di Paola Bianchi

Paola Bianchi
L’uso privato del pubblico da parte della politica , emerso con le dimissioni dell’assessore alla sanità Riommi ha aperto un dibattito sul “pubblico”, sulle modalità per renderlo partecipato o, secondo alcuni, sulla necessità di superarlo in direzione del “comune”. Propongo qui di seguito due contributi che vanno in questa direzione, auspicando che servano da stimolo per ulteriori interventi e approfondimenti.
Costruzione del comune in Sanità e crisi della rappresentanza: il caso dell’Umbria
di Carlo Romagnoli, responsabile Sanità ACU Umbria
Con l’accettazione da parte della Giunta regionale delle dimissioni dell’assessore alla sanità, Vincenzo Riommi, il problema della funzionalità dell’attuale sistema della rappresentanza politica anche ai fini della promozione e tutela della salute assume assoluta rilevanza.
Tutti noi dobbiamo riflettere senza infingimenti sulla crisi terminale che coinvolge i due modi di gestione che hanno avuto l’egemonia nel corso del secolo passato: il sistema di gestione privato e quello pubblico. Restando alla sanità, del modello di gestione privato basterà dire che non vi è in letteratura un solo studio scientifico che ne attesti almeno la non inferiorità rispetto al pubblico nel garantire salute da un punto di vista di popolazione. E vi sono evidenze della relazione tra diminuzione degli anni di vita vissuti senza salute e la percentuale crescente di spesa sanitaria privata rispetto a quella totale (CDSH, “Closing the gap”. 2008). Per non parlare del privato come determinante della crisi ambientale o di quella finanziaria, economica e sociale che producono precarietà e nuova povertà in tutto il mondo. Il problema però è che già dal 2008 l’OMS ci dice che il pubblico, invece di produrre equità nella salute, comunità sane e servizi centrati sui bisogni della gente, sostituisce i fini e produce centralità dell’ospedale, commercializzazione (la pandemia!) e frammentazione dei programmi sanitari (OMS, World health report 2008).Oggi noi dobbiamo aggiungere che, oltre a quanto l’OMS autorevolmente denuncia, il SSR in Umbria ha dimostrato di produrre anche l‘uso privato del pubblico. Associando poi i fatti di casa nostra con quanto già si è verificato in Abruzzo o in Calabria, solo per restare ai casi più clamorosi, vi è sufficiente evidenza del fatto che il problema investe in pieno non solo il cosiddetto “centro sinistra”, ma la stessa capacità del pubblico di garantire il rispetto delle finalità sociali per cui è stato creato.
Se i partiti selezionano i gruppi dirigenti contando più sui vincoli di appartenenza territoriale e amicale (i clan!) che sulla capacità di dare concretezza ai programmi e se questi partiti riescono a mettere le mani su aziende sanitarie che, prive di qualsiasi elemento di partecipazione reale e di controllo dal basso, sono un eccellente leva per ottenere voti, fare favori, spostare le risorse di tutti su definiti territori e orientare appalti, ebbene noi, di tutto questo, non sappiamo che farne. Nuova sanità pubblica? Cosa può significare se meccanismi politici e sistemi di gestione aziendale restano gli stessi? Non bastano nemmeno le giaculatorie sulla sanità come bene comune perché vecchi e nuovi partiti dicono già da ora che ci penseranno loro a difendere i beni comuni. Ma il punto è un altro: come ci liberiamo di questi due modi di gestione evidentemente superati e come lavoriamo per costruire il comune in sanità. Il bello del concetto di comune (Hardt e Negri, 2010) è che esso consiste nel “ Divenire principe della moltitudine”, ossia in un processo aperto in cui noi in quanto molti, grazie anche alla materializzazione del cervello sociale nella rete ed ai dispositivi di inclusione e condivisione grazie ai quali la abbiamo resa forte ed efficiente, ci “autoattiviamo” (M. Castells, 2009).
Costruire il comune in sanità può voler dire allora che i cittadini, anche grazie al web 2.0, condividono la scelta delle priorità, verificano in regime di terzietà la qualità delle cure, valutano l’impatto pratico delle politiche sanitarie sulla loro salute. Ecco, facciamo una cosa nuova piuttosto che cercare di applicare nel presente le ipotesi del passato: concentriamo l’attenzione di tutte le persone di buona volontà sulle buone pratiche di costruzione del comune in sanità: ce ne sono già molte in giro e chissà quante ne possiamo condividere se ci mettiamo a ragionare insieme.
________________________________________________________
L’Umbria può fare la sua parte nella riqualificazione e nel rilancio del sistema pubblico quale “Bene comune”
di Stefano Vinti
Nella nostra regione la gestione pubblica dei servizi sta conoscendo un momento di difficoltà, in parte a causa della congiuntura economica, in parte a causa del quadro preoccupante che scaturisce dalle indagini dell’autorità giudiziaria sul sistema di gestione degli appalti e dei posti di lavoro nella Asl n. 3 dell’Umbria. La crisi economica e finanziaria, che in Umbria ha colpito pesantemente l’apparato produttivo e l’occupazione, ha obbligato le istituzioni a convogliare le risorse per il sostegno alle imprese per tamponare con gli ammortizzatori sociali i pesanti effetti sul mercato del lavoro, evitando così un tracollo nei già magri bilanci delle famiglie umbre, penalizzati da un decennio da una media delle retribuzioni del 10% inferiore rispetto a quella del Centro – Nord. Alla crisi si è aggiunta, poi, l’incapacità del governo Berlusconi di predisporre politiche in grado di rilanciare lo sviluppo e i consumi e una manovra finanziaria – quella del luglio scorso – che praticamente smantella il modello di gestione pubblica dei servizi delle regioni e degli enti locali, azzerando per il triennio 2011 – 2013 i trasferimenti statali ex Bassanini in settori fondamentali come le opere pubbliche, la viabilità e i trasporti, la sanità e le politiche sociali, l’edilizia residenziale, le politiche a sostegno dell’industria, dell’artigianato e del lavoro. Questi elementi di criticità ci spingono ad interrogarci sul ruolo del pubblico nella gestione di servizi e funzioni fondamentali per la comunità, anche alla luce delle distorsioni palesate dalle indagini giudiziarie su importanti pezzi del sistema sanitario regionale. Al di là delle responsabilità penali, quello che rileva è uno scivolamento della gestione dell’interesse pubblico verso pratiche clientelari e favoritismi di consorterie politiche a fini elettorali che non fanno certo bene all’immagine della pubblica amministrazione regionale. La sfida che abbiamo di fronte, allora, è quella di riqualificare il sistema pubblico, evitando di strumentalizzare le difficoltà attuali nella direzione dello smantellamento del sistema pubblico a favore di elementi di privatizzazione dei servizi. Quello che non ha funzionato, infatti, oltre alla privatizzazione, è il tentativo attuato di aziendalizzare il sistema pubblico e di conformarlo ai modelli privatistici. Un percorso tutt’ora in divenire, grazie ai provvedimenti del Ministro Brunetta. Occorre invece costruire un sistema pubblico che adotti il coinvolgimento dei cittadini e la partecipazione e il controllo dal basso come elementi centrali del funzionamento del sistema. Il pubblico e i servizi gestiti dal pubblico devono diventare beni comuni e devono essere sempre più oggetto di “buone pratiche”, fondate non solo sulla “customer satisfaction” e sul risarcimento in caso di disservizi, ma proprio su meccanismi reali di partecipazione e di controllo da parte degli utenti.L’acqua, la salute, l’ambiente e il sapere (formazione e scuola) devono essere vissuti dalla politica e dall’amministrazione come “beni comuni” da difendere e tutelare. Ma anche il lavoro, elemento cardine della nostra Costituzione, deve essere visto come bene comune dalle istituzioni, a partire da quelle locali, visto che il governo nazionale va in tutt’altra direzione, come dimostra la recente approvazione dell’arbitrato nel “collegato lavoro”. L’Umbria può fare allora la sua parte nella riqualificazione e nel rilancio dell’idea di “pubblico” con una serie di provvedimenti importanti per rilanciare l’economia e l’occupazione: un Piano regionale per il lavoro, l’istituzione del reddito sociale, un provvedimento che disincentivi le delocalizzazioni di impianti industriali fuori dall’Umbria. Ripartiamo dai nostri territori per rilanciare la tematica dei “beni comuni” e allarghiamo poi all’intera Italia mediana una politica di valorizzazione del pubblico come difesa di un modello sociale equo ed efficiente rispetto agli attacchi del federalismo egoista di stampo leghista.