
di Loriana Mari
Caratteristiche: è un arbusto sempreverde che appartiene alla famiglia delle Labiate. Originario delle regioni del bacino del Mediterraneo. Alto fino a due metri ha fusti prostrati o ascendenti, molto ramificati, con foglie piccole, lineari, coriacee, biancastre sulla pagina inferiore.
I fiori azzurro violacei, anch’essi piccoli, sbocciano riuniti in grappoli ascellari in diversi periodi dell’anno, in relazione al clima, tutta la pianta, ma particolarmente le foglie e i fiori, è fortemente aromatica.
Habitat: cresce sia allo stato spontaneo che coltivato, in Italia è presente ovunque, in luoghi aridi e assolati fino agli 800 mt slm.
Proprietà: è una delle piante aromatiche più utilizzate in cucina, ma anche in medicina per le sue proprietà terapeutiche: è infatti aromatico, stimolante, digestivo, nervino, antisettico, antidolorifico, rilassante, tonico per la memoria, astringente e diuretico. Questo arbusto sempre verde, originario delle coste del Mediterraneo, oggi è coltivato ovunque: lo troviamo negli orti, nei giardini e nelle siepi, ed il suo profumo intenso respinge gli insetti nocivi. Pare che la pianta di rosmarino allontani gli insetti dalle piante vicine. Sacchetti contenenti rosmarino sono spesso messi negli armadi per tenere lontane le tarme. In passato veniva usato per deodorare gli ambienti e purificare l’aria.
Storia, mito, magia: per la sua azione rinforzante sulla memoria, è ritenuto la pianta del ricordo, come dice Ofelia nell’Amleto: “Ecco laggiù il rosmarino, la pianta del ricordo”. Anche Shakespeare accenna alla relazione fra il rosmarino e la memoria; nel dialogo tra Ofelia e Amleto scrive: “C’è il rosmarino, per la rimembranza. Ti prego, amore, ricorda”.
Secondo una leggenda i fiori del rosmarino una volta erano bianchi, divennero azzurri quando la Madonna, durante la fuga in Egitto, lasciò cadere il suo mantello su una pianta di rosmarino.
L’uso della pianta di rosmarino fin dall’antichità è stato da sempre legato alle sue positive proprietà terapeutiche. Sono numerosissime le leggende e le “ricette” proposte a base di questa pianta nel corso dei secoli. Una preparazione divenuta molto famosa è “l’Acqua della Regina d’Ungheria” che diceva: “Io donna Isabella, regina d’Ungheria, di anni 72, inferma nelle membra e affetta di gotta, ho adoperato per un anno intero la presente ricetta donatami da un eremita mai da me conosciuto, la quale produsse su di me un così salutare effetto che sono guarita ed ho riacquistato le forze, sino al punto da sembrare bella a qualcuno. Il re di Polonia mi voleva sposare ma io rifiutai per amore di Gesù Cristo. Ho creduto che la ricetta mi fosse stata donata da un angelo. Prendete l’acqua distillata, quattro volte trenta once, 1 20 once di fiori di rosmarino, ponete tutto in un vaso ben chiuso, per lo spazio di 50 ore: poi distillate con un alambicco a bagnomaria. Prendete una volta alla settimana una dramma di questa pozione con qualche altro liquore o bevanda o anche con carne. Lavate con esso il viso ogni mattina e stropicciate con essa le membra malate. Questo rimedio rinnova le forze, solleva lo spirito, pulisce le midolla, dà nuova lena, restituisce la vista e la conserva per lungo tempo; è eccellente per lo stomaco ed il petto” (cfr . Giuseppe De Vitofranceschi, Le virtù medicinali del rosmarino, Milano 1983).
Ancora famoso è “l’Aceto dei quattro ladri”.
Un altro balsamo famoso è “Il Balsamo Tranquillo”, chiamato così perchè fu inventato da frate Tranquillo, un cappuccino, formato da una mescolanza di varie erbe, dove spicca il rosmarino, utile per curare i reumatismi.
Ancora ritroviamo nel libro “Teatro farmaceutico” di Giuseppe Donzelli (medico, chimico e filosofo napoletano vissuto nel 1600) la seguente ricetta: “Piglia di fiori di rosmarino libre una, zucchero libbre tre. Si cuoce lo zucchero a cottura di manuschristi e si lascia raffreddare, e poi vi si mescola li fiori sani e si fanno cuocere poco perchè così facendo li si resta il loro colore natio. Conforta il cerebro humido, giova al cuore e corrobora le membra nervose”.
Nota a molti è “l’acqua di San Giovanni” che consiste in una serie di rituali da compiere in concomitanza della festa di San Giovanni, il 24 giugno che corrisponde al solstizio d’estate. Vuole la tradizione che si debbano raccogliere una serie di erbe (ginestra, iperico, artemisia, verbena, timo, rosmarino, salvia, basilico, maggiorana, lavanda, rosa, ecc. La composizione delle erbe varia da regione a regione) il giorno prima del 24 e che siano lasciate in acqua, fuori di casa durante la notte del 24. La mattina dopo ci si deve lavare con quest’acqua e poi buttarla via in quanto si dice che porti benefici alla pelle e come protezione per le malattie. Utilizzata come acqua fatata serve per aumentare la fecondità, la buona salute e difendersi dalle fatture, in modo particolare quelle ai bambini. Si racconta che le massaie, il giorno di mezza estate, preparassero il pane con quest’ acqua, senza usare il lievito e formulando un rituale magico.
Nell’antica Grecia, chi non poteva procurarsi l’incenso per sacrificare agli dei, bruciava rosmarino che veniva chiamato “pianta dell’incenso”. Anche dagli egizi e dai romani era tenuto in grande considerazione. Pianta governata dal sole, il rosmarino, ha ispirato antiche leggende.
Ovidio, nelle Metamorfosi, racconta la storia della principessa Leucotoe, figlia del re di Persia, che sedotta da Apollo, intrufolatosi furtivamente nelle sue stanze, dovette subire l’ira del padre, che la uccise per la sua debolezza. Sulla tomba della principessa i raggi del sole penetrarono fino a raggiungere le spoglie della fanciulla, che lentamente si trasformò in una pianta dalla fragranza intensa, dalle esili foglie e dai fiori viola-azzurro pallido. Da questa leggenda deriva l’usanza degli antichi Greci e Romani di coltivare il rosmarino come simbolo d’immortalità dell’anima; i rami venivano adagiati fra le mani dei defunti e bruciati come incenso durante i riti funebri.
Per gli antichi romani il profumo del rosmarino allietava i defunti e li accompagnava nell’oltretomba, e ancora nel XIX secolo veniva considerata una “pianta del ricordo”: era usanza portare ai funerali rametti di rosmarino, oltre che margherite, fiori di linaria e salvia.
Secondo alcuni il nome latino rosmarinus deriverebbe da “ros marinus”, rugiada del mare, secondo altri da “rosa maris” rosa del mare.
I Sicilia si racconta che tra i rami di Rosmarino sono celate delle figure magiche femminili, esili fatine pronte ad aiutare chi è veramente degno.
Il forte aroma di questo arbusto sempreverde ha una particolare qualità sottile: attirare i ricordi amorosi; per questo motivo veniva usato nei filtri d’amore per incantare il cuore. La sua fragranza aiuta le persone malinconiche a risollevarsi dalla tristezza. In antichi scritti si legge che gli studenti romani facevano uso di coroncine di rosmarino per superare brillantemente gli esami.
Regalarsi un ramo di rosmarino significa dirsi:”Io penso a te!”; il ramoscello, infatti, sembrerebbe avere il potere di mantenere vivo il ricordo della persona che ce lo ha donato.
Nei rimedi dei semplici si legge che un buon infuso fatto con le sommità fiorite del rosmarino può aiutare a rievocare avvenimenti remoti e risvegliare la facoltà perse. Si racconta che un rametto, messo sotto il cuscino, aiuti a sognare mondi fantastici ed allontani gli incubi.
Nel Medioevo veniva usato per scacciare spiriti maligni e streghe durante le pratiche esorcistiche. Per secoli venne usato come fumigante per disinfettare le stanze dei malati. Il decotto di rosmarino serviva per la pulizia delle cucine, lavelli, vasche da bagno. Rametti di rosmarino venivano posti nei cassetti della biancheria, negli armadi per profumare e tenere lontane le tarme.
le giovinette, tempo fa, non usavano ramoscelli di rosmarino solo per sognare, ma veniva anche impiegato per lavarsi i capelli; si mettevano delle foglioline verdi sminuzzate nell’acqua piovana e l’infuso rendeva la chioma più lucida; per combattere la caduta dei capelli ed avere una buona crescita occorre macerare un misto di foglioline di bosso fresche e rosmarino, triturare e lasciare il tutto per quindici giorni in infusione in un litro di alcol puro, filtrare e frizionare sul cuoio capelluto.
La qualità antisettica del Rosmarino è stata riconosciuta fin d’antichità, forse per questo si usava bruciare ed appendere i ramoscelli per allontanare le malattie e pestilenze.
Una volta le partorienti venivano lavate con l’infuso di quest’erba, ed anche il neonato veniva delicatamente deterso con l’acqua precedentemente bollita con foglioline di Rosmarino; questo avrebbe protetto entrambi dalle infezioni.
Nella simbologia cristiana si narra che il Rosmarino abbia preservato la Madonna e Gesù Bambino dall’inseguimento dei soldati, occultandoli tra i suoi rami, mentre fuggivano verso l’Egitto.
A proposito di protezione, ecco una simpatico incantesimo di protezione fisica e spirituale, con varie erbe, tra cui ovviamente il rosmarino: versare in un contenitore a chiusura ermetica un litro di ottima acquavite di vinaccia di circa 45 gradi e tre quarti di litro di acqua distillata; tagliare a fettine due arance fresche e ben mature e due limoni, lasciarli in infusione nel vaso chiuso, esposto giorno e notte all’aperto in modo che possa ricevere la luce solare e lunare.
Il rituale deve iniziare il primo giorno di luna nuova.
Passati quattordici giorni, colare il macerato filtrando il tutto, spremendo le fettine di arancia e di limone che saranno impregnate di grappa.
A questo punto rimettere il liquore ottenuto nel suo contenitore lavato ed asciugato, incorporare le seguenti erbe in trenta grammi per ognuna: enula, issopo, salvia, rosmarino, menta ed angelica. Dopo di che, chiudere accuratamente il contenitore ed esporre il tutto all’aperto per altri quattordici giorni; con la raccomandazione di ritirare il vaso il giorno prima della luna nuova susseguente.
Compiere nello stesso giorno la spremitura accurata delle erbe e la filtrazione del liquore ottenuto, che andrà ripetuta tre volte: al termine, aggiungere due cucchiai di miele di acacia.
Da assumersi in un bicchierino dopo i pasti. E tanti auguri!
Nel simbolismo dei fiori, il messaggio di questa pianticella sempre verde esprime: “sono felice quando ti vedo”. Sembra che portare sul cuore un ramoscello fiorito doni un grande felicità interiore.
Si dice che annusare spesso il suo legno mantenga giovani, mentre ornarsi la testa con una corona di rosmarino aiuta la memoria.
Il rosmarino è uno degli incensi più antichi e possiede dei forti poteri protettivi e purificatori.
Prima di praticare un rituale sarebbe una buona abitudine lavarsi le mani con un infuso di rosmarino.
Il rosmarino attira gli elfi e le sue foglie polverizzate avvolte in una pezza di lino e legate al braccio destro fanno sparire la depressione.
Anche molti rituali di guarigione vengono praticati utilizzando questa meravigliosa pianta, che può inoltre sostituire l’incenso!
La tradizione popolare mediterranea lo ritiene la pianta degli innamorati e di tutti quelli che non vogliono dimenticarsi.
Raccogliete alcuni rametti di rosmarino e legateli con un nastrino di seta azzurra, sul quale avrete precedentemente scritto il vostro nome e quello della persona che desiderate vi ricordi. Preparate un sacchetto di stoffa azzurra e inserite il mazzetto di rami di rosmarino; ponetelo poi sotto il cuscino. E’ di ottimo auspicio se in una delle prime 7 notti, a partire da quella in cui avete preparato l’amuleto, sognerete la persona che vi sta a cuore.
Piccole perle:
per fare il vino: far macerare per un giorno due manciate di foglie sminuzzate in un litro di buon vino bianco e quindi filtrare.
Berne un bicchierino prima di ogni pasto in caso di debolezza e inappetenza.
Per il mal di gola fare dei gargarismi con un infuso tiepido o caldo.
Per scurire i capelli: sciacquare i capelli, dopo averli lavati, con un infuso preparato con 3 cucchiai di rametti fogliati tritati, fatto riposare coperto per circa 30 minuti.
Fabbriche e laboratori aperti ai turisti che vorranno mettersi alla prova col tornio, con la decorazione, con il colaggio e con tutte quelle tecniche che costituiscono le quattordici fasi del ciclo di produzione della ceramica. E’ questo il presupposto ideologico cui si ispira la quinta edizione di “Deruta magia di un’arte”. Nove giorni, dal 2 all’11 di settembre prossimi, dedicati alla grande tradizione dell’artigianato artistico derutese. 108 sono i laboratori di ceramica artistica ancora attivi che, insieme a quelli che producono il semilavorato, raggiungono quota 220.
venerdì 2 settembre 2011 alle 10 con l’apertura dei laboratori ceramici. Dopo il saluto del Sindaco, alle 18,30 l’inaugurazione vera e propria della quinta edizione di Deruta magia di un’arte. A seguire, il taglio del nastro di tre degli appuntamenti più importanti della kermesse: “Ceramica in tavola”, rassegna di ceramica italiana contemporanea; “Deruta tra tradizione e innovazione”, l’arte della ceramica vista dai giovani e “Arte per la solidarietà”, con bozzetti di arredo dell’Istituto di oncoematologia dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia.
Sabato 3, sullo sfondo di una città interamente coinvolta da Magia di un’arte, dal mattino alla sera si terranno diverse iniziative. Centrali saranno sempre le aperture delle mostre, cui si aggiunge la premiazione del concorso Deruta tra tradizione e innovazione – L’arte della ceramica vista dai giovani.
Domenica 4 settembre 2011 alle 17, Arte per la solidarietà con la presentazione delle opere realizzate per l’arredo dell’Istituto di oncoematologia del Santa Maria della Misericordia, diretto dal professor, Brunangelo Falini e organizzato in collaborazione con il Lyons Club di Deruta.
Giovedì 8 alle 18,30, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera dei deputati, presenterà il suo libro: “Chi comanda qui? Come e perché si è smarrito il senso della costituzione”. L’incontro sarà coordinato dal giornalista, Gianluigi Basiglietti. Alle 19,30 l’Asta per la solidarietà con le opere realizzate nelle estemporanee.
Venerdì 9, alle 17,30 nella Chiesa di Sant’Antonio, il convegno di studi “Girolamo Diruta e il suo tempo”, organizzato in collaborazione con la Deputazione di Storia Patria per l’Umbria e l’Università di Perugia. Il seminario proseguirà anche nella mattinata di sabato 10. Giorno in cui – alle 12,30 sempre nello stesso luogo di culto – si terrà in concerto di chiusura della clavicembalista, Vania Dal Maso.
sabato 10 alle 17 la conferenza di presentazione della tesi di laurea magistrale in Storia dell’Arte: “Le edicole votive nel territorio di Deruta, a cura della dottoressa, Erika Peducci. Alle 18,30, infine, il senatore Domenico Bendetti Valentini, Presidente della Commissione affari costituzionali del Senato, parlerà ai giovani su “Riforma Costituzionale: lo stato dell’Arte”.
Domenica 11 a partire dalle 9 del mattino, sarà la giornata dei Rioni: la Piazza; la Valle e il Borgo. Si comincerà con la “Corsa delle brocche”, che si inserisce all’interno di una rievocazione storica molto suggestiva e fortemente radicata nella cultura popolare locale e nel senso di identità e di appartenenza al territorio di Deruta, alla sua cultura e alla sua storia. A seguire la Sfilata dei Rioni in costume d’epoca e, per chiudere, la tradizionale cena dell’800.
“A lavoro ultimato per altro – spiega Grazia Ranocchia, assessore alle attività produttive -, chi parteciperà potrà portarsi a casa ciò che avrà realizzato con l’aiuto dei maestri ceramisti”.
“Definire Magia di un’arte – dice Alvaro Verbena, sindaco di Deruta – significa individuare e riconoscere l’essenza stessa dell’identità e del senso di appartenenza alla Città di Deruta e alla sua tradizione artigiana ed artistica espressione autentica del ‘Made in Italy’ nel mondo”. Magia di un’arte, proprio in virtù del coinvolgimento dell’intero territorio, vuol essere il simbolo del rilancio e l’inizio di una nuova era per Deruta e per l’intero settore della ceramica di qualità.
“Quest’anno – gli fa eco Laura Buco, assessore alla cultura e turismo – abbiamo voluto unire la grande tradizione della ceramica con un grande personaggio che ha fatto la storia, Girolamo Diruta, organista compositore vissuto a cavallo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo e conosciuto in tutto il mondo”.
Si svolgerà domenica 27 marzo, a partire dalle 15.30, presso il Museo del Vetro di Piegaro, il pomeriggio di presentazione dell’iniziativa Magia del Vetro, organizzata dal Comune di Piegaro in collaborazione con il comitato Umbria di AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro). L’idea nasce da un gruppo di giovanissimi piegaresi, che hanno deciso di contribuire alla raccolta fondi per la ricerca mettendo a disposizione i lavori in vetro realizzati presso i laboratori del Museo. La raccolta verrà effettuata dai ragazzi stessi, affiancati dai volontari dell’AIRC di PIetrafitta, tramite una piccola esposizione dei lavori che sarà presente in occasione delle principali feste del territorio Piegarese nel corso di tutto il 2011. Il lancio dell’iniziativa, domenica 27 marzo, corrisponderà con la prima delle “Domeniche creative”, una serie di appuntamenti mensili dedicati all’artigianato, con laboratori per adulti e ragazzi, promossi dal Comune presso gli spazi del Museo del Vetro. Nel corso del pomeriggio, dedicato al tema delle decorazioni per la casa, tutti potranno cimentarsi nella creazione di mosaici, piccole vetrate e pitture su vetri, e agli adulti sarà proposto anche un corso di incisione su vetro. A seguire, il breve gioco “alla ricerca della ricerca” servirà da introduzione alla presentazione del progetto. Interverrà il prof. Francesco Grignani, ricercatore AIRC. Il pomeriggio sarà concluso da “un buon aperitivo”, momento conviviale offerto da ristoranti e bar di Piegaro (Bar Bottiglia – Osteria di Juni – Ristorante Ca’ de’ Principi) a base di alimenti sani e indicati nella prevenzione delle malattie tumorali.
Informazioni e prenotazione laboratori – Museo del Vetro – Comune di Piegaro: 075 8358525 – 333 7907764; museodelvetro@comune.piegaro.pg.it
Ufficio Cultura – Comune di Piegaro
075 8358928; turismo@comune.piegaro.pg.it
di Loriana Mari
Caratteristiche: pianta erbacea annuale che appartiene alla famiglia delle papaveracee. Originaria dei paesi del Mediterraneo orientale, in Italia è assai diffusa, è infestante dei campi di cereali, ma presente anche in ambienti ruderali, lungo i margini delle strade e nei campi incolti fino ai 1800 mt slm. Ha radici fibrose a fittone che sostengono fusti eretti ramificati e setolosi lunghi fino a 60 cm, che contengono un lattice biancastro dal potere narcotico e dal sapore aspro. Le foglie di forma ellittica allungate sono divise in lobi lanceolati acuti e dentati. I fiori solitari di colore rosso scarlatto con centro scuro hanno macchie porpora. I frutti sono capsule che contengono semi reniformi.
Proprietà: il comune papavero rosso o rosolaccio è utilizzato da sempre per le sue proprietà sedative della tosse, che calmano gli spasmi favorendo anche l’espettorazione, inoltre facilita il sonno. Nonostante la stretta parentela con il papavero da oppio (Papaver sonniferum), da cui si estrae la morfina, il rosolaccio è un erba che alle dosi consigliate e per tempi brevi, non presenta alcun pericolo, anzi è tradizionalmente usata nei bambini in ragione del suo modesto contenuto di alcaloidi. Infatti il suo lattice come la roeadina, non ha azione allucinogena, ma calmante e narcotica. I semi contengono un olio grasso, acido lucoleido, acido oleico. Un tempo veniva usato come colorante per la presenza degli eutociani.
Storia, mito, magia: il nome deriva dal celtico “papa”che significa pappa, per l’uso che se ne faceva di mescolarlo alla pappa dei bambini per sedarli, “rhoeas”deriva da reo, cado, per i petali che cadono facilmente. Il suo nome viene usato dai francesi per indicare il canto del gallo che poi divenne “coquerico”, in francese papavero si dice coquelicot o coquerico e corrisponde all’italiano chicchirichi, dato che la sua forma e il colore (cocum in latino) scarlatto, ricorda la forma e il colore della cresta del gallo. Era conosciuto già nell’antichità, nel 3000 a.c i Sumeri lo veneravano come pianta sacra e lo usavano come colorante naturale e come medicinale. Gli Egizi lo utilizzavano come antidolorifico, mentre in Grecia essendo i semi di papavero considerati portatori di forza e salute, gli atleti ne bevevano una pozione energizzante prima delle gare, a base di vino e miele. Le sue virtù medicinali per combatter i disturbi del sonno e i dolori gastrici erano note già presso i Galli, ma anche presso tutti i popoli celtici d’Europa, Latini e Greci. Cerere, la dea romana dei campi e delle messi, è sempre raffigurata con una ghirlanda di papaveri, fiori che da sempre affiancano le colture di frumento.
Viene considerato anche il fiore della consolazione. Infatti per alleviare i tormenti di Demetra, la Dea Madre della terra fertile e delle messi, la cui figlia Persefone era stata rapita da Ade, Hypnos le offrì dei papaveri che le permisero di ritrovare il sonno e di consolarsi del suo dolore.
Ovidio descrive il regno del Sonno come un antro nascosto davanti al quale spunta un rigoglioso cespuglio di papaveri e di altre erbe di cui la Notte “spreme il sapore” per poi spargerlo sulle terre immerse nel buio. In genere tutte le divinità legate al sonno e ai sogni, come Morfeo o Notte, hanno come attributo il papavero, che finisce per essere associato al sonno eterno e quindi alla morte.
Il papavero di cui parlano gli antichi è sicuramente il Papaver somniferum, ossia l’oppio, originario dell’Asia ma introdotto nel Mediterraneo in epoche lontanissime.
Livio racconta un curioso aneddoto: Tarquinio il Superbo era in guerra con la città di Gabi, ma non riusciva a conquistarla, così decise di ricorrere ad un inganno. Abbandonò la guerra e parti con tutti i militari, lasciando a Gabi il più giovane dei suoi figli Sesto. Questi simulò di essere scappato dal padre perché in disaccordo e chiese ospitalità alla città. Gli abitanti di Gabi accettarono e in breve tempo ottenne la loro fiducia, allora mandò a chiamare un messo del padre per sapere cosa fare. Tarquinio ricevette il messo nel suo giardino e apparentemente non diede nessuna risposta, limitandosi a recidere le teste dei papaveri più alti che crescevano nell’erba. Sesto capi ed eliminò tutti i personaggi più importanti della città così che gli animi degli altri cittadini si impaurirono e in segno di resa portarono doni. Gabi si ritrovò senza accorgersene preda di Roma. Ancora oggi si usa l’espressione “alti papaveri” per riferirsi alle persone più autorevoli. Il fiore è simbolo dell’aspetto effimero della vita, perché delicatissimo e una volta colto appassisce rapidamente. Rappresenta anche la fiamma della passione che si estingue rapidamente se non se ne ha cura. Nella simbologia cristiana il fiore per il suo colore rosso sangue viene associato alla passione di Gesù e, poiché cresce perlopiù nei campi di grano è anch’esso considerato un simbolo di Gesù, perché rimanda al pane e quindi all’Eucarestia. Il papavero che appare di solito nei dipinti è il papavero comune.
Piccole perle: per preparare una tisana di papavero comune dei prati, si usano 5-20 gr di petali essiccati, su cui si versa acqua bollente. Si lascia riposare per circa dieci minuti si filtra e si beve. Ha azione sedative e calmante della tosse.
di Loriana Mari
Caratteristiche: originario della Grecia, del Medio Oriente e dell’Africa, il ciclamino deve il suo nome dal greco kyklos, che significa cerchio, per il particolare movimento dello stelo.
Habitat: Cresce nei terreni ricchi di humus dei boschi, nei luoghi freschi, vicino ai torrenti e tra le rocce. Li puoi trovare nei boschi di lecci delle nostre regioni meridionali Il ciclamino è una pianta che cresce allo stato spontaneo in tutti i Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, ed anche in Paesi molto lontani come la Somalia e l’Iran.
Il tubero di questa pianta è tossico.
Fiorisce alla fine di gennaio e febbraio.
Storia, leggenda e magia: secondo un’antica leggenda (così narra Plinio il Vecchio), i luoghi in cui viene piantato il ciclamino sarebbero immuni da malefici e filtri nefasti. Così si attribuì a questo fiore la proprietà di guarire dal morso dei serpenti. Secondo alcuni era sacro ad Ecate, divinità dell’oltretomba, che presiedeva ad incantesimi e magie. Il ciclamino vivo influenza i centri di energia vitale; tenendo questa pianta nella propria casa si avranno grandi benefici per l’ispirazione e la sicurezza di sé.
In epoca cristiana la pianta divenne attributo di Maria, dove le macchioline rosse che spesso sono all’interno del fiore simboleggiano il suo dolore per la morte del Figlio sulla croce.
ll profumatissimo ciclamino, analogamente alla Mandragora, è detta “Pianta di Ecate” o “Pianta del diavolo”, sottolineando come Ecate sia spesso vista, erroneamente, collegata ad un’entità negativa come Satana che è stata inventata dal cristianesimo e, quindi, molto successiva alla nascita di Ecate. E’ una pianta nota fin dall’antichità. La sua bellezza e le sue forme avevano già colpito la fantasia degli antichi, i quali elaborarono su di esso molte leggende, che si sono tramandate fino ai nostri giorni.
Gli antichi greci attribuivano al ciclamino una valenza magica per la forma tondeggiante del tubero e per la tendenza del gambo del fiore ad attorcigliarsi a spirale quando il fiore è fecondato. Gli antichi greci “leggevano” in queste forme “circolari” una affinità con il cerchio, inteso come figura magica perchè rappresenta l’universo, nel suo eterno ciclo di rinnovamento. Dunque, una pianta con quella forma diventava una pianta dalle virtù magiche. Il nome stesso del ciclamino si ispira a questo aspetto “magico”, deriva dalla parola greca kyklos, cerchio.
La leggenda più famosa sul ciclamino ci è stata tramandata da alcuni scritti di un famoso naturalista greco, Teofrasto, vissuto nel III secolo a.C. Secondo Teofrasto, il ciclamino propiziava l’amore e la sensualità. Probabilmente Teofrasto aveva ricondotto la forma rotondeggiante e compressa ai poli del tubero all’utero femminile, associando così la pianta al concepimento. Questa credenza risultava inoltre rafforzata da una antica usanza, quella di adornare la camera dei giovani sposi con piccoli mazzi di questo fiore, in chiaro augurio di fertilità.
Il ciclamino aveva colpito l’attenzione dei suoi antichi osservatori anche per un altro motivo: è una pianta velenosa. Nel tubero del ciclamino è presente un glicoside chiamato ciclamina, velenoso per l’uomo, ma non per alcuni animali. Anzi, il tubero di ciclamino è noto anche con il nome di pamporcino perchè è particolarmente appetito dai maiali. La presenza del veleno ha contribuito ad alimentare la leggenda del ciclamino come pianta dalle virtù magiche. Infatti, nell’antica Grecia il ciclamino era sacro ad Ecate, divinità lunare delle magie e degli incantesimi. Si era soliti piantare questi fiori intorno alle abitazioni perchè si credeva che proteggessero dai malefici, e si usava l’estratto di ciclamino come rimedio contro il morso dei serpenti velenosi.
Questa doppia valenza del ciclamino, pianta di indiscutibile bellezza ma velenosa, pianta di vita e di morte, ha fatto sì che il ciclamino, nel linguaggio dei fiori, simboleggiasse la diffidenza.
Una volta i contadini mettevano a cuocere sulla brace il tubero del ciclamino incavato e riempito d’olio, che poi usavano per calmare il mal d’orecchie. Il tubero torrefatto perde la sua tossicitá, fornisce fecola usata come sostanza alimentare per animali. Questa un tempo era utilizzata perfino dall’uomo, per questo la pianta era anche detta pan terreno.
di Loriana Mari
Caratteristiche: pianta: erbacea perenne, con fusto più o meno ramoso, alta 20-80 cm. Le foglie, un poco tomentose, hanno un bel verde gaio e sono talmente incise e seghettate che sembra portino tante minuscole foglioline disposte alternativamente lungo la nervatura della foglia stessa; se strofinate fra le dita emanano un fragrante aroma. Fiori: molto piccoli, riuniti in densi capolini che formano corimbi composti più o meno grandi; fiori ligulati esterni bianchi o rosso-rosa, fiori tubulosi interni giallo-bianchi: osservato singolarmente, ciascun fiore è simile ad una piccola margherita.
Fioritura: marzo-ottobre.
Habitat: fiorisce lungo le strade, le ferrovie, nei terreni incolti, nei coltivi, nelle boscaglie e nei campi lasciati a sodo.
Proprietà : Se le sue proprietà vulnerarie sono oggi poste in dubbio, l’impiego interno della Millefoglie è stato oggetto di una grande quantità di lavori, che hanno dimostrato la sua utilità come amaro-tonico, emostatico, emmenagogo. Per uso esterno, il succo fresco contribuisce a risanare piaghe e ferite; in infuso 2 manciate in 200 cc d’acqua per gargarismi o lavature. Le foglie e gli apici freschi ridotti in pasta arrestano l’emorragia facilitando la cicatrizzazione e una foglia fresca masticata lenisce il mal di denti. Vengono impiegate le sommità fiorite, la cui raccolta è possibile durante tutta l’estate.
E’ impiegata come uso esterno come topico contro le emorroidi, le ragadi astringente, tonico, anali e quelle delle mammelle, in quanto agisce come astringente, tonico, sedativo e stomachico. (l’infusione deve essere preparata in piccole quantità per il suo rapido annerimento che si accompagna allo svanimento dell’aroma). Due o tre tazze al giorno prima dei pasti evitare l’uso di pentole di ferro, come con tutte le piante ricche di tannino. All’infusione si può aggiungere l’Anice, il Basilico, il Trifoglio fibrino, nei casi di crisi acute. La macerazione delle sommità nel vino, si fa con le medesime proporzioni e viene usata come aperitivo. L’infusione e la macerazione hanno anche una buona influenza sulla circolazione sanguigna. E’ una buona pianta da prato, che si mescola vantaggiosamente con le graminacee, la sua presenza è desiderabile nei prati, in quanto li arricchisce apportando al foraggio benefici effetti sulla salute del bestiame. Un tempo si riteneva che fosse un ottimo rimedio contro la scabbia degli ovini.
Storia, leggenda, mito, magia: in Inghilterra viene chiamata “erba benedetta” per le sue proprietà curative, in Irlanda era usata per scacciare il malocchio e gli antichi Celti celebravano un vero e proprio rito religioso in occasione della sua raccolta.
E’ considerata un’antenna capace di potenziare la telepatia dell’uomo. Infatti se tenuta tra le mani senza strapparla dal terreno aiuta a farsi ricordare da quelle persone che non si vedono da molto tempo e sono lontane geograficamente.
Il nome deriva dall’ eroe greco Achille che usò questa pianta per curare erimarginare le ferite di Telefo. L’uso della pianta era stato insegnato ad Achille dal medico ateniese Chirone. Dagli steli dell’Achillea si ricavano le 50 bacche vegetali utilizzate nel metodo divinatorio illustrato nel libro delle mutazioni Yi-King. Gli steli venivano lanciati in aria e la loro disposizione, una volta che ricadevano a terra, forniva il responso.