Posts Tagged ‘esteri’

Terrorismo: “Quindici minuti di complottismo non si negano a nessuno”

27 luglio 2016

immagine_rouenProvo a raccontare i fatti senza commento. Il Governo Francese presenta una legge che lede i diritti sul lavoro. C’è un’opposizione e un movimento di massa che fa tremare il Governo. Scoppia il terrorismo che colpisce, in primo luogo e pesantemente la Francia. La legge passa al Senato dopo che il movimento ha dovuto alzare bandiera bianca in regime di “stato di emergenza”. (more…)

MARÒ, TERZI SI DIMETTE “LO FACCIO PER ONORE” QUALE ONORE, MINISTRO?

26 marzo 2013

MARO': PREMIER INDIA, SITUAZIONE INACCETTABILELa vicenda Marò non ha precedenti nella storia repubblicana.
Solo ora, dopo mesi di ondivaghezza, il ministro degli Esteri meno influente e caparbio della storia ha avuto un sussulto di amor patrio e di orgoglio, dimettendosi. Anche se ormai è troppo tardi.

“Mi dimetto – ha detto – perché per 40 anni ho ritenuto e
ritengo oggi in maniera ancora più forte che vada salvaguardata l’onorabilita’ del
Paese, delle forze armate e della diplomazia italiana. Mi dimetto perché solidale con i nostri due Maro’ e con le loro famiglie’. Giulio Terzi, aggiunge, che si dimette “in disaccordo con il governo”. Le riserve “da me espresse- sottolinea- non hanno prodotto alcun effetto e la decisione è stata un’altra, la mia voce è stata inascoltata”. Di chi è quindi la responsabilità?

fonte: http://www.piazzolanotizia.it

EISE, GRAZIE AD UN SISTEMA INNOVATIVO, AIUTA LE IMPRESE A FARE BUSINESS NEI MERCATI ESTERI

26 gennaio 2012

“E’ nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato”. Sulla scia delle parole di A. Einstein, anche le aziende italiane cercano di spostare l’interesse commerciale su mercati nuovi e in molti casi inesplorati; ma esiste il rischio di non ottenere il risultato voluto. Per questo motivo uno dei fiori all’occhiello del tessuto economico umbro, EISE, azienda fondata nel 1954 dal Cav. Gr. Croce Giuseppe Piria ed oggi condotta dal figlio Pierpaolo, si occupa di mettere in contatto le piccole e medie imprese produttrici italiane con clienti e/o agenti nei mercati esteri. Il sistema EISE International Business Contacts supporta la struttura commerciale delle aziende, procurando richieste di acquisto e/o rappresentanza per i loro specifici prodotti, formulate da parte di selezionate aziende estere. Tutto ciò è reso possibile dalla Banca Dati EISE di aziende italiane ed estere, costantemente aggiornata, e da una vasta équipe di operatori che quotidianamente, attraverso contatti diretti, individuano i clienti e gli agenti che proprio in quel momento sono interessati all’acquisto o alla rappresentanza dei prodotti commercializzati dalle ditte assistite.

EISE SERVIZIO ASSISTENZA ON SITE ® , che si affianca ad EISE SERVIZIO ASSISTENZA ON LINE per l’erogazione di servizi relativi a traduzioni, interpretariato, triangolazione telefonica, diffusione di inviti e  a quant’altro utile ad un’impresa che si affaccia su un mercato non ancora esplorato, rappresenta in un momento tanto difficile per l’economia internazionale una innovazione a vantaggio delle piccole e medie imprese italiane, mettendole in grado di poter ottenere in tempi brevissimi alcune importanti risposte da nuovi mercati.

 

 

ESTERI, Pakistan, tra uccisioni, catture e attentati.

29 agosto 2011

Il numero due di Al-Qaeda, Atiyah Abd al-Rahman è stato ucciso il 22 agosto, a riferirlo sono fonti

Emanuela Marotta

americane. E’ uno dei più grandi terroristi, se si può chiamare così, ed è il numero due dopo Bin Laden. Di risposta agli americani ora il Pakistan è una vera e propria trappola per Al-Qaeda. La morte di Rahman è una grande perdita per il terrorismo islamico, Al Zawahri, il successore di Bin Laden, contava molto su di lui per contribuire a guidare e gestire l’organizzazione terroristica. Il Pakistan come molti altri paesi musulmani in questo periodo di rivolte, catture ed uccisioni, sta vivendo momenti di guerriglia e di un atroce terrorismo interno. In Pakistan non si ha più tempo per disperarsi ed avere paura. Sempre oggi a Quetta capoluogo del Baluchistan, la più estesa provincia del paese un sanguinoso assalto ad un treno nel sud-est del Pakistan ha causato tre morti e 18 feriti. Non c’è stata ancora nessuna rivendicazione ma la polizia sospetta che possa essere un movimento separatista che punta al territorio e al suo controllo perché situato tra l’Iran e l’Afganistan. Pochi giorni fa invece, un ragazzo di 16 anni si è fatto esplodere in una moschea di Islamabad. Il bilancio dell’attentato è di 53 morti e di oltre 120 feriti, la città e la popolazione sono ancora scosse per l’accaduto. Questo giovanissimo kamikaze si è fatto esplodere in mezzo ad una folla di persone durante il venerdì di preghiera nel distretto tribale di Khyber, area altamente turbolenta e porta d’ingresso in Afghanistan. Da alcune ricostruzioni, il giovane kamikaze sarebbe entrato nella moschea da una finestra e si sarebbe fatto esplodere nella sala principale che in quel momento accoglieva quasi 600 fedeli. La violenza non si  ferma neanche nel mese del Ramadan, manca solo una settimana alla conclusione e si spera che non ci siano altri atti così violenti. L’attentato alla moschea di Islamabad viene considerato uno dei più gravi degli ultimi mesi nel Pakistan, la giovane età dell’attentatore e la  tattica usata fanno  pensare ad un’azione dei talebani che controllano il valico di frontiera dove sono frequenti gli scontri tra diversi gruppi tribali e bande criminali. Da alcune testimonianze si pensa che sia una rivendicazione perché alcuni giorni precedenti alla strage dei militari sono stati cacciati dai capi della comunità tribale locale, inoltre alcuni superstiti hanno dichiarato di aver sentito il giovane urlare prima di farsi esplodere: ”Chi mi butterà fuori ora?”, da questa esclamazione si può dedurre che è una vendetta da parte dei talebani. Non ci si può più muovere in Pakistan, tutto è in rivolta, tutti sono in rivolta. Troppi interessi e troppe persone che vogliono il potere o accaparrarsi qualcosa sia dall’interno che dall’esterno.

di Emanuela Marotta

Rivolte in Medio Oriente e Nord Africa: premesse simili ma conclusioni imprevedibili

22 febbraio 2011

di Matteo Bressan

L’ondata rivoluzionaria che sta scuotendo il Nord Africa così come il Medio Oriente non deve portarci a semplicistiche considerazioni. Si percepisce infatti la sensazione, da parte di alcuni opinionisti e politici italiani, di essere di fronte ad processo storico evolutivo che porterà, quegli Stati dove sono in atto imponenti stravolgimenti, al raggiungimento di vere e proprie forme di democrazia compiuta.
Sentendo poi alcuni agghiaccianti accostamenti tra quella che fu la rivoluzione iraniana e quello che si sta osservando oggi si rimane molto preoccupati.
Si viene a scoprire infatti che molti intellettuali e militanti della sinistra nostrana avevano guardato con speranzosa benevolenza alla rivoluzione di Khomeini salvo poi accorgersi, tempo dopo, quale tipo di minaccia si fosse venuta a creare in Iran. Oggi non conosciamo o quantomeno non possiamo prevedere quali saranno gli esiti di queste insorgenze in molti casi sorte a causa della povertà e dalla fame, ma in altri casi spinte o peggio ancora sostenute dall’Iran. Possiamo rimanere fermamente convinti che alla fine ci sarà un vero e proprio processo evolutivo delle Istituzioni e di quei paesi governati sin qui in maniera dispotica?
Stiamo valutando attentamente quale sia il rischio della nostra sicurezza energetica e le conseguenze umanitarie che si riverseranno sui paesi del Mediterraneo?
Siamo sicuri che alla fine di questo pericoloso domino non ci si possa ritrovare con un’influenza della Cina estesa al Nord Africa o peggio ancora alla nascita di formazioni appartenenti alla galassia di Al qaeda a poche miglia dalle nostre coste?
È possibile che in mezzo a tante e sanguinose rivolte si sia smarrita la visione strategia di quello che è in primo luogo il principale paese esportatore del fondamentalismo islamico?Ci si è forse dimenticati che il padrino dei movimenti terroristici presenti in Libano, Iraq e Afghanistan è riuscito anche in questa ondata di rivolte ad uscire sostanzialmente indenne. È pensabile che di fronte al crollo dei regimi illiberali del Nord Africa ci si dimentichi del vero manovratore, che vive al sicuro a Theran, e si finisca per accumunare il tutto in una grande rivoluzione per la democrazia?

L’Occidente non deve chiudere gli occhi sul colpo di stato in Libano

26 gennaio 2011

di Matteo Bressan

Il Presidente libanese Michel Suleiman e il presidente del parlamento Nabih Berri hanno firmato il decreto con cui si incarica formalmente l’ex primo ministro filo siriano Najb Mikati di formare il nuovo governo libanese. Najb Mikati, il deputato centrista, uomo di affari vicino alla Siria si è affrettato a dichiarare che cercherà di essere il Primo Ministro di tutti i libanesi, tentando di smarcarsi dalle posizioni politiche di Hezbollah, salvo però la difesa della la resistenza nazionale.

Hani Mikati

Considerando che circa l’80% della comunità sunnita, schierata con Hariri, ha subito la nomina di Mikati a Primo Ministro, così come i cristiani maroniti di Samir Geagea e tutti gli altri partiti della coalizione 14 Marzo, c’è da restare molto scettici di fronte a queste prime dichiarazioni solo apparentemente concilianti. Chi conosce il Libano infatti sa bene che cosa significhi la resistenza nazionale e quali forze politiche, Hezbollah e Iran, hanno creato un vera e propria esaltazione della resistenza nazionale contro Israele.

Andando poi ad analizzare quali fattori abbiano determinato lo spostamento degli 11 parlamentari del leader druso Walid Jumblatt, che di fatto ha capovolto i rapporti di forza in Parlamento a favore della colazione dell’ 8 Marzo, si scoprono alcuni fatti inquietanti. Molti cittadini di Beirut hanno infatti testimoniato la presenza di numerosi miliziani di Hezbollah che sarebbero scesi armati per le vie di Beirut rievocando nelle menti dei drusi i sanguinosi scontri del 2008. Per questo motivo e per testimoniare le violenze e le minacce del Partito di Dio in queste ore i libanesi che si riconoscono nella coalizione elettorale che ha vinto le elezioni politiche del 2009 stanno scendendo in piazza per protestare contro il ribaltone che sta andando in scena in Libano.

Nel frattempo i cristiani maroniti guidati da Samir Geagea, già da due giorni, si stanno radunando a Freedom Square, la piazza nel centro di Beirut dove si trova il sacrario di Rafiq Hariri e gli uomini della sua scorta e nella quale si riversarono migliaia di libanesi per chiedere il ritiro della Siria, insieme alle altre componenti della coalizione del 14 Marzo hanno esposto cartelli contro Hezbollah e contro quello che pare agli occhi dei più attenti come un colpo di stato camuffato da ribaltone parlamentare.

Oggi a distanza di pochi anni si comprende che quel ritiro fu solo parziale e non intaccò mai il peso politico di Damasco negli affari libanesi sia nel settore della sicurezza che nella formazione dei quadri militari. In queste ore molto tese viene anche da chiedersi se e quale dovrà essere il ruolo della missione Unifil in un contesto che a questo punto è totalmente cambiato rispetto all’estate del 2006 e dove sarà difficile ipotizzare, seppur lontanamente, il disarmo di Hezbollah. Avrà ancora senso mantenere una forza multinazionale con un Primo Ministro che con molta probabilità cercherà di raffreddare le possibili condanne del Tribunale Speciale che indaga sull’omicidio Hariri?

Le prime reazioni internazionali non si sono fatte attendere e ieri sera il Dipartimento di Stato americano, pur riservandosi di verificare la composizione del nuovo Governo,  ha manifestato i rischi che potrebbe comportare la crescente influenza di Hezbollah nel prossimo esecutivo. Del tutto diverso l’approccio del responsabile della politica estera dell’ Unione Europea, Catherine Ashton che auspica che il neo Primo Ministro libanese si impegni per creare il più ampio consenso possibile intorno al nascente esecutivo. Ancora una volta e nonostante le evidenti pressioni di Hezbollah, l’Unione Europea ha perso l’occasione per chiamare, in maniera appropriata quello che solo chi non vuole vedere è a tutti gli effetti un colpo di stato.