
Di Emanuela Ruffinelli
“Carpe diem” ovvero “cogli quell’attimo fugace in cui ti appare quasi all’improvviso, percorrendo la Via Tuderte, l’alto campanile a guglia della chiesa della pieve di San Brizio. Alle estreme pendici dei Monti Martani, in un dolce declivio, s’innalza ad est di quello che era il castello medievale.
La leggenda e le memorie tramandateci nei secoli, ci parlano del culto di San Brizio che giunto a Spoleto iniziò la predicazione del Vangelo per cui fu denunciato ed imprigionato. Nella prigione gli apparve San Pietro che lo consacrò Vescovo di Spoleto. Attorno alla piccola comunità cristiana costituita dal Santo crebbe il castello che porta ancora il nome di San Brizio.
La chiesa è un piccolo gioiello di architettura romanica. Fu costruita nel XII Secolo con materiale di spoglio proveniente da costruzioni romane. L’osservatore attento non può non notare i segni della sua lunga storia: dai reperti romani riutilizzati nelle murature, alle testimonianze paleocristiane, altomedievali e medievali, alla stagione rinascimentale e barocca, alle trasformazioni settecentesche, arrivando alla sistemazione attuale , frutto dell’impegno totale sostenuto dal parroco don Ernesto Broglioni, dopo i passati eventi sismici.

La facciata ha forma simmetrica, e vi spicca il raffinato portale rinascimentale in pietra caciolfa, con arco a tutto sesto che sostituì l’ingresso romanico recante la data 1541.
In alto, al centro, è una bifora sorretta da una colonnina di granito rosa. Due monofore dovevano essere ai lati, più in basso, dove oggi si aprono due finestre settecentesche.
Accanto alla costruzione si alza il campanile, una torre a base quadrata alla cui sommità sono poste le campane, visibili dalle finestre bifore.
L’interno ha un aspetto solido ed austero, dovuto sia alla scarsa illuminazione che allo spessore dei muri, invitando al raccoglimento e alla preghiera. Le tre navate, suddivise da colonne e pilastri, presentano una copertura a capriate lignee. Le volte sono state abbassate, alcuni archi, leggermente ogivali, vanno degradando verso il presbiterio dando un senso di ampiezza e profondità.
Un’imponente scalinata cinquecentesca consente l’accesso all’area presbiteriale
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L’arco trionfale presenta al centro una bifora, simile a quella della facciata.Sotto il presbiterio si trova la cripta, un gioiello a quattro navate; presenta capitelli di diversa fattura e provenienza che fanno da corona al sarcofago in pietra dove forse furono raccolte le spoglie del santo; qui un’atmosfera segreta e toccante ci avvolge, facendo palpitare la memoria di San Brizio.
Ma la vera rarità è sicuramente il pavimento in cotto della navata: un capolavoro che reinterpreta in modo originale e con materia umile le sublimi creazioni cosmatesche.
Le zone affrescate sono sparse e casuali, ciò dimostra che per secoli l’interno si presentava interamente ricoperto di affreschi; tale fase può essere identificata con la seconda metà del Quattrocento. Le figure sono rappresentate con realismo, i colori sono caldi e armoniosi (giallo, rosso, rosa, grigio…) accuratamente sfumati e chiaroscurati senza che emerga il segno delle pennellate. Non vi è purtroppo traccia di dipinti murali del periodo romanico, sono così andate perdute le immagini relative a San Brizio.
Percorrendo la parete di destra, incontriamo alcuni affreschi che meritano un’attenta osservazione:
La Madonna con bambino fra S. Antonio Abate e S. Matteo: la Vergine è collocata su di un piedistallo in posizione seduta ed è circondata dai santi in posizione sottostante. Si può notare come la figura della Madonna abbia un aspetto molto maturo e intenso. Proseguendo incontriamo un’altra immagine della Madonna con Bambino, ben conservata; è questa un’opera di buona qualità per l’estrema correttezza dell’esecuzione, pulita e minuziosa di classica matrice quattrocentesca. Dal suo viso traspare un’espressione triste e preoccupata, il suo sguardo è volto verso il bambino quasi in procinto di offrirlo al mondo; il bambino a sua volta si aggrappa con una mano al velo materno osservandola quasi timoroso di essere abbandonato; con l’altra mano tiene stretta una rosa rossa quasi a simboleggiare la forza, il coraggio e l’amore intenso che prova per noi uomini. Altre due opere degne di nota sono la rappresentazione del martirio di San Sebastiano, episodio questo rappresentato spesso dagli artisti del quattrocento, poiché grande è stata la devozione al santo protettore contro la pestilenza. Una rara immagine di S. Brizio accanto a un Santo diacono che possiamo osservare sempre nella parete di destra. Questi affreschi sono tra le migliori testimonianze dell’influenza esercitata nell’ambiente Spoletino dall’opera di Filippo Lippi. La colonna a sinistra della scala di accesso al presbiterio conserva, purtroppo in stato frammentario, una Madonna col Bambino anch’essa riconducibile al maestro “lippesco”. Sulla parete di sinistra, anche qui con vaste perdite della superficie pittorica, ancora una Madonna con Bambino riconducibile al Maestro di Eggi; nonostante la limitatezza di quanto visibile, si rimane affascinati dalla dolcezza della Vergine, espressa non solo dallo sguardo, ma anche dal gesto, quale la mano sinistra che avvolge il piedino nudo del bambino, come ad infondere calore e come solo una mamma sa fare. Il restauro dell’arco trionfale ci ha restituito un’”Ultima Cena” frammenti di un affresco che costituiscono purtroppo solo un terzo dell’originale,attribuibile all’artista Jacopo Siculo, originario di Palermo, ma per lunghi anni abitante a Spoleto.
La Chiesa di San Brizio, rappresenta non solo un piccolo gioiello dell’architettura Umbra, ma anche un esempio tangibile della devozione e della spiritualità di queste genti. Pertanto per chi è alla ricerca di valori artistici autentici e nello stesso tempo vuole ritemprare lo spirito, non può perdere questa meta, pertanto . . .“Carpe diem”.