
di Matteo Bressan
Sono passati cinque giorni dal sequestro dei sette Estoni che percorrevano la valle della Bekaa provenendo dalla Siria a bordo di biciclette. Dalle ricostruzioni, peraltro confuse che si sono susseguite, sembrerebbe che i sette cittadini siano stati circondati da uomini armati a bordo di due furgoni e una Mercedes bianca senza targa.
In un primo momento, quando non era stato possibile chiarire la nazionalità dei malcapitati, le agenzie avevano annunciato il sequestro di sette europei, in un secondo momento era circolata la notizia che il gruppo fosse composto da Estoni ed Ucraini.Subito dopo però, una nota del Ministero degli esteri ucraino, smentiva la presenza dei propri concittadini.
Sul fronte estone invece già venerdì è iniziata a trapelare un’evidente preoccupazione proprio dal Ministro degli Esteri Urmas Paet che ha ribadito di non aver ricevuto nessun messaggio dai sequestratori e non ha potuto fornire pubblicamente dettagli sui sette turisti Estoni. Sono però trapelate alcune notizie da uno dei familiari ed è emerso un particolare sul quale è doveroso fare una riflessione. Sembrerebbe infatti che uno degli estoni lavorerebbe per un’azienda specializzata nella realizzazione di software utili ai sistemi di geolocalizzazione.
Sul fronte delle ricerche il Governo estone, tramite il Ministro degli Esteri Umas Paet, ha informato l’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri Catherine Ashton, i Ministri degli Esteri di Francia, Turchia, Italia e i diplomatici di Gran Bretagna, Stati Uniti e Polonia. Le autorità libanesi stanno setacciando la zona della Bekaa, valle rinomata per il traffico di droga e armi controllata da Hezbollah, nel tentativo di stabilire un contatto con i sequestratori.
Anche la politica libanese si interroga su questo sequestro e il Presidente delle Forze libanesi Samir Geagea, lo scorso venerdì, ha manifestato le sue preoccupazioni su un evento che potrebbe destabilizzare il già precario equilibrio del Libano. Va ricordato infatti che sono trascorsi ben due mesi dalle dimissioni del Governo Hariri e che gli episodi di tensione non mancano, come testimonia l’esplosione nella notte del 26 marzo di una bomba nella cittadina di Zahle presso un chiesa cristiana. Ad oggi però sia da quanto trapela dalle dichiarazioni ufficiali che da quello che si legge sulla stampa araba si ha la sensazione, avvalorata dalla diversità delle piste che si stanno seguendo, che si stia brancolando nel buio.
Le ipotesi che maggiormente sono circolate tra venerdì e sabato sono tra le più disparate ma tutte degne di nota. Si è partiti infatti dal collegare questo sequestro all’arresto avvenuto un anno fa a Kiev di un leader palestinese, fatto che avrebbe determinato il sequestro di cittadini ucraini, della cui presenza lo stesso ministero degli esteri ha dato smentita, per un’ eventuale trattativa di scambio. Successivamente si è pensato ad un’azione di disturbo, organizzata dalla Siria tramite Hezbollah, per creare disordine nella valle della Bekaa ed ostacolare quindi la visita in programma nei prossimi giorni di Hariri.
Il giornale kuwaitiano Al Anba ha infine citato una fonte del campo palestinese di Ai nel Helwe, che avrebbe collegato il rapimento dei sette estoni con le vicende libiche. I sequestratori infatti, appartenenti all’organizzazione Fath al Intifada, sembrerebbero essere palestinesi, forse legati e sostenuti economicamente da Gheddafi, il quale in questo modo avrebbe voluto mandare un messaggio all’Europa.
Poche ore dopo le dichiarazioni apparse su Al Anba, un portavoce di Fath al Intifada ha prontamente negato qualsiasi coinvolgimento nel rapimento precisando che gli unici obiettivi della loro organizzazione sono la lotta per la causa palestinese. Forse è ancora presto per affermare che il Libano sia ripiombato nella spettrale spirale dei sequestri di occidentali, che caratterizzarono la seconda metà degli anni ‘80 nella guerra civile libanese, ma la preoccupazione che si percepisce e il silenzio che circonda questa vicenda si fa sempre più assordante.