esercito ed il bilancio di ben 40 morti e più di 1.800 feriti, con il fronte della protesta in espansione anche ad Alessandria e Suez apre uno scenario inquietante e in contrasto con le speranze che avevano accompagnato la fine del regime di Mubarak. Piazza Tahrir, il luogo simbolo della primavera araba, ieri mattina ospitava una serie di ospedali da campo improvvisati dai manifestanti, come testimoniano le foto ricevute attraverso il videofonino da una manifestante egiziana. Nel pomeriggio di ieri si è appreso che la piazza si è andata riempiendo sempre di più nonostante il massiccio uso di lacrimogeni e di proiettili di gomma. Secondo il Ministro dell’Interno egiziano, Sami Sidhom, ad alimentare le proteste non sarebbero i giovani attivisti, ma una serie di delinquenti comuni infiltrati tra i manifestanti. Questi ultimi però hanno accusato l’esecutivo militare di influenzare i media, negando il coinvolgimento dei presunti infiltrati. Nella notte il Governo egiziano ha presentato le sue dimissioni, ma il vero problema resta l’esecutivo militare.

I Cristiani nel mondo sono stranieri in patria?

11 ottobre 2011

di Costanza Bondi

I cristiani nel mondo sono sempre più agnelli in mezzo ai lupi: la strage per la protesta di migliaia di cristiani copti scesi in piazza ieri al Cairo dopo l’ incendio dell’ ennesima chiesa ne è la conferma. La situazione è pressoché drammatica: su 100 persone che nel mondo perdono la vita a causa dell’odio religioso, 75 sono cristiani. Il citato esempio degli accadimenti del Cairo è esemplare di come gli attacchi ai cristiani siano una reazione all’occidente di cui i fedeli locali vengono percepiti come un’appendice, nonostante tali comunità religiose siano preesistenti allo stesso islam. Da più parti si solleveranno ora le eco dei filo-arabi tout court che, pronti e lesti, porteranno dalla loro il revanchismo anticrociate di cui gli islamici possano forgiarsi in proposito. A costoro (già) rispondo, tirando in ballo una religione ancora più antica – la mitologia greca – che prima di tutto non si tratta di nemesi storica per cui i figli debbano pagare le colpe dei padri. Padri che nel caso specifico sarebbero addirittura i trisavoli dei quadrisavoli dei quintisavoli… e così all’infinito. Secondariamente, trovo esecrabile ogni conquista (sociale, politica, economica) che si nasconda dietro parvenze religiose. Per antonomasia, le guerre di religione in Francia del 1500 insegnano. Tornando alle crociate, è da considerarsi inoltre che si trattava di altri tempi e di altri eventi che definirei “non maturi” a cui nel corso della storia è seguita un’evoluzione morale all’interno del cristianesimo tutto, che ha posto le basi dell’eticità odierna del pensiero in generale. I 600 e passa anni che discostano per nascita le due religioni a riguardo, potrebbero servire per un’equiparazione degli intenti, solo ed esclusivamente se si partisse dalle stesse basi di tolleranza e di rispetto – proprie della religione cristiana – e non da quelle di supremazia o di conquista del presunto infedele, come predica la jihad. Attualmente il Cristianesimo è la religione più diffusa al mondo, con circa 2,1 miliardi di fedeli (1 miliardo di cattolici, 500 milioni di protestanti, 470 milioni di evangelici pentecostali , 240 milioni di ortodossi, e 275 milioni d’altri), davanti all’Islam, tra 900 milioni ed 1,4 miliardi, e all’Induismo, tra 850 milioni e un miliardo – dati forniti dal CESNUR – Nonostante ciò i cristiani rimangono minoranza in svariati luoghi del mondo subendo su loro stessi la conseguenza di tale condizione. Concludo con un pensiero a me da sempre caro e del quale nel mio piccolo mi sono sempre fatta portavoce: una società che non tutela le minoranze, di qualunque tipo esse siano, è minorata e minata di per sé.

Orvieto: “Il ruolo dell’Italia pre e post-unitaria nella riscoperta dell’antico Egitto”.

8 marzo 2011

www.tuttoggi.info

Orario: 10,00 – 18,00

Orvieto, Museo “Claudio Faina” (piazza del Duomo, 19) e Palazzo Coelli, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto (Piazza Febei, 3).

Una grande mostra sull’Egitto sarà allestita dal 12 marzo al 2 ottobre a Orvieto. La organizzano e propongono congiuntamente la Fondazione per il Museo “Claudio Faina” e la Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto nelle loro due sedi, una affacciata e l’altra in prossimità della piazza che accoglie il celebre Duomo della città umbra.Va subito chiarito che non si tratta di una ulteriore tappa di una “mostra di giro”. Questa, coordinata da Giuseppe M. Della Fina, direttore scientifico della Fondazione per il Museo “C.Faina”, e curata dalle egittologhe Elvira D’Amicone della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo di Antichità Egizie di Torino e da Massimiliana Pozzi (Società Cooperativa Archeologica), è una mostra originale, studiata appositamente per Orvieto. Riunirà circa 250 reperti – molti davvero di grande importanza – concessi da una quindicina di musei e istituzioni culturali italiane.

 

Rivolte in Nord Africa, cosa c’è dietro?

28 febbraio 2011

L’Opinione di Stefano Bonsegna

Molti sono gli avvenimenti, che da più di un anno a questa parte, stanno scombussolando le nostre giornate e le nostre frontiere meridionali. E tutti questi avvenimenti li stiamo vedendo non dal nostro punto di vista, ma da quello che ci dicono i Giornali, la Televisione, Internet, La Radio. Nessuno ha mai pensato che certi avvenimenti potrebbero essere visti da una altro punto di vista, avere altre cause? Qualcuno ha mai cercato di capire chi potrebbero essere gli eventuali veri ispiratori di certe iniziative? Potrebbero essere avvenimenti, raccontati in modo esagerato, per poterci poi condizionare? Cosa c’è dietro tutto questo? La Dietrologia è una materia molto ben conosciuta dai nostri Politici, Giornalisti, Magistrati, i quali ne fanno largo uso, credendo appunto di aver a che fare con un popolo di pecore! Ma stanno commettendo un grave errore.  Gli italiani, grazie alla loro esperienza di mala giustizia e cattiva politica, vissuta sulle loro spalle, sono diventati un popolo abbastanza maturo da recepire che dietro ad ogni loro iniziativa c’è del losco. Ad esempio, guardiamo ciò che sta succedendo in Libia. E se dietro alla verità televisiva e giornalistica, ci fosse invece un recondito interesse di alcuni paesi, invidiosi dei contratti che l’Italia ha stabilito (dall’era Prodiana, in poi) con la Libia su forniture di Gas e Petrolio e avessero loro fomentato il caos, in modo da poter poi giocare la loro carta? E se dietro ai disordini ci fosse Bin Laden, assetato di potere ed in procinto di accerchiare la nostra Europa, mettendola inginocchio per i rifornimenti di Petrolio e Gas per poi trasformarla in Eurabia, come già previsto dalla famosa e cara giornalista Oriana Fallaci. E se dietro ci fosse una società concorrente dell‘ENI, la quale avrebbe tutto l’interesse di creare confusione, visto i problemi dell’area Nord Africana e rimettere in discussione i contratti stipulati dalla Libia con l’ENI sulle forniture di Petrolio e Gas. Comunque sia, è impossibile che certe insurrezioni avvenute in Egitto, Tunisia, Libia ed altri stati del Nord Africa siano avvenute spontaneamente, in quanto per cultura popolare e per tradizioni, le popolazioni sono molto lontane dal significato di Democrazia, quindi queste popolazioni sono state istigate da qualcuno a cui sicuramente fa gola la ricchezza del sottosuolo di queste terre e prima o poi dovrà venire allo scoperto. Certo un favore a queste popolazioni lo ha fatto e grosso anche, sempre che questi poveri popoli non cadano dalla padella nella brace di altre più o meno velate dittature.

 


Libia, un altro paese arabo in rivolta, una popolazione che lotta per la libertà.

27 febbraio 2011

di Emanuela Marotta

Anche la Libia è in rivolta, dopo la Tunisia, che ha acceso gli animi rivoluzionari e poi ancora l’Egitto e l’Iran, i libici si sono letteralmente scagliati nelle strade e nelle piazze per prendersi la libertà. Stufi del regime totalitario durato 42 anni di Gheddafi, la popolazione è in rivolta da molti giorni, una ribellione sanguinaria tra chi sostiene ancora il “dittatore” e chi invece lo vuole fuori dal paese subito. Dalle ultime dichiarazioni che hanno rilasciato i militari e i poliziotti libici c’è una gran parte di loro che si è schierata con la popolazione per difenderla dagli attacchi dei fedeli di Gheddafi ma c’è anche una gran parte che si è unita alla sommossa finendo nella lista nera dell’orami ex presidente. Considerato e diventato tiranno in questi ultimi giorni dopo le ultime dichiarazioni fatte alla televisione: “ucciderò tutti quelli che si metteranno contro di me”, sono stati mandati dei suoi video dove accusa ancora una volta con un discorso l’Europa e l’America dei tumulti e di aver aizzato il popolo contro di lui. I video delle strade, dove le persone sono in preda al panico o nel pieno di una guerra civile si sono diffusi quasi in tutto il mondo, le ultime immagini riportate dai media hanno fatto vedere le fosse comuni dove vengono seppelliti centinaia di corpi. Le ultime affermazioni di Gheddafi fatte alla stampa sembrano dei vaneggiamenti di un capo orami spento e sconvolto, denuncia di alto tradimento l’Europa e i militari, nomina anche l’Italia e minaccia di bloccare le forniture del gas. Ha inoltre incolpato l’occidente di aver drogato i manifestanti e di averli pagati, gli egiziani e i tunisini che vivono il Libia sono costretti a scappare o a nascondersi. Le parole del leader libico hanno un gusto amaro, sembrano di un folle in preda al panico perchè il suo regime sta crollando e non è più in grado di controllare la folla inferocita contro di lui. Tutti i suoi beni e una gran parte dei suoi soldi sono stati confiscati e congelati da alcune banche, anche i suoi figli stanno scappando dal paese, i mezzi di comunicazione sono controllati e internet è stato bloccato ma c’è chi rischia anche la vita per far arrivare le testimonianze registrando dal cellulare e caricandolo su delle “finestre” nel web, che sono ancora aperte al mondo. Anno 2011, anno in cui la storia deve segnare indelebilmente il Magreb in completo tumulto, anno in cui gli arabi, tutti, stanchi dei loro regimi hanno reagito ai soprusi e hanno scelto l’insurrezione; la lega araba si è riunita proprio in questi giorni per discutere di quest’onda, non anomala ma tenuta a largo per molto tempo per poi scagliarla contro chi non ha avuto il vero valore musulmano.

 

Rivolte in Medio Oriente e Nord Africa: premesse simili ma conclusioni imprevedibili

22 febbraio 2011

di Matteo Bressan

L’ondata rivoluzionaria che sta scuotendo il Nord Africa così come il Medio Oriente non deve portarci a semplicistiche considerazioni. Si percepisce infatti la sensazione, da parte di alcuni opinionisti e politici italiani, di essere di fronte ad processo storico evolutivo che porterà, quegli Stati dove sono in atto imponenti stravolgimenti, al raggiungimento di vere e proprie forme di democrazia compiuta.
Sentendo poi alcuni agghiaccianti accostamenti tra quella che fu la rivoluzione iraniana e quello che si sta osservando oggi si rimane molto preoccupati.
Si viene a scoprire infatti che molti intellettuali e militanti della sinistra nostrana avevano guardato con speranzosa benevolenza alla rivoluzione di Khomeini salvo poi accorgersi, tempo dopo, quale tipo di minaccia si fosse venuta a creare in Iran. Oggi non conosciamo o quantomeno non possiamo prevedere quali saranno gli esiti di queste insorgenze in molti casi sorte a causa della povertà e dalla fame, ma in altri casi spinte o peggio ancora sostenute dall’Iran. Possiamo rimanere fermamente convinti che alla fine ci sarà un vero e proprio processo evolutivo delle Istituzioni e di quei paesi governati sin qui in maniera dispotica?
Stiamo valutando attentamente quale sia il rischio della nostra sicurezza energetica e le conseguenze umanitarie che si riverseranno sui paesi del Mediterraneo?
Siamo sicuri che alla fine di questo pericoloso domino non ci si possa ritrovare con un’influenza della Cina estesa al Nord Africa o peggio ancora alla nascita di formazioni appartenenti alla galassia di Al qaeda a poche miglia dalle nostre coste?
È possibile che in mezzo a tante e sanguinose rivolte si sia smarrita la visione strategia di quello che è in primo luogo il principale paese esportatore del fondamentalismo islamico?Ci si è forse dimenticati che il padrino dei movimenti terroristici presenti in Libano, Iraq e Afghanistan è riuscito anche in questa ondata di rivolte ad uscire sostanzialmente indenne. È pensabile che di fronte al crollo dei regimi illiberali del Nord Africa ci si dimentichi del vero manovratore, che vive al sicuro a Theran, e si finisca per accumunare il tutto in una grande rivoluzione per la democrazia?

Il Natale e i suoi simboli

29 novembre 2009

pinturicchio, il presepe

La data del 25 dicembre per la natività di Gesù fu una scelta della chiesa cattolica per inglobare i culti pagani, assorbirli e farli dimenticare. Il 25 dicembre era un giorno di festa importante per i popoli, religioni e culture molto distanti fra di loro, ma unite da questa ricorrenza, che celebrava sotto nomi diversi uno stesso significato: la fine dell’inverno e la rinascita della vita. L’uomo antico si sentiva parte della natura e guardava al sole come ad una delle principali fonti della creazione e come la potenza regolatrice dello scorrere delle stagioni. Il 25 dicembre segnava la festa del sole “invictus” il sole invincibile, poiché dopo il solstizio d’inverno del 21 dicembre, il giorno più corto con al notte più lunga, la luce riprendeva la sua vita, vinceva la tenebra, fino ad arrivare al 21 giugno, dove il giorno era più lungo della notte. Con questo significato simbolico il 25 dicembre era associato nel mondo antico, alla nascita o alla festa di personaggi divini: il dio Horus egiziano, raffigurato con sua madre Iside che lo teneva in braccio ( ricorda l’iconografia cristiana della Madonna col Bambino). Il dio Mitra indo-persiano, anche lui partorito da una vergine, e che veniva chiamato “il salvatore”. Il dio babilonese Shamash che era il dio del Sole e della predizione perché il sole vede tutto: passato, presente e futuro; il dio Tammuz sempre babilonese nasceva anche lui in questo giorno e anche lui moriva per resuscitare dopo tre giorni. La scelta del 25 dicembre fu un tentativo riuscito della Chiesa di Occidente di adattare gli antichi culti, con i loro rituali alla nuova religione; invece la Chiesa di Oriente scelse la data del 6 gennaio per la nascita di Gesù, per differenziarsi dagli antichi culti, e tuttora le chiese copta, armena e ortodossa festeggiano la natività in questo giorno.

Durante il pontificato di papa Leone Magno (440-461) venne sancita definitivamente questa data come “il Natale di Gesù”, nel 536 d.C. l’imperatore Giustiniano chiuse l’ultimo tempio di Iside in Egitto ed il Natale si affermò come festa cristiana in tutto l’impero. Le tradizioni dell’albero di Natale e del presepio invece hanno una storia più semplice. L’albero apparteneva all’immaginario collettivo nordico come simbolo della vita e della fertilità, ma la tradizione dell’albero addobbato così come la conosciamo noi, la dobbiamo ad una invenzione del 1500 del protestante Martin Lutero, che alla notte della Vigilia, si trovò fuori sulla neve e vide gli abeti ghiacciati risplendere sotto la luce della luna, questo spettacolo gli piacque così tanto da voler provare a riprodurlo e per questo adornò un abete con candele e nastri luccicanti. Questa usanza fu introdotta nell’Europa del sud nel 1840, dalla moglie del duca di Orléans, Elena di Maclenburg, che fra la sorpresa della corte, lo fece preparare nei giardini delle Tuileries. Il presepe è una usanza solo cristiana, derivata da una rappresentazione che San Francesco fece per la prima volta a Greccio (Rieti) nel 1223, ispirandosi ad una tradizione del IX secolo, che rievocava scene evangeliche, attraverso rappresentazioni viventi e aggiungendovi scene pastorali.

La cometa sul presepe comparve solo dopo il 1301, infatti quell’anno apparve per la prima volta quella, che poi venne definita come “la cometa di Halley”, i contemporanei ne furono molto colpiti, e Giotto, il grande pittore, in un suo quadro nella cappella degli Scrovegni, dipingendo l’Epifania, sopra la Capanna pose questa stella per ricordare ai posteri l’avvenimento.

Babbo Natale invece, pur avendo alle spalle una tradizione che trova le sue radici su San Nicola Vescovo di Mira in Asia Minore, è molto prosaicamente l’invenzione di un grafico pubblicitario americano, per lanciare in modo accattivante il prodotto della Coca Cola di cui il povero Babbo Natale portava i colori, rosso e bianco. Infine il Vischio, simbolo di buon auspicio e di fortuna, va ricondotto ai riti della fertilità, poiché la rinascita aveva bisogno di procreazione. Le tribù germaniche consideravano chiunque passasse sotto il vischio “ baciato” dalla dea Freya, la dea della fertilità, ecco perché per l’anno nuovo ci baciamo sotto il vischio!

Bibliografia: Elena Savino “ Le radici pagane del Natale”, collana: I Tesori, Jubal Editore, Trieste 2004.

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Bibliografia: Elena Savino “ Le radici pagane del Natale”, collana: I Tesori, Jubal Editore, Trieste 2004.

Orazio Antinori

11 ottobre 2009
orazio antinori 1811 - 1882

orazio antinori 1811 - 1882

L’arabo perugino.

di Loris Accica


Il 23 ottobre 1811 nasce a Perugia Orazio Antinori, dal marchese Giacomo e dalla contessa Tommasa Bonaini Boldrini, di antica nobile famiglia.

Avviato agli studi nel collegio dei benedettini dell’Abbazia di San Pietro, ne esce diciassettenne senza alcun diploma, per la scarsa propensione agli studi.

La sua smodata passione è il disegno e la caccia. Un monaco gl’insegna i segreti e l’arte della tassidermia, un professore di scienze naturali lo indottrina sull’ornitologia e, in pochi anni Orazio Antinori diventa il più esperto conoscitore, disegnatore e imbalsamatore di uccelli della regione, mettendo insieme una ricchissima e corposa collezione, che in seguito dona all’Università degli Studi di Perugia.

Nel 1838 acquisita una notevole esperienza in queste discipline, si trasferisce prima a Roma, alla corte del principe Conti di Albano come preparatore naturalista e poi a Canino, nella bassa maremma, alla corte del principe Carlo Luciano Bonaparte col quale collabora alla stesura e all’edizione della “Fauna italica” e del “Conspectus generum avium”.

I capovolgimenti politici nazionali, culminati nella prima guerra d’indipendenza, coinvolgono a tal punto il sedentario marchesino, che improvvisamente sospinto da un’entusiasmo dirompente, lo trasformano in un fervente patriota ispirato dai principi liberali.

Torna a Perugia nei primi mesi del 1847, si immerge letteralmente nei circoli liberali repubblicani dove aleggia il pensiero mazziniano, entra in massoneria presumibilmente nel 1848 e siede sugli scranni tra le Colonne con i Fratelli Ariodante Fabretti, Giovanni Pennacchi, Reginaldo Ansidei, Pompeo e Nicola Danzetta, Carlo Bruschi ed altri, divenendo attivo protagonista della “Vendita” perugina e degli alti gradi del Rito Scozzese Antico ed Accettato.

L’anno successivo si arruola come ufficiale nell’esercito pontificio, agli ordini del comandante Giovanni Durando e partecipa alla sfortunata campagna del Veneto, dove il 9 maggio a Cornuta, è colpito da una pallottola austriaca al braccio destro. A giugno è ancora al fronte nei pressi di Vicenza e batte in ritirata col suo reggimento.

Tornato nella capitale dello Stato pontificio, partecipa intensamente ai moti democratici d’indipendenza per la costituzione della Repubblica Romana, battendosi con coraggio, da tiratore scelto qual’era, nell’assedio di Roma, che induce alla fuga papa Pio IX. e, con Giuseppe Mazzini ed altri, il 17 marzo 1848, è eletto deputato alla Costituente della Seconda Repubblica Romana.

La successiva caduta della Repubblica con conseguente restaurazione papalina, costringono l’Antinori al volontario esilio e lascia l’italia per un percorso itinerante in Grecia, Turchia, Egitto e Sudan. Un esilio che rappresenta anche la chiave di svolta della sua vita avventurosa.

In questo periodo la sua unica fonte di sostentamento è la caccia di animali, che imbalsama e vende a musei di Germania e Inghilterra, con il sostegno e la collaborazione del socio occasionale Guido Ganzenbach, console svizzero, col quale instaura una duratura amicizia.

Nel 1858, con la morte del padre eredita una discreta fortuna, pari a tredicimilalire, che gli consente un’ indipendenza economica e soprattutto la ripresa degli studi naturalistici con un ambizioso programma di esplorazione di quegl’immensi territori sconosciuti nel continente africano.

L’anno successivo infatti torna in Africa, fissa la sua base a Kartum e inizia a compiere una lunga serie di escursioni nel Sudan e in Egitto, e consacra definitivamente la sua vocazione all’esplorazione conseguendo tangibili risultati scientifici.

La spedizione incontra ostacoli di ogni tipo, sofferenze fisiche e malattie comprese, deve fare i conti con guide, portatori, tribù ostili, tanto che più volte rischia la vita, come quando davanti ad un leone, si accorge che ha il fucile caricato a pallini per piccoli uccelli. Ma la fortuna aiuta gli audaci e l’Antinori di coraggio ne ha in abbondanza, una dote innata che lo sostiene per tutta la vita.

Tornato a Kartum prende amara coscienza di trovarsi sul lastrico. I denari che aveva lasciato in deposito, a causa di un fallimento, sono perduti. Corre a Smirne dove aveva consegnato il resto del contante, ma non riesce a riscuotere una lira, perché il depositario nel frattempo era morto.

Con l’aiuto del fratello Raffaele riesce a rientrare in Italia nel 1861, è festosamente acclamato dagli amici e i Fratelli di Loggia lo eleggono Venerabile, ma trova a Perugia una situazione politica profondamente mutata.

L’Umbria insieme con altre regioni, fa parte del regno d’Italia e il re di Casa Savoia è Vittorio Emanuele II. Dopo due anni d’intensa attività massonica e politica, col mal d’Africa che si ritrova, torna al Cairo e presenta i risultati dell’ampia opera di esploratore, geografo, di osservatore della flora e della fauna, nonché degli usi e costumi indigeni.

Antesignano nel documentare scientificamente, le sue opere unanimemente considerate autorevoli, sono richieste ed accolte da tutte le riviste specializzate d’Europa.

Vendute le sue notevoli preziose collezioni ornitologiche al Governo per oltre ventimilalire, si trasferisce a Torino, dedicandosi alla stesura di altre documentazioni da pubblicare. E’ qui affiliato alla Loggia massonica Dante Alighieri, dove Ariodante Fabretti è il Venerabile e con lui, da Torino, si adopera per il rilancio della massoneria a Perugia e a Terni riuscendo infine a costituire una Gran Loggia dell’Umbria, che poi confluirà nel Grande Oriente d’Italia.

Nel 1866 parte alla volta della Tunisia per realizzare un accurato tracciamento della cartografia idrografica ed un eccellente repertamento di vari monumenti archeologici  d’epoca romana.

L’anno successivo insieme con altri insigni geografi, fonda la Società Geografica Italiana, con sede prima a Firenze poi a Roma e né è direttore e segretario, impegnandosi non poco anche alla realizzazione del Notiziario Scientifico il cui primo numero è datato 1868.

La fama acquisita e l’autorevolezza riconosciutagli inducono il Governo italiano ad inviarlo, quale rappresentante dello Stato, alla cerimonia d’inaugurazione del Canale di Suez, che si tiene il 17 novembre 1869, alla presenza dell’imperatrice Eugenia, consorte di Napoleone III, di molti regnanti e centinaia di ministri provenienti da tutto il mondo. Con l’occasione qualche giorno dopo si dirige per un’ennesima esplorazione intorno al mar Rosso e nel paese dei Bogos.

Orazio Antinori è ancora ad Assab per la caccia a fini puramente scientifici, quando Sapeto al comando della compagnia Ribattino, prende possesso dell’intero territorio d’Etiopia.

Rientrato in Italia il Ministero della Pubblica Istruzione gli dà mandato di compiere la “Grande Spedizione” finalizzata all’esplorazione dei grandi laghi equatoriali e, alla partenza è solennemente salutato dal principe Umberto. Questa volta coinvolge anche l’amico fraterno Giuseppe Bellucci, noto docente e più volte rettore dell’Università degli Studi di Perugia. Gli esiti della spedizione tuttavia, risulteranno disastrosi per la diffidenza e l’ostilità del governatore egiziano ed un banale incidente di caccia lo priva della mano destra.

Malato e demoralizzato, decide di non rientrare in Italia e accetta l’ospitalità di Menelik, imperatore dello Scioa, autoproclamatosi re dei re, il quale gli concede un’ampio territorio dove l’Antinori edifica in breve una vera e propria stazione scientifica secondo gli standard internazionali più evoluti del tempo.

Quasi certamente Orazio Antinori rappresenta anche il punto di riferimento del Governo italiano per il compimento delle imprese coloniali d’Africa, poiché quella parte del Continente assurge a straordinaria importanza strategica militare e commerciale dopo l’apertura dell’istmo di Suez.

Certo è che la sua vita sembra un bellissimo e affascinante racconto. In Europa gli scienziati lo ritengono un talentuoso naturalista esploratore, a Perugia anche un patriota e pilastro fondamentale della massoneria umbra, ma le sue doti sono ancora più grandi, perché vive e si adopera costantemente nel percorso della conoscenza per il progresso dell’Italia e dell’intera umanità.

Sente dentro di sé questa missione e vi si dedica con coraggio, con generosità, con passione e perizia, trasmettendo al mondo intero tutto quello che in campo zoologico, naturalistico, geografico, cartografico e astronomico riesce a scoprire e descrivere con precisione nelle sue opere, pare trentasei pubblicate .

Anche nell’ultimo periodo della sua esistenza si affanna per realizzare una scuola tecnica agraria a beneficio degli indigeni e al tempo stesso promuovere l’espansione del commercio italiano con questa regione d’Africa.

Ed è qui a Let-Marefià che, gravemente malato da mesi, “l’arabo perugino” spira il 26 agosto 1882. Gli indigeni perdono un carismatico rispettato amico e l’imperatore fa erigere in suo onore una tomba a forma di capanna, secondo le tradizioni abissine. Il mondo intero perde una grande figura risorgimentale con l’irresistibile vocazione alla scienza, che spesso oggi come ieri, il grande pubblico non conosce.

Nel 1936, con l’occupazione coloniale italiana d’Etiopia, i primi soldati che arrivano, trovano la tomba di Orazio Antinori ancora intatta. Dopo cinquantaquattro anni.

“Io credo che poche ebrezze siano comparabili a quella di colui che si mette in cammino per inoltrarsi verso paesi ignoti…” così ben riassume anche le motivazioni che sono alla base del periodo “romantico” della scoperta del continente africano, il cui interno rimane praticamente sconosciuto agli europei fin quasi la fine del XVIII secolo.