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In un Istituto, anziani pazienti usati come cavie.

30 aprile 2011

La denuncia partita da un centro specialistico dell’Altotevere è finita in tribunale. Farmaci non autorizzati somministrati senza consenso.

L’avvocato Panichi Rappresenta uno dei pazienti. Pazienti usati come cavie umane, sottoposti a protocolli non autorizzati, senza averne alcuna informazione, né loro né i propri familiari. Fatti oggetto di somministrazione di prodotti non citati sulla cartella clinica, dagli effetti un po’ particolari (e anche curiosi se si va a dare uno sguardo su internet), e secondo qualcuno neppure strumentali alle patologie neurologiche dei pazienti. Succede, pare, ed è successo anche nella nostra regione, dove dei  pazienti che si sono ritrovati loro malgrado oggetto di test, hanno scelto le  vie legali per veder tutelato il proprio diritto a essere trattati come persone
e non come cavie. Ignare di ingerire pillole apparentemente innocue eppure non citate nel programma terapeutico a cui erano sottoposti nell’istituto dove si trovavano ricoverati, in Altotevere. Tra l’altro accompagnate da alcuni prelievi che alla fine hanno insospettito non poco i familiari, i quali,  scoperto il prodotto, non ancora all’epoca autorizzato, hanno deciso di saperne di più. Si tratterebbe dunque di sostanze somministrate su pazienti di una certa età, fa capire l’accusa, rappresentata dall’avvocato Paolo Panichi, solo con l’obiettivo di testare le reazioni sull’organismo degli assuntori, valutare le conseguenze e tutto quello che, per l’appunto, serve per sperimentare gli effetti. Per l’istituto in questione, a un anno di distanza dal casus belli, l’autorizzazione è poi arrivata, ma dopo dodici mesi circa rispetto a quando le
pillole venivano fatte ingerire a un piccolo gruppo di inconsapevoli pazienti. Una vicenda a cui sono seguite denunce che hanno fatto scattare l’inchiesta del Nas, con una serie di documentazioni poi approdate in procura, e cause civili che ruotano entrambe intorno a fatti che si sono verificati nella primavera del 2008 in un istituto dell’Alta Valle del Tevere. Tutto inizia quando i congiunti di anziani pazienti, ricoverati a seguito di delicate operazioni a livello
neurologico, si accorgono che ai loro familiari venivano somministrate delle compresse la cui ingestione era preceduta o seguita da un prelievo di sangue. Incuriositi da questa procedura ma soprattutto spinti dall’allarme scatenato da alcune “stranezze” notate nel comportamento dei familiari ricoverati, provano a chiedere spiegazioni. E da qui partono i primi dubbi, dal momento che nessuno sembrava saperne ad eccezione di uno dei medici, tanto che tale procedura non risultava presente nella scheda terapeutica. Individuato il medico, alle tante
domande risponde che agli anziani in questione era stata somministrata della semplice vitamina e che i prelievi servivano per “determinare la concentrazione ematica di tale sostanza”. Nel contempo l’allarme si diffonde e si scopre così che anche altri pazienti si erano ritrovati ad avere a che fare con le medesime pasticche conservate nella medesima sacchetta. Assunzioni sempre precedute o seguite da prelievo di sangue. La curiosità cresce e un nucleo di familiari viene convocato da uno dei responsabili dell’istituto alla presenza del medico dai più indicato come “l’ispiratore” delle somministrazioni. In un primo momento i sanitari cercano di rassicurare, fanno riferimento a un farmaco contenente una particolare dose di vitamina, che sarebbe stata presto inserita nelle cartelle cliniche. Viene mostrato anche il farmaco, che scatena la
conseguente sorpresa dei presenti. Infatti le compresse erano diverse da quelle
viste in corsia e viste prendere dai propri familiari ricoverati. All’imbarazzo da una parte segue la crescente carica di sospetti dall’altra. E alla fine il mistero viene svelato. E’ uno stesso medico a fermare i congiunti e a svelare l’arcano, facendo subito riferimento alla sperimentazione su alcuni pazienti neurologici dell’istituto di un farmaco non italiano, per verificarne l’effetto
sul risveglio neurologico. Un complesso ormonale, viene detto, che comunque non avrebbe avuto effetti nocivi sui pazienti tanto da essere al centro di un progetto sperimentale in Toscana. I familiari continuano a chiedere ai medici come sia possibile un qualcosa del genere, ovvero che vengano somministrati  farmaci, o sostanze o qualsivoglia complesso vitaminico senza essere inseriti nel registro dei medicinali e senza il consenso del paziente: chi dice di non
saperne nulla, chi si scusa e chi invece parla della ricerca che ad alti livelli viene fatta con questi prodotti. Alla fine i familiari decidono di portare via i propri malati, con relativa cartella clinica. Che arriva qualche giorno dopo le dimissioni con la segnalazione di una “erronea somministrazione di una sostanza al posto della vitamina”. Insomma, un’ulteriore conferma, per i congiunti degli anziani, che qualcosa era stato fatto e non correttamente. A quel punto viene richiesto un parere a uno specialista, che sulla base degli accertamenti effettuati subito dopo la dimissione, evidenzia una serie di alterazioni, a livello di esami del sangue e di condizioni neurologiche. Insomma oltre ad aver effettuato una sperimentazione di un qualcosa senza
consenso libero, specifico e informato, su pazienti anziani, in uno stato particolare, reduci da situazioni di salute particolari, si sarebbe somministrato agli stessi un prodotto all’epoca ancora non precisamente classificato (come si evince dalle risposte fornite dai tecnici), un complesso
di sostanze non segnalate sulla cartella clinica e di fatto “inesistenti” per chiunque, in caso di emergenza, si fosse trovato nella condizione di dover intervenire sul soggetto in questione. Avuta consapevolezza di quello che era successo, è stata fatta denuncia ai carabinieri con relativi accertamenti del Nas e contemporaneamente è stato avviato un iter civile. Per i primi di giugno è fissato il dibattimento, quanto alla vicenda civile la causa è in sede istruttoria. Dal punto di vista morale, per coloro che si sono imbattuti in questa avventura, la fiducia in alcuni medici è completamente in ribasso

Giovanna Belardi

da: Corriere dell’Umbria