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Sovranità europeista e tritacarne degli spread

17 dicembre 2011

C’è vita (politica) sotto le macerie degli spread. In giro per l’Europa ci sono segnali confortanti, non allineati con i canoni più elementari, che tanto successo hanno in casa nostra. François Hollande, che la primavera prossima contenderà l’Eliseo a Nicolas Sarkozy, ha detto che i tedeschi se la possono scordare l’ipotesi di far controllare la disciplina di bilancio alla Corte di giustizia europea, perché una cosa è essere tenuti all’armonizzazione delle politiche fiscali, altra l’essere denunciati, e doverne rispondere a un giudice, per scelte politiche prese con metodo democratico. Detto in modo più generale: va bene cedere sovranità nazionale verso istituzioni europee che abbiano l’eguale base di legittimità, vale a dire siano frutto della volontà popolare, non va affatto bene, invece, rinunciarci a favore di quale che sia magistratura o burocrazia. Il socialista Hollande ha ragione, ed è il tema politico dell’Europa futura. Da noi sembra che esistano solo due opzioni: o tutti uniti nell’ottemperare ai dettami europei, delegandone l’attuazione ai tecnici, quindi ammettendo il commissariamento della politica e, con questa, della democrazia; oppure scatenarsi in un moto reazionario e antieuropeo, che abbia nella moneta unica il suo bersaglio ideale. Alternativa d’impareggiabile povertà culturale, oltre che politica. Dilemma che, oltre tutto, si risolve a tutto favore della prima opzione, che ha il difetto di caricare come una molla la rabbia sociale, senza disporre di alcuno strumento per governarne l’eventuale scatto. Oramai tutti hanno imparato che la Bce deve diventare “prestatore di ultima istanza”, talché lo sento ripetere a pappagallo da chiunque voglia darsi l’aria d’aver capito cosa significa.  Ma dietro la formuletta di rito c’è un problema politico: come all’interno di uno Stato la spesa pubblica (ed il debito che ne consegue) ridistribuisce reddito, così avverrebbe all’interno dell’Unione. La redistribuzione, possibilmente coniugata con la produzione, altrimenti genera burocrazia e miseria, è scelta politica, presuppone il chi, il cosa e il dove si guadagna e il chi, il cosa e il dove ci si rimette. Chi, in Europa, può praticare queste scelte? La risposta, oggi, è: nessuno.

Se si vuole uscire dalla trappola logica, che ha dato vita al tritacarne degli spread, si deve andare verso una maggiore integrazione, quindi verso maggiore cessione di sovranità, ma anche verso maggiore democrazia, quindi maggiore politica europea. In Germania non c’è solo l’incapacità e la pochezza di Angela Merkel, ci sono anche voci autorevoli, come quelle dei due Helmut, Schmidt e Kohl, che ne condannano le scelte. In Francia non c’è solo l’imperizia di Sarkozy (a proposito, visto che, secondo lui, detto in pubblico, la Merkel “nous fout le bordel”, perché non se ne chiede la destituzione e non lo si radia dai consessi civili, come si fece con chi, in privato, si è espresso poco opportunamente sulle terga della citata?), c’è anche l’europeismo di Jacques Delors e il pragmatismo di Jean-Claude Trichet. In Inghilterra il sindacato ha scioperato contro la riforma delle pensioni, ma i laburisti (che sono opposizione, di sinistra) non li hanno seguiti, ben consapevoli, come il governo, che lo stato sociale del passato non ce lo si può più permettere. Insomma, c’è vita (politica), ci sono idee e, grazie al cielo, ci sono interessi che si contrastano. L’Italia è la settima potenza economica mondiale. Abbiamo colpe verso noi stessi (alto debito pubblico e bassa crescita) e abbiamo sempre, demenzialmente, guardato all’Unione come a un vincolo, anziché come a un’opportunità. Ma la nostra forza ci consegna anche responsabilità e limitarci ad obbedire agli ordini senza interloquire, con autorevolezza e determinazione, nelle scelte ci rende complici di chi sbaglia. Trovo impressionante che la Camera dei Deputati abbia trionfalmente approvato (464 voti a favore e 11 astenuti) la modifica costituzionale che scolpisce nel marmo il pareggio di bilancio, impegnandosi ad un via libera definitivo entro il febbraio 2012, dimenticando che:

a) tale vincolo c’era già (articolo 81);

b) già nella legislatura 1992-’94 si corse al suicidio politico, facendosi imporre l’agenda da fuori.

La settima potenza economica non si fa dettare i compiti e corre a farli. Almeno chiede un consiglio di classe e, dentro quello, cerca le sponde per fare politica, per far valere i propri interessi, per non umiliare quelli europei. Così, come se fossimo ancora padroni della nostra storia

Davide Giacalone

 

ECONOMIA: L’INDIGERIBILE SARKEL

28 ottobre 2011

Alla fine resteremo solo noi a credere d’essere il problema dell’euro, come se gli umori leghisti e i cinque anni che ci dividono dall’entrata a regime del sistema pensionistico su base contributiva siano una specie di grattacapo continentale.  Invece il problema dell’Europa è l’euro, concepito come moneta senza governo e attrezzato per affrontare l’inflazione, laddove se la deve vedere con la stagnazione e la recessione. E dentro l’euro il problema sono i tedeschi, che concepiscono l’Europa come una specie di germanizzazione collettiva.  E dentro la Germania il problema è il governo di Angela Merkel, punito in tutte le elezioni, retto da una coalizione che non regge, sotto scacco della propria corte costituzionale e sconfessato da chi, come Helmut Kohl, vide nell’Europa l’alveo che avrebbe consentito di unificare la Germania, e nell’euro la valuta che avrebbe favorito la crescita del mercato interno e le esportazioni.  Noi siamo un problema, certamente, ma per noi stessi.  Siamo fermi, imbambolati, preda delle pressioni corporative e dell’illusione che si possa conservare il passato.  Con un sistema istituzionale in cui contano solo quelli che bloccano, a scapito di quanti intendono cambiare quale che sia cosa.  Con un bipolarismo che premia la rendita degli estremismi (da entrambe le parti) e mortifica la grande maggioranza dell’elettorato, che votando a destra o a sinistra resta moderato.  Con un governo in crisi da un anno e oramai fermo da due.  Senza un’opposizione in grado di sostituirlo perché sulle cose che contano (dalle pensioni alle privatizzazioni) laddove la maggioranza è inerte l’opposizione è reazionaria.
Con le parti sociali, sindacati dei lavoratori e degli imprenditori, che firmano accordi per fermare il poco che si fa.  Certo che siamo un problema e certo che pagheremo un’ibernazione che dura da diciassette anni.  Ma dire che siamo noi il problema dell’euro è una colossale sciocchezza, anche perché i problemi veri sono vecchi e le cose nuove (pochine) sono positive, a cominciare da una disciplina fiscale grazie alla quale abbiamo il bilancio primario in attivo e un debito pubblico che, rispetto al pil, dal 2008 a oggi è cresciuto meno di quello altrui.  Allora, come è possibile che siano queste cose nuove ad avere scatenato la speculazione?  Infatti non è possibile, perché non è vero.  E’ successo, invece, che la debolezza istituzionale europea è stata surrogata dall’asse franco-tedesco, autonominatosi guida dell’Unione.  Tale asse è stato gravemente incapace prima di capire e poi di fronteggiare quel che succedeva in Grecia, supponendo di potere salvare le proprie banche chiedendo ai greci di rinunciare al presente e al futuro.  L’asse ha enunciato un dogma mortifero: la Grecia non sarà mai lasciata alla bancarotta, sarà protetta da tale prospettiva, ma questo senza modificare nulla della struttura dell’euro e della Banca centrale europea.
Da quel momento è cominciata la corrida, con gli speculatori che (giustamente, dal loro punto di vista) si arricchiscono a nostre spese.  E più la Germania della Merkel ha puntato a far credere che la Bce sia una specie di Bundesbank, ispirandosi alla dottrina della moneta forte e del rigore interno, più la speculazione s’è leccata i baffi, addentandoci ai polpacci e puntando al collo.
Così andando stramazza l’euro. C’è la controprova: sia i giapponesi che gli statunitensi hanno un indebitamento lordo che, in rapporto al prodotto interno, è superiore a quello europeo, essendo l’Europa l’area più ricca, eppure pagano interessi inferiori ai nostri.
Come ci sono riusciti? Governando la loro moneta e non credendo nella scempiaggine che si possa farla volare con il pilota automatico. Quando i mercati hanno a che fare con una valuta governata sanno bene che chiedendo tassi d’interesse progressivamente sempre più alti si va incontro ad una svalutazione, che a sua volta può generare inflazione, quindi, oltre un certo limite, essere esosi non è conveniente.  Un po’ come gli strozzini, se mi è concesso il paragone: fino ad un certo punto puntano a farsi restituire i soldi, con le buone o con le cattive, dopo un certo livello possono prenderti la macchina e l’amante, perché i debiti, oramai, sono una montagna non scalabile.
La Merkel ha commesso l’imperdonabile errore di volere guidare l’Europa avendo in mente i più chiusi e limitati interessi immediati del sistema produttivo tedesco, mentre nella difesa delle proprie banche, inguaiate con titoli sempre meno esigibili (e ciò significa che hanno prima lucrato a spese di greci, spagnoli e italiani), ha trovato un partner in Nicolas Sarkozy, il quale a sua volta non vince più elezioni intermedie e l’anno prossimo si gioca il posto all’Eliseo, che per lui conta più di ogni altra cosa. La premiata pasticceria Sarkel passa il tempo, in cucina, a darsi mazzate, perché gli interessi francesi e tedeschi non coincidono manco per niente, ma poi mette in vetrina torte indigeribili, deglutendo le quali prima sparisce l’euro e a ruota l’Unione europea.
Lo spiritosone con la ridarella ha un deficit di bilancio innanzi al quale noi siamo maestri di rettitudine e buona amministrazione, con in più una banca, Dexia, già nazionalizzata e le altre in arrivo. Queste operazioni comportano il sommarsi dei debiti bancari al debito pubblico, con il che i francesi ci raggiungeranno presto (se non si pone rimedio), posto che il loro debito lordo (pubblico + privato) è già superiore al nostro.
Ridi ridi, diceva la mia nonna.  Una cosa triste ve la dico io: la nostra classe dirigente è demoralizzante, ma quella che oggi guida l’Europa è imbarazzante.

Davide Giacalone

 

 

INTERVISTA A HELMUT KOHL: “DOBBIAMO RIPORTARE LA FIDUCIA IN EUROPA” – PARTE SECONDA

21 settembre 2011

IP:
Alcuni osservatori affermano di aver individuato recentemente una tendenza

Helmut Kohl

tedesca a mettersi “fuori dalla Unione europea” e il pensiero di entrare in “una globalizzazione solitaria”. Siamo di fronte ad una nuova “Großdeutschland”?

Kohl:
Non credo proprio che in Germania qualcuno con delle responsabilità abbia l’intenzione di seguire questa idea. Uno sguardo alla nostra storia ci ricorda che non possiamo permetterci un’azione solitaria della Germania.

IP:
Già nel 2010 sul giornale tedesco Bild, Lei aveva avvertito: “Il nazionalismo nascente e la crescente ostentazione nazionalistica ostacolano l’unificazione europea”. A chi è rivolta in particolare questa affermazione?

Kohl:
Ai tedeschi, anche se con questa affermazione avevo in mente anche altri. Purtroppo è vero, soprattutto i tedeschi devono riconoscersi in questo avvertimento. Tenendo in considerazione la nostra eredità storica e il suo significato, abbiamo una responsabilità particolare.

IP:
Rispetto alla crisi in Grecia, alla “American Academy” a Berlino, Lei ha di recente affermato: “Seguiremo il nostro percorso anche insieme alla Grecia… per quanto il cammino possa essere difficile” In seguito, nella Sueddeutsche Zeitung Lei è stato definito come l’“europeo di cuore” che avrebbe reagito più generosamente rispetto alla “europea di testa” Angela Merkel, se si fosse trovato ad affrontare i problemi della Grecia nella Sua epoca. Si può fare questa distinzione? In Germania esiste ancora un numero sufficiente di europei e politici appassionati?

Kohl:

Ritengo la distinzione tra “europeo di cuore” e “europeo di testa” fondamentalmente sbagliata, anzi pericolosamente ingannevole. Come capo di stato di un paese non si può semplicemente prendere decisioni con il cuore o con la testa: ovviamente bisogna decidere con entrambi. Da un lato è necessario avere passione e voglia di fare per svolgere i propri compiti perché altrimenti nessuno sarebbe in grado di affrontare la carica istituzionale, nella la sua immensa responsabilità e con l’enorme dispendio di tempo che essa richiede. D’altro lato non é possibile portare avanti le proprie idee, se in certi momenti non si è in grado di mostrarsi risoluti. Senza queste abilità semplicemente non si è adatti per questo lavoro. L’Europa era e rimarrà qualcosa che mi sta a cuore, ma ciò non contraddice e anzi completa l’idea che l’Europa sia prevalentemente un prodotto della ragione. In altre parole: l’Europa non é un’utopia fine a se stessa di alcuni ingenui sognatori, ma rimane l’unica alternativa possibile, soprattutto per la Germania. La situazione della Grecia é uno splendido esempio di che cosa questo significhi in concreto. Gli errori con la Grecia sono stati fatti nel passato; in questo momento di crisi l’Unione europea e i membri della Zona Euro non possono porsi il dubbio se essere o meno solidali con la Grecia, perché la Grecia fa parte di entrambe. Del resto è anche vero che durante la mia carica di cancelliere, la Germania non avrebbe mai approvato l’ammissione della Grecia nella Zona Euro a fronte di drastiche riforme strutturali nel paese, perché ad un esame attento la situazione effettiva della Grecia non sarebbe certo potuta rimanere nascosta. So di cosa parlo , perché vi ho preso parte. Già durante le trattative per l’introduzione dell’Euro, i greci facevano una forte pressione su di noi per essere parte dell’Eurolandia sin dall’inizio; ciononostante io, insieme al ministro delle finanze Theo Waigl, ho sempre sostenuto ed espresso con chiarezza le ragioni per cui respingevo la loro entrata. Purtroppo però, con il nuovo governo nel 1998, la linea dura della Germania si è ammorbidita. Con me alla guida del paese, la Germania non avrebbe violato il PCS. Ritengo che queste due decisioni siano il motivo principale che ci ha costretto ad assistere agli errori che ora giustamente critichiamo nell’Eurolandia e nei suoi singoli stati membri,. Nel nostro paese si dimentica spesso che dobbiamo queste due decisioni alla coalizione tra SPD e Die Grünen ( socialdemocratici e verdi). Vorrei sottolineare che queste decisioni non sono state generate da necessità della Realpolitik ma si è trattato semplicemente di un atteggiamento irresponsabile. Le conseguenze lo dimostrano chiaramente. D’altra parte è vero che gli errori fatti non possono essere cancellati, che lamentarsi non aiuta e mettere in dubbio la stabilità dell’Euro aiuta ancora meno. La buona notizia è che possiamo correggere gli errori e risolvere i problemi. Sarebbe un errore cadere nell’illusione che si tratti unicamente di una questione di soldi, o come la propone Lei, una questione di generosità. Nella crisi l’Europa ha bisogno di un attivismo determinato e un pacchetto di misure lungimiranti, scelte con saggezza e senza ideologie. Solo così potremo rimettere l’Europa sulla retta via e garantirle un futuro sicuro. Pagheremo senz’altro un prezzo più alto di quanto avremmo fatto senza aver preso decisioni errate, ma non abbiamo altra scelta se non vogliamo far crollare l’Unione Europea. Le misure necessarie prevedono tra l’altro che gli stati membri in difficoltà come la Grecia ricevano il sostegno della comunità, anche se questi dovranno prima fare da soli i loro compiti a casa.. Una comunità come l’UE e l’Unione monetaria potrà funzionare nel lungo periodo solo se ognuno si prenderà la proprie responsabilità. Al momento vedo purtroppo qualche mancanza o – in altre parole – vedo pochi europei convinti. Ma questo non contraddice il fatto che tra i nostri politici europei ci sia sufficiente passione: dobbiamo semplicemente permetterle di emergere.

IP:
“Riprenderei tutte le decisioni importanti fatte.”, ha concluso nel 2010. Vale anche per l’Unione monetaria dove gli errori di costruzione stanno diventando palesi?

Kohl:
Questa conclusione è valida guardando indietro a tutta la mia vita, e sopratutto per l’Unione monetaria, così come per tutte le decisioni riguardanti l’Europa che sono state prese durante il mio incarico di cancelliere. Anche il dibattito attuale non cambia nulla sul mio percorso. Non dimentichiamo che l’Europa si è sviluppata sempre a piccoli passi. Non è mai stato facile andare avanti con l’UE e non l’abbiamo mai presa alla leggera. Le trattative tra gli stati membri dell’UE, e precedentemente tra gli stati membri CEE, spesso duravano fino al sorgere del sole. Per l’Europa unita abbiamo combattuto una lotta dura, chiedendoci cosa ci portasse avanti, fino a quale punto potessimo andare avanti senza sovraccaricare i singoli e fino a quale punto ci avrebbero seguito tutti. Si può criticare questo metodo, però alla fine bisogna accettarlo, e diventa più facile accettarlo se la solidarietà tra i membri aumenta. É un’esperienza che ho fatto spesso. Naturalmente ogni tanto avrei desiderato prendere decisioni più estese, sopratutto negli anni novanta in connessione all’Euro e all’unione politica. Ma se in quel periodo avessi insistito su tutto ciò che desideravo fare e consideravo necessario sul lungo periodo, non avremmo mai fatto quel passo in avanti con l’Europa che infine abbiamo fatto. Per esempio sono convintissimo che ancora oggi non avremmo l’Euro. A questo scopo ho fatto dei tagli che ritenevo e ritengo ancora giustificabili. Considero l’espressione “errore di costruzione” del tutto sbagliata. In questo ambito. È vero che non abbiamo raggiunto gli obiettivi come avremmo desiderato. Però abbiamo fatto il possibile e la direzione era giusta, questo è ciò che conta. Devo ammetterlo, il fatto che dopo il mio mandato l’UE senza una vera ragione sia tornata indietro su questioni generali che avevamo già risolto – come il patto di stabilità e la Grecia – e che non riesca a fare progressi, per giunta sotto la guida franco-tedesca, ha superato la mia immaginazione, e continua a farlo.

In breve: abbiamo raggiunto insieme gli obiettivi che potevamo raggiungere secondo le circostanze del momento, e anche osservando dalla prospettiva odierna si può giudicare come un’ottima prestazione.

IP:
Nel autunno dell’anno scorso si è distanziato chiaramente dall’abrogazione del servizio militare obbligatorio: “In base a quello che vedo e sento, non mi pare che il mondo sia cambiato in modo tale da non poter rendere possibile il servizio militare obbligatorio.” L’abrogazione è stato un errore?

Kohl:
Sì.

IP:
La rivoluzione del mondo arabo rappresenta la più grande sfida strategica per l’Europa, è paragonabile alla caduta del muro nel 1989? Quale strategia consiglia Lei per l’Europa?

Kohl:
Attualmente la più grande sfida per l’Europa è l’Europa stessa. L’Europa deve rendersi conto di avere una responsabilità per il resto del mondo e comprendere quale questa sia. Dobbiamo assolutamente smettere di perderci nelle piccolezze e invece ricominciare a parlare come una unica voce. In nessun modo voglio negare la portata delle sfide della crisi finanziaria ed economica,le sfide sono immense – ma ancora una volta – anche nel passato abbiamo avute grandi sfide. Penso alla caduta del Muro nel 1998, a cui si Lei fa riferimento. Se in quel periodo avessimo reagito così debolmente, come alcuni fanno oggi, usando regolarmente superlativi per descrivere la situazione, sicuramente non avremmo mai raggiunto la riunificazione tedesca nel 1990. Le sfide esistono per essere affrontate e per essere risolte con coraggio e voglia di fare. Questo valeva nel passato ed è valido ancora oggi, senza differenze. Adesso è necessario uscire dalla crisi con una linea chiara e mettere l’Europa in grado di reagire su altri temi, come per esempio la rivoluzione del mondo arabo, da Lei prima menzionata. Come ho già detto prima, non è la sfida più importante per l’Europa, ma si tratta comunque di una grande sfida strategica. Il nostro compito sarà sostenere questi paesi nel loro percorso verso la libertà, la democrazia e lo stato di diritto, per renderli capaci di aiutare se stessi. Non ci sarà una soluzione generale che possa essere valida per tutti. Si può trattare solo di un sostegno ponderato che deve essere adatto alle esigenze dei singoli paesi. La mia raccomandazione é di esaminare e giudicare accuratamente fatti e provvedimenti.

IP:
L’ex presidente americano Bill Clinton ha recentemente nominato Lei come modello per la Sua lungimiranza strategica. Se pensiamo alla notevole ascesa della Cina, dell’India o altri paesi, all’ancora incompiuto percorso della Russia verso la democrazia e al fatto che gli Stati Uniti non vogliono più assumersi tutta la responsabilità e hanno l’intenzione di ritirarsi almeno parzialmente, per la Germania e l’Europa quali sono le priorità più importanti della politica estera?

Kohl:
Per la Germania e l’Europa la priorità principale è assumere le proprie responsabilità insieme agli USA per tutto il mondo. Oltre a Russia, a Cina, Asia e il mondo arabo, esiste anche l’Africa di cui non dobbiamo dimenticarci, insieme a tutti i problemi e difficoltà presenti. In questo ambito, il mio desiderio per il nostro paese e anche per l’Europa che la consapevolezza aumenti ancora; la storia non è determinata a priori, ma è piuttosto il risultato delle azioni delle singole persone. Questa è il criterio con cui veniamo misurati nella storia. Non dobbiamo esserne spaventati, ma al contrario questa idea dovrebbe infonderci coraggio e ottimismo per il percorso che ancora dobbiamo percorrere. E dobbiamo cogliere tutte le occasioni che abbiamo. Anche a rischio di ripetermi, questa è la più importante priorità per la politica estera della Germania e dell’Europa: assumere la responsabilità per il mondo intero.

Domande poste da Henning Hoff, Joachim Staron e Sylke Tempel della rivista POLITICA INTERNAZIONALE

 

INTERVISTA A HELMUT KOHL: “DOBBIAMO RIPORTARE LA FIDUCIA IN EUROPA”

20 settembre 2011

Helmut Kohl

“Durante la mia carica di cancelliere, la Germania non avrebbe mai approvato l’ammissione della Grecia nella Zona Euro”

Domande di   Henning Hoff, Joachim Staron e Sylke Tempel della rivista tedesca Politica Internazionale

L’intervento in Libia, la crisi in Grecia, la rivoluzione energetica, la Germania mette in gioco la fiducia nei confronti della sua politica estera?

Sì, dice l’ex-cancelliere Helmut Kohl nell’intervista della rivista tedesca “IP” (Politica Internazionale). Da alcuni anni la Repubblica Federale di Germania non è più affidabile, ora però è arrivato il momento in cui la Germania e l’Europa devono assumersi le loro responsabilità.

IP:
L’“Affidabilità” Signor Kohl, una volta era il fondamento della politica estera tedesca, invece l’ex-cancelliere Schröder, rifiutando di partecipare alla guerra in Iraq nel 2003, ha messo i rapporti transatlantici a dura prova. Ora si aggiungono l’astensione rispetto all’intervento in Libia nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, una solitaria rivoluzione energetica, e il riluttante impegno per la crisi in Grecia e il salvataggio dell’Euro. La Germania ha perso la sua bussola?

Helmut Kohl:
Purtroppo non possiamo che constatare che è così che stanno le cose. La Germania da alcuni anni non è più affidabile, né in politica interna, né in politica estera. Anche se lo si dimentica spesso, Konrad Adenauer schierandosi senza ambiguità con le potenze occidentali non si era affatto procurato solo degli amici; per imporre la sua politica ha dovuto affrontare, soprattutto in patria, resistenze di ogni tipo, ma è riuscito a creare un’impostazione di fondo chiara e affidabile su cui si sono potuti basare tutti i cancellieri successivi. Mi ricordo dei mesi drammatici della svolta degli anni 1989/90. Anche se la mia linea verso la riunificazione della Germania ha portato a far vacillare brevemente la fiducia dei nostri vicini e dei nostri partner nel mondo nei nostri confronti, abbiamo tuttavia superato la prova in modo brillante. Nel circolo dei nostri alleati occidentali ha contribuito in modo fondamentale il fatto che contemporaneamente all’unità tedesca ho sempre tenuto fede alla nostra politica europeista, promuovendo l’approfondimento della Unità europea con delle iniziative molto concrete. La riunificazione del nostro paese in pace e libertà in neanche un anno dalla caduta del muro, fino alla firma dei trattati e il Giorno della Riunificazione sono un impressionante esempio del credito di fiducia che ci siamo guadagnati con il nostro lavoro nell’arco di tanti anni. Non era scontato aspettarsi che in questi tempi difficili e insicuri i nostri partner e vicini restassero al nostro fianco, e questo per noi rappresenta un obbligo per il futuro, non lo si può sottolineare abbastanza.

IP:
Prendendo in considerazione i punti che Lei affronta nella sua domanda, guardando lo sviluppo degli anni recenti, mi chiedo, quale sia la posizione della Germania in questo momento e quale sarà in futuro. Lo stesso si chiedono anche i nostri vicini e alleati all’estero. Di una cosa, mi sono accorto recentemente, così come anche altri: alcune settimane fa, quando il presidente americano Obama è venuto in Europa, ha visitato Francia e Polonia, ma non è stato in Germania. Dopo tutto quello che noi tedeschi e americani abbiamo passato e vissuto insieme, e che tutt’oggi ci unisce profondamente, mai avrei  pensato che il presidente americano in carica potesse venire in Europa e non visitare la Germania, di fatto ignorandola completamente.

Kohl:
“Dobbiamo stare attenti a non perdere interamente la fiducia dei nostri alleati. Dobbiamo ritornare quanto prima alla nostra tradizionale affidabilità. È necessario rendere chiaro agli altri quale sia la nostra posizione e in quale direzione vogliamo andare, far capire qual è il nostro posto sullo scacchiere geopolitico e, che abbiamo valori e principi che difendiamo e promuoviamo costantemente. Sopratutto dobbiamo decidere tutti insieme e trovare una linea congiunta da seguire anche qualora dovessimo trovarci a fronteggiare grandi difficoltà”.

IP:
La politica estera della Germania sta cambiando. Come si spiega questo fatto?

Kohl:
Questa domanda prende la stessa direzione di quella riguardante la bussola. Se non si possiede una bussola, cioè se non si sa dove ci si trova e dove si vuole andare, vengono a mancare anche competenza e forza creativa nella leadership, e semplicemente non siamo in grado di attenerci con continuità alle decisioni prese nella politica estera tedesca perché manchiamo di consapevolezza. La situazione è tanto semplice quanto complicata. I rapporti transatlantici, l’Europa unita e in particolare la cooperazione con quegli alleati che sono più piccoli  ma comunque di pari dignità, l’amicizia franco-tedesca, i rapporti con i nostri vicini nell’Est e sopratutto con la Polonia, la nostra relazione con Israele, le responsabilità a livello mondiale; sono questi i fondamenti a cui la nave Germania è rimasta saldamente ancorata nel passato e che io ritengo validi ancora oggi, anche se sarà necessario adattarli al presente con tutte le sue sfumature. Se abbandoniamo questi nostri ormeggi, galleggeremo – in senso figurato – senza bussola e senza ancora nell’oceano, correndo il rischio di diventare inaffidabili e perdere la nostra identità. Le conseguenze sarebbero catastrofiche: verrebbe a mancare la fiducia di fondo che abbiamo guadagnato, si amplificherebbe il senso di incertezza e in ultimo la Germania rimarrebbe isolata. Credo che nessuno si auspicherebbe un tale risultato.
Quello che mi irrita e allo stesso tempo mi fa riflettere sono le opinioni che sentiamo ripetere in continuazione: oggi tutto è cambiato, il mondo non è più così semplice, dopo la fine della Guerra fredda ogni cosa è diventata più complessa anche per la politica, perché stiamo vivendo un momento di crisi di portata storica, che porta sempre nuove sfide. È vero che fino agli anni 89/90 il mondo era più facile da capire, perché, per cosi dire, esistevano solo due poli.
Anche se la pianificazione politica era fondamentalmente meno complessa e le sfide da affrontare meno imponenti, è controproducente trarre facili conclusioni e promuovere l’idea che tutto fosse piú facile all’epoca della Guerra Fredda, quando avevamo un mondo spaccato in due parti, una libera e l’altra oppressa, la nostra patria divisa, e vivevamo un periodo di incertezze costanti con la minaccia di una nuova guerra mondiale. Questo atteggiamento rende solo palese l’attuale senso di scoraggiamento verso nuove sfide e nuove opportunità e rivela una eclatante mancanza di conoscenze storiche insieme alla consapevolezza di come fosse in realtà difficile agire responsabilmente in quell’epoca.

Per fare il punto della situazione: gli enormi cambiamenti che avvengono nel mondo non possono essere una scusa per chi non ha una posizione o idee per il futuro. Al contrario: sono proprio gli enormi cambiamenti a richiedere una posizione stabile e chiara, affidabilità e continuità. Mi riferisco soprattutto alla politica; tanto più diventa complesso il mondo quanto più diventa importante che coloro che devono prendere le decisioni si assumano le proprie responsabilità e che dimostrino le loro capacità di leadership, rappresentando le loro opinioni e principi e dando risposte in modo chiaro e ripercorribile. Solo così sarà possibile creare certezza e affidabilità in un mondo complesso, guadagnandosi fiducia nel tempo e coinvolgendo anche gli altri. Unicamente in questo modo sarà possibile raggiungere gli obiettivi in modo costruttivo. Allo stesso tempo dobbiamo smettere di interpretare i cambiamenti nel nostro paese e nel mondo come minacce e accadimenti di portata storica. Piuttosto è vero il contrario: dobbiamo percepire ed accogliere i cambiamenti come chance e in generale rendere le persone più fiduciose verso questi cambiamenti.

DOMANI SARA’ PUBBLICATA LA SECONDA PARTE DELL’INTERVISTA

In collaborazione con la rivista Critica Sociale