di Kinova
Sabato pomeriggio Lions Club di Marsciano per festeggiare il proprio trentennale di attività ha
presentato l’ultima fatica letteraria del giornalista/saggista/regista Gilberto Squizzato “La TV che non c’è”, scritta – come ha tenuto a precisare l’autore stesso – per una sorta di urgenza d’indagine su meccanismi, regole e finalità del servizio di emittenza pubblica. Esordio della conferenza è stato il seguente proposito: dissestare (cit) qualche luogo comune. Assodato il fatto che la gente non legga libri o quotidiani in quantità dovuta, sembra risultare che la società moderna viva dentro la realtà televisiva. Ma l’omologazione dei prodotti proposti dalla RAI a quelli della concorrenza (leggi: Mediaset) rende il nostro istituto non più di servizio pubblico, quanto ricalcato sul modello della TV commerciale. Criterio questo per cui il servizio stesso diventa un prodotto, concetto da cui ne consegue che l’utente non fa che diventare un semplice cliente. La domanda ricorrente della conferenza “A cosa serve il servizio pubblico televisivo italiano?” non ha però trovato risposta, poiché in Italia non esiste una legge, una normativa che ne definisca i criteri. Inoltre, spiegava l’autore, l’immagine di una società è l’immaginario del paese a cui essa stessa appartiene: ad oggi, quindi, si può dedurre che l’informazione venga rappresentata dalla fiction! Da qui, la Squiz-solution: discutere i meccanismi, le finalità e le regole del servizio pubblico televisivo – di cui appunto per legge non se ne conosce lo scopo – a cui si possa affiancare un CDA che rappresenti i corpi intermedi dello stato, che renda perciò conto al servizio e non a chi l’ha nominato a rivestire tale ruolo (al padrone, quindi: termine utilizzato più volte in questo frangente dall’autore). Alla domanda invece se si possa o meno accettare il paradosso di vendere la RAI, la risposta è sicuramente “no”, poiché la RAI essendo un bene pubblico va difeso, e non privatizzato. Semmai, ed ecco la Squiz-proposta, convertire una delle già esistenti reti RAI in rete da dedicare ai 4 milioni di immigrati presenti nel nostro territorio in qualità di cittadini italiani a tutti gli effetti, per diritti e doveri. Che dire? Concetti impeccabili più nel merito che nella forma: lo scivolone ideologico verso bottate antiberlusconiane ha colpito anche sabato pomeriggio, ma la situazione di un capo del governo al contempo possessore delle reti televisive di concorrenza al servizio pubblico… prestava bene il fianco… soprattutto in un ambito ospitante di tutt’altra provenienza culturale e di appartenenza identitaria opposta. E allora, sì, la lezione di bon-ton culturale che effettivamente ha dissestato i luoghi comuni ce la siamo goduti a fine conferenza, quando ha preso la parola l’elegante violoncellista Maria Cecilia Berioli. Introducendo infatti le opere del repertorio di cui di lì a poco UmbriAEnsamble ci avrebbe omaggiati, ci ha spiegato che neanche in musica bisogna fermarsi alle apparenze, sfatando il luogo – appunto comune – che Beethoven, per esempio avesse composto solo musica classica sinfonica per palati (in tal caso: orecchie) eccelsi. Quando invece la straordinaria opera del compositore tedesco ci offre anche un ampio catalogo di produzioni pianistiche ed operistiche, una produzione musicale fondamentale, straordinaria per la sua forza espressiva e capace di evocare una gran mutevolezza di emozioni. Nel vasto catalogo delle composizioni beethoveniane, grande rilievo hanno la sua produzione cameristica, quella sinfonica e le opere pianistiche.