
Costanza Bondi
di Costanza Bondi
Dovere umano, morale e sociale – volendo anche religioso, nel caso si abbia fede – è accogliere il debole nelle sue precipue qualità di povero, esule e diseredato. Ius soli o meno. Dovere al contempo di chi viene accolto è il rispetto totale e inderogabile delle regole assodate, e quindi imprescindibilmente preconcette, vigenti nella comunità ospitante, nonché delle tradizioni ben radicate su cui è fondata. Le società cosiddette “aperte”, dove con suddetto aggettivo si intenda democratiche e tolleranti, riscontrano però, proprio in virtù di tali loro prerogative, l’impossibilità spesso di far fronte alla situazione. Ecco quindi che il valore di “apertura” a tutto campo da qualità positiva, intesa come forza di una società moderna, può diventare, in mancanza del rispetto delle regole, il punto debole del pensiero base della società stessa. Siamo quindi sempre più spettatori di società multirazziali in cui tutto vige tranne che l’integrazione, in un panorama di monadi, ognuna a sé stante, che nel piccolo riproduce la propria realtà, senza per questo quindi integrarsi nel contesto ospitante. Onde evitare il fatidico tramonto dell’Occidente spengleriano. La lungimiranza di Spengler lo portò a codificare in tempi non sospetti, se paragonati a quelli dei giorni nostri, la teoria per la quale tra le varie civiltà non sia possibile comunicazione alcuna quando non esistano valori comuni tra essi (il congiuntivo del verbo “esistere” è di chi scrive e non dell’autore). Le diverse civiltà che infatti costituiscono e hanno costituito la storia non sono che, secondo Spengler, degli organismi biologici che, appunto in base alla propria natura prima nascono, poi crescono, si sviluppano ed invecchiano, per infine morire come qualsiasi altro elemento della stessa specie, secondo le leggi ineluttabili della natura. Stesso ciclo evolutivo che si ritrova all’interno di ciascuna civiltà, nessuna immune, tanto meno quella europea, e in particolare la italiana.
E appunto veniamo a noi. Italia, stato meta dell’immigrazione, modello della cultura occidentale, in primis nella tutela delle minoranze, dovrebbe promuovere quella convivenza costruttiva che possa portare al riconoscimento delle altre identità culturali, sì, ma nell’ottica in cui rimanga valido il contesto preconcetto. La tensione dei flussi migratori ha senza dubbio una valenza globale e va di pari passo con la storia dell’uomo, da che mondo è mondo, come si suol dire. Ma nello specifico del caso “Italia” si assiste a quella frammentazione di cui Caruso parla nel suo Immigrazione e identità europea nell’era della globalizzazione e cioè alla mancanza di un autentico progetto integrativo, dovuto alla frammentazione delle culture politiche italiane. A ciò si aggiunga, di conseguenza, l’atteggiamento della popolazione italiana, appunto orientata in maniera difforme, coll’inevitabile risultato di produrre pensieri che oscillano tra i due estremi di xenofobia e di xenofilia. Estremi peraltro derivanti dal messaggio sociale che proviene dalla classe politica di riferimento del cittadino stesso. Per cui il multiculturalismo sarà percepito di volta in volta con ostilità o apertura incondizionata, a seconda di quale sia il pulpito più o meno ideologico che nel momento di quella sua oratoria è alla ricerca di consensi.
Cosa manca quindi all’Europa, per non tracollare imminentemente nel proprio tramonto? Sicuramente, anche se la soluzione non è unica né univoca, l’adozione di una politica dell’immigrazione che sia seria e attuabile. Una politica per cui non si debbano rinnegare le proprie origini, quelle del paese ospitante, tanto per tornare all’incipit del nostro discorso, una politica per cui in una terra figlia della civiltà cristiana non debba neanche sfiorare il pensiero che il crocefisso appeso ai muri o l’immagine della Madonna all’entrata di una qualche scuola possano apparire inopportuni sul piano logico e ingiustificati su quello giuridico. Altrimenti, altro che tramonto, caro il mio vecchio e saggio Spengler!
Il multiculturalismo non è infatti la semplice presenza di diverse culture in una società, ma è un sistema per cui si privilegia il concetto di società a quello di individuo. E perché l’individuo stesso non venga sopraffatto, ci vuole quello che io chiamo una sorta di mitridatismo: assunzione cioè

Oswald Spengler
del corpo estraneo un poco alla volta, di modo che l’organismo si possa abituare e così che il corpo estraneo possa imparare a vivere dentro tale corpo nuovo, senza ucciderlo, sopraffarlo. Mi pare invece che stiamo per fare la fine di Socrate: tutti perbenisticamente felici di bere in una sorsata sola il bel bicchiere di cicuta!
Oswald Spengler (Blankenburg am Harz, 29 maggio 1880 – Monaco di Baviera, 8 maggio 1936) è stato un filosofo, storico e scrittore tedesco. Scrisse Il tramonto dell’Occidente