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PRIVILEGI – Ora la “Casta” va all’attacco del “popolino”.

3 agosto 2011

L’Opinione di Stelio Bonsegna

 

Un “popolino” che si lamenta da decenni, della troppa disinvoltura della classe politica nella gestione della cosa pubblica e l’indifferenza con cui la classe politica affronta questa crisi internazionale. Ma soprattutto, disturba il modo con cui i nostri rappresentanti politici tendono a salvaguardare i loro stretti interessi, privilegi, oltre a comparire spessissimo in scandali vergognosi.
I nostri politici hanno dimenticato che sono stati eletti dal “popolino”, per essere da loro rappresentati al parlamento italiano e per tenere sempre in primo piano gli interessi del popolo e non i loro. Un attacco generico alla: ANTIPOLITICA dilagante tra gli italiani e che qualche partitello cerca di cavalcare, per poi poterla imbrigliare a suo favore e smorzare con calma, quando diventa troppo pericolosa. Quindi il “popolino” è avvisato: Nessun cambiamento nei loro privilegi, ma solo ritocchi di facciata. Il “popolino” non conta più niente, sono solo dei servitori che debbono essere solo governati da, non uno, ma più padroni. Famose le parole di Indro Montanelli: “In Italia, a fare la dittatura, non e’ tanto il dittatore, quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere un padrone da servire.  Lo diceva Mussolini: “Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?”
Quanto emerge dalle misure prese recentemente dai due rami del Parlamento, dalla Presidenza della repubblica, da qualche Ente locale e da qualche raro Burocrate di Stato, danno già un’idea dell’andazzo. Misure, che se controllate con la lente d’ingrandimento, daranno l’idea dell’inghippo o per meglio definire il tutto, “la fregatura” che ci stanno propinando. Sono stati presi solo alcuni privilegi, raramente utilizzati dai parlamentari, gli è stato dato un valore (esagerato) e quindi moltiplicato per il numero dei parlamentari della corrispondente camera, ed ecco il risultato dei milioni di risparmio che ci vogliono dare a bere.
Quindi non si sono colpiti veramente gli stipendi (esosi) ed i veri privilegi dei burocrati di stato.
Se veramente fossero politici responsabili, avrebbero colpito i loro benefit, compreso il loro stipendio, a colpi di scure.

Queste responsabilità dovevano venire anche dagli enti locali, Regioni, Province, Comuni, Municipalizzate, enti limitrofi, oltre che da altri poteri dello stato.
Avrebbero dovuto fare tagli veri, per non aggravare ulteriormente la già delicata situazione delle famiglie italiane.

Questo si sarebbero aspettati i cosiddetti “ANTIPOLITICI”, che hanno ragione a lamentarsi di questo losco modo di amministrare e gestire la cosa pubblica.
Il popolo italiano non è contro la Politica, quella “vera e seria”, ma contro le Sanguisughe che stanno depredando l’Italia, riducendola ad un popolo di mendicanti ed indigenti.

Quindi, signori “rappresentanti” del popolo italiano, smettetela di offendere chi vi ha votati in buona fede, altrimenti rischiate uno scontro pericoloso, un vero e proprio cortocircuito con il “popolino”, cioè il popolo degli elettori che hanno a maggior ragione di dire che: LO STATO SIAMO NOI.

Varie sono le iniziative che stanno prendendo piede tra il popolo dei cosiddetti “indignati” e spero che trovino presto la quadra ed il modo di sincronizzarsi e far venir fuori un’unica voce di pretesa di cambiamento nella politica italiana.

Anche a suon di drastiche modifiche, dell’attuale vetusta Costituzione Italiana.
Un avvertimento ai politicanti:
Non cercate di mettere i bastoni tra le ruote a queste iniziative popolari e non partitiche (che fanno onore ad una vera Italia Democratica e Liberale), altrimenti ne pagherete lo scotto alle prossime elezioni politiche.

Riforme – Quel “Tesorone” sotto le poltrone

16 luglio 2011

di Ciuenlai

I nostri amministratori continuano a piangere miseria. E non gli si può dare torto. I tagli del Governo sono irricevibili per le finanze degli enti. Su questo hanno ragione da vendere, ma quando dicono che si è raschiato il fondo del barile, non gli credete. E’ stato raschiato il fondo del barile che c’è, non di quello che bisognerebbe avere e costruire attraverso le famose riforme. Quali? Provo ad indicarne alcune che si riferiscono all’ente più grande : La Regione :

Sanità – Una sola Asl (o al massimo due). Si cancellerebbero di colpo 5 strutture, 5 direttori generali, 5 direttori sanitari, 5 direttori amministrativi ecc (o 4 nel caso di due). L’agenzia unificata per gli acquisti diventerebbe superflua e le integrazioni e unificazioni di spesa, la razionalizzazione dei magazzini (che qualcuno, non so se a torto o a ragione, denuncia come un vero e proprio pozzo degli sprechi) potrebbero garantire consistenti risorse da destinare al potenziamento dei servizi e alla esenzione dagli stessi dei meno abbienti.

Agenzie – Ammesso e non concesso che queste strutture siano indispensabili l’unificazione e la riorganizzazione delle stesse produrrebbe significativi risparmi.

Enti intermedi – In attesa di sapere che fine faranno le Province, abolizione di tutto ciò che non è elettivo (Ati, Atc, Comunità Montane, Consorzi e tutto quanto fa solo poltrone)

Costi della politica – Parificazione dei compensi (che vorrebbe dire dimezzamento) a quelli delle equivalenti istituzioni europee (Regioni francesi, lender ecc.) o a quelle degli stati americani, abolizione dei vitalizi e limitazione delle spese di presidenza, assessorati e gruppi a quelle strettamente necessarie per il corretto funzionamento degli stessi, tenendo conto anche della prossima diminuzione del 30% del numero dei consiglieri e dei componenti delle Giunte.

Personale – Blocco decennale del turn over per dirigenti e per le posizioni organizzative. Equiparazione, in prospettiva, delle dotazioni di queste figure a quelle private. (La Nestlè non ha 100 dirigenti). Unificazione, per quanto possibile, delle figure di Direttore generale e segretario generale in attesa che qualche legge dichiari l’evidente inutilità di una delle due.

Servizi – Creazione di una unica azienda regionale dei servizi (Trasporti, Acqua, rifiuti ecc.). Eliminando le decine e decine di aziende pubblico – private oggi esistenti. Se, come è scritto nei documenti relativi alla creazione di Umbria Tpl, questa prima operazione di unificazione ha permesso, di colpo e da sola, un risparmio di 2/3 milioni di euro, pensate a quanto soldini si potrebbero ricavare da una operazione di “eliminazione totale”.

Potrei citare altri rimedi (uno su tutti l’accorpamento dei comuni più piccoli, l’eliminazione delle presidenze dei Consigli ecc.), ma basterebbe che l’operazione per la Regione venisse ripetuta in tutti i 95 enti locali che esistono in Umbria per scoprire che alla fine avremmo non un “tesoretto”, ma un “tesorone” formato da qualche decina, forse qualche centinaio di milioni di euro da utilizzare per investimenti, sostegni all’economia, infrastrutture, lavori pubblici e potenziamento dei servizi. Esperti di finanzia pubblica mi informano che con 50 milioni all’anno a disposizione, ci si può accendere un mutuo quarantennale di oltre un miliardo di euro. Una cifra che permetterebbe di “sbancare” (in tutti i sensi) l’Umbria. Questa è la “ciccia” sulla quale si dovrebbe operare. “Interessa l’oggetto?”. Macchè, meglio tenersi le poltrone.

 

Toc toc … scusi … ma esiste ancora il Pd a Perugia?

6 ottobre 2010

di F.L.R.

Per effetto della legge Bassanini, se non ci sono prove di corruzione ai danni della pubblica amministrazione, solo i dirigenti vengono coinvolti e accusati di mala amministrazione. L’andamento delle indagini nei casi del comune di Perugia (buco di bilancio)  e provincia di Perugia (appaltopoli) può portare allo stesso risultato, quindi niente politici nella rete ma solo i dirigenti dei settori interessati, pertanto non aspettiamoci sfracelli giudiziari.

Ci si aspetta tantissimo però dalla vicenda Santoni (sanità Foligno), questa  infatti sembra venire fuori con forza perché l’Umbria è stata almeno da dieci anni, guidata da un sistema di potere che si basava sulla distribuzione degli incarichi funzionali alla gestione di innumerevoli enti, (Asl, Atc, consorzi socio sanitari, parchi Ati acque e rifiuti, comunità montane ecc,) senza valutare le varie commissioni create ad arte,  un sistema ampio che accontentava i capirioni locali legati al capo centrale. Invece adesso tutto cambia perché i soldi sono finiti ed i capi centrali hanno cosi diminuito il loro potere di condizionamento. Un segnale forte è arrivato quando la Lorenzetti non è riuscita ad ottenere il consenso dei due terzi dei dirigenti del partito (PD e inclusi i voti di Locchi) ) per ottenere l’incarico del terzo mandato. Con la riforma della regione si salvano cosi i massimi dirigenti centrali ma non i ras locali,  quindi niente prebende da distribuire a pioggia, tenendo conto che anche le aziende pubbliche, per ragioni economiche, sono costrette a fondersi, vedi trasporti,  con perdita secca di dirigenti e movimenti vari. Tutto questo come mormora Radio Corso Vannucci, senza toccare i tre casi molto caldi nel mirino delle indagini della magistratura. La sinistra si trova davanti ad un bivio, tornare a fare politica vera nell’interesse dei cittadini oppure rassegnarsi alla frantumazione ed affondare.

Ma di tutto questo non sembra esserci traccia nel dibattito all’interno del partito ( ma c’è un dibattito?) e forse non si tiene conto che (come si dice) negli ultimi sondaggi il Pd in Umbria è passato dal 46% a circa il 30%.

Ma cosa sta succedendo? E’ vera la notizia che esisterebbe un progetto Stella che vede Foligno nel suo centro, e nel quale sono considerate le infrastrutture future, centro acquisti sanità, urbanizzazione dei terreni intorno alla ss. 75 Foligno – Civitanova?

E’ vero che si vuole trasformare Perugia in capitale politica virtuale e trasferire i centri di potere a Foligno? E’ vero che il centro logistico per lo stoccaggio delle merci sarà fatto vicino all’aeroporto di Foligno che è stato attrezzato per accogliere i grossi aerei cargo? (campanello d’allarme per Sant’Egidio).

Come mai viene potenziato lo scalo di Foligno (l’ENAC ha investo 800 mila euro per migliorare il confort dei passeggeri ) mentre sappiamo che oggi c’è solo un elicottero della protezione civile?.

Tutto questo sta avvenendo  in assenza totale di una strategia del trasporto passeggeri e merci in Umbria.

In ultimo (ma non meno importante) la mancanza quasi totale  della manutenzione stradale ordinaria e straordinaria, se nessuno prenderà provvedimenti urgenti per le strade umbre  si arriverà al collasso ed al punto di non ritorno e saremo costretti a  spendere dieci volte tanto per sistemarle e metterle in sicurezza.

Umbria, le contraddizioni e le potenzialità delle riforme regionali

23 settembre 2010

La nuova ed ennesima riforma endoregionale sta diventando una bella montagna da scalare. Non tanto per i provvedimenti di compressione del vecchio sistema, quanto per le ripercussioni che questo può avere sugli equilibri della politica umbra. Siamo alla terza fase. La prima, quella dell’abbondanza, è stata caratterizzata da una espansione a pioggia degli enti ed incarichi, soprattutto a livello periferico. Qualcuno che si è divertito a contarli e tra piccoli e grandi il numero avrebbe raggiunto la cifra di qualche migliaio. Non so se la conta sia esatta, ma so che erano un botto. Poi la seconda fase, quella della scorsa legislatura, quando di fronte alle prime difficoltà finanziarie e all’impossibilità di sostenere questo mastodontico apparato, si è scelto di ridurlo, mantenendo in piedi i grandi incarichi (Asl, Comunità Montane, Ati ecc.) smantellando il piccolo cabotaggio (Consorzi, parchi, enti settoriali ecc.). Adesso siamo alla terza fase e la linea mi pare chiara. Bisogna rinunciare a gran parte delle diramazioni periferiche (un solo Ati, niente Comunità Montane, Probabilmente riduzione delle Asl ecc.). Rimarranno le strutture primarie. Cosa comporterà un simile cambiamento? Comporterà che le nomine, essendo centralizzate, potranno soddisfare le necessità del ceto politico che ruota attorno ai gruppi dirigenti regionali. Non ci sarà più, per la periferia, la possibilità di sistemare le proprie questioni interne,attraverso la distribuzione di altri incarichi, diversi da quelli in mano ai Comuni. La pressione sul centro, inevitabilmente, aumenterà e il bilancino sui territori, applicato a man bassa, sulla distribuzione delle poltrone delle Giunte provinciali e regionale,dovrà, probabilmente, essere applicato anche ad enti, aziende pubbliche e quanto fa potere. E non è un caso che la lista dei papabili alla direzione di queste nuove realtà istituzionali, si stia allungando e di brutto. Il pericolo è quello di un aumento della conflittualità politica tra centro e periferia. I vassalli locali, privati della possibilità di soddisfare gli appetiti dei loro valvassori e valvassini, faranno fatica a ricomporre un quadro di fedeltà alla loro leadership. Di conseguenza anche gli uomini di riferimento  avranno le loro gatte da pelare con i loro referenti periferici. Eppure la nuova situazione potrebbe anche aprire scenari nuovi e più consoni ad un efficace governo dell’Umbria. La nostra regione, lo ripeto da tempo, ha un grande bisogno di centralismo. L’idea delle cento città ha portato a spinte disgregatrici, alla lotta tra territori, ad un sistema chiuso non dialogante. Una delle caratteristiche di questa linea che si è affermata negli ultimi 10 anni, è l’assalto al capoluogo, la sua relegazione ad un territorio qualsiasi. Anzi ad una zona di emarginazione. Le grandi infrastrutture sono state pensate lontano da Perugia. L’unica grande strada in costruzione è la statale 77 che porta da Foligno a Civitanova Marche, i progetti ferroviari sono fermi al raddoppio dell’Orte – Falconara via Foligno – Fossato di Vico, le piastre logistiche per lo stoccaggio delle merci riguardano Terni, Foligno e Città di Castello, le poche novità di innovazione industriale sostenute sono tutte ubicate nel centro – sud della regione e mi fermo qui. Il forzato accentramento delle competenze degli enti non elettivi può, quindi, costituire una occasione per una proficua inversione di tendenza. Ma saprà la nuova Giunta resistere alle campane e alle pressioni dei territori e produrre una politica che faccia ritrovare una unità di azione e che , soprattutto, ricostruisca uno spirito di appartenenza regionale, da tempo smarrito? L’Umbria più si accapiglia, più si divide e più diventa, per dirla alla Metternich, “un’espressione geografica”. L’epoca del cosiddetto Federalismo contiene il germe della semplificazione territoriale. Le regioni piccole vivono sull’orlo del baratro. Se poi risultano, come nel nostro caso, un consorzio di comuni divisi tra loro, sarà più facile sopprimerle, smembrarle in tanti pezzi e accorparle. I primi sintomi di questi pericoli si sono avuti già quest’anno, con la richiesta di abolizione delle province di Isernia e Matera, che avrebbe evidenziato l’inutilità di Basilicata e Molise. La necessità di cambiamento è quindi un fatto imperativo. Ma per vincere questa battaglia occorre che la riforma, qualunque essa sia, venga concepita come un taglio deciso con il passato. Non può e non deve essere letta come l’estremo mantenimento di un sistema di potere che, fra parentesi, fa ormai acqua da tutte le parti, ma come il punto di partenza di una nuova concezione regionalista. Quella che ha una visione unitaria della sua terra, che vive il suo capoluogo come elemento di riconoscimento e di aggregazione delle diversità, che punta a creare uno spirito forte di identità. E questo presuppone un altro passo decisivo, quello relativo alla formazione di un sistema delle autonomie, di una rete sussidiaria che è in grado di evidenziare le vere priorità, di unificare e rendere proficue tutte le risorse a disposizione, evitando di bruciarle in mille ed inutili rivoli. Si mi accorgo che sono scivolato sul politichese e allora mi spiego meglio. Basta con una scuola superiore in ogni comune, basta con gli ospedali di paese, basta con una superstrada per ogni territorio, basta con decine di aziende dei rifiuti e dell’acqua, basta con piani regolatori di Comuni vicini, simili e in concorrenza tra loro, basta con le mille zone industriali che di industriale hanno solo la pretesa, basta a “doppi servizi” che distano un metro dall’altro solo perché stanno in Comuni diversi ecc. Governare vuol dire affrontare questi nodi. E se la soluzione, come penso, è quella di centralizzare, Facciamolo e alla svelta. Del resto tra Terni e Città di Castello ci sono poco più di 100 km. Una distanza piccola che dovrebbe rendere più facile il Governo. Ma in Umbria le distanze sembrano invece abissali. E’ come se si fosse tornati all’epoca del somaro, quando per andare dal Pantano al mercato di Perugia, ci volevano 6 ore di tempo e arrivati ad una delle porte bisognava pagare il dazio, se no non si entrava. Una situazione (quella del dazio) che piacerebbe tanto a diversi nostri amministratori.