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Bombe in Siria e Libano

29 dicembre 2011

di Matteo Bressan

Facciamo un passo indietro e cerchiamo di fare il punto di situazione sui principali avvenimenti che dalla fine di novembre ad oggi hanno interessato due aree strettamente legate tra di loro: Libano e Siria. In Libano il Premier Mikati, di cui Hezbollah fa parte, è riuscito a disinnescare una possibile crisi interna, rifinanziando il Tribunale Speciale delle Nazioni Unite che indaga sull’omicidio dell’ex Premier Hariri. L’esito di questa scelta era tutt’altro che scontato dato che la compagine di Hezbollah e dei suoi alleati, potendo contare di 18 ministri sui 30 membri del Governo, avrebbe potuto ostacolare con la forza dei numeri il rifinanziamento del Tribunale Internazionale. Un simile scenario avrebbe determinato conseguenze imprevedibili in Libano e avrebbe inevitabilmente attirato l’attenzione degli Stati Uniti e degli Europei su Hezbollah, in un momento, quello della crisi siriana, che vede il Partito di Dio sotto osservazione per il suo sostegno ad Assad. Questa posizione sembra peraltro procurare più danni in termini di coerenza e credibilità che benefici al Partito di Dio agli occhi dei suoi molti sostenitori presenti non solo in Libano ma anche in Siria e in Libia. Non è un mistero infatti che le dichiarazioni di sostegno pronunciate dal Segretario Generale di Hezbollah, Nasrallah, alle rivolte in Egitto e Libia e in generale a tutti i movimenti di protesta della primavera araba, stridano con il silenzio sui massacri in Siria. Per queste ragioni Hezbollah ha ritenuto opportuno ribadire la propria sfiducia nel Tribunale Internazionale senza tuttavia far sprofondare il Libano in una nuova crisi di Governo a quasi un anno dalla caduta del Premier Saad Hariri, volendo in questo modo testimoniare la propria fedeltà al più importante interesse nazionale. Ottenuto l’assenso di Hezbollah, seppure con molti distinguo, Mikati ha potuto erogare ai primi di dicembre ben 32 milioni di dollari alle Nazioni Unite, favorendo così la prosecuzione dei lavori del Tribunale. Pochi giorni dopo, ed esattamente il 9 dicembre, un battaglione francese dell’UNIFIL subiva un attentato senza gravi conseguenze nei pressi della città di Sidone, evento questo che ci porta al dentro della crisi siriana. Poche ore dopo infatti il Ministro degli Esteri francese Alain Juppe’s accusava, annunciando peraltro di non averne le prove, Hezbollah e la Siria di essere responsabili dell’attentato. Anche il leader delle Forze Libanesi, Samir Geagea, ha accusato Hezbollah di essere direttamente o indirettamente responsabile dell’attacco ai militari dell’UNIFIL aggiungendo che di fatto è il Partito di Dio l’unico vero apparato di sicurezza nel Sud del Libano. Geagea ha inoltre precisato come sul luogo dell’attentato i primi a raccogliere prove e ad avviare le indagini siano stati proprio i membri di Hezbollah, poi l’esercito libanese ed infine l’UNIFIL. Risulta difficile per Geagea comprendere come Hezbollah non sia in grado di identificare gli attentatori e al contempo essere capace di smascherare gli agenti della CIA in Libano. A queste domande alle quali forse ad oggi non è possibile dare risposte certe si aggiungono i misteri che circondano il duplice attentato a Damasco dello scorso 23 dicembre, dove sono state colpite da un commando suicida, le sedi dei servizi segreti siriani, causando ben 40 morti. Anche per questo attentato molte sono le piste ma poche sono le certezze. Per il regime e per bocca della tv di stato dietro gli attacchi ci sarebbe al Qaida, per i ribelli invece si è trattato di un attentato preconfezionato da Assad per dimostrare all’opinione pubblica internazionale di essere vittima del terrorismo. Un’altra pista fa pensare al golpe militare anti Assad da parte dei fuoriusciti dell’esercito, opzione questa che non necessariamente andrebbe a rafforzare il fronte dei ribelli. Altre due versioni su questo attentato arrivano invece dal Libano e più precisamente da Hezbollah e dal canale televisivo di riferimento del Partito di Dio, Al – Manar. Per Hezbollah dietro l’attacco infatti ci sarebbero gli Stati Uniti, colpevoli ed esperti in questo genere di attacchi sanguinosi contro i civili. Un’altra pista poco seguita è invece quella diffusa da Al – Manar, che il 24 dicembre ha riportato da un sito internet dei Fratelli Musulmani di Siria, la rivendicazione dell’attentato. Poche ore dopo però gli stessi Fratelli Musulmani della Siria hanno negato il loro coinvolgimento ed hanno accusato il regime di Assad di diffondere, mediante siti web falsi, notizie tese a screditare il loro movimento.

Arriviamo quindi a ieri mattina, quando un’esplosione ha distrutto, senza provocare vittime, un ristorante a Tiro in Libano. L’esplosione è avvenuta alle 5.00 ora locale per mezzo di un esplosivo di 2 chilogrammi posto nella parete esterna del ristorante “Tyros”. Dopo il sopralluogo della Quinta Brigata dell’esercito libanese, gli esperti hanno posto un perimetro di sicurezza intorno alla zona, bloccando alcuni ingressi nella città. Secondo quanto appreso dalla emittente radiofonica “la voce del Libano” sembrerebbe che dietro all’attentato ci possa essere la regia di un partito estremista intenzionato ad impedire l’annunciata festa di Capodanno al ristorante. Il proprietario del ristorante, Arnaout Zuhair, intervistato dall’emittente libanese LBC ha raccontato che 10 giorni prima dell’attentato di ieri mattina ignoti avevano distrutto il manifesto pubblicitario che annunciava la festa di Capodanno presso il “Tyros”. Sempre il proprietario ha poi affermato che i danni saranno riparati rapidamente e che la festa di Capodanno con l’offerta dell’alcool si svolgerà regolarmente. Arnaout ha poi denunciato che ci sarebbero alcuni intenzionati ad impedire i festeggiamenti del Capodanno a Tiro, operazione questa che danneggerebbe gravemente l’attività turistica della cittadina costiera. È significativo inoltre che il gestore di un altro ristorante vicino al “Tyros” abbia deciso di annullare i festeggiamenti per l’arrivo del nuovo anno. A questa testimonianza si aggiunge quella di un altro gestore che afferma di aver ricevuto minacce telefoniche che suggerivano di non organizzare nessuna festa per il veglione di capodanno. Sembra inoltre che alcuni ristoranti e locali a Tiro abbiano affisso dei cartelloni in cui si chiedeva scusa per la somministrazione dell’alcool. Va ricordato che la città di Tiro è una della poche città del Sud del Libano dove è consentita la somministrazione di bevande alcooliche. Lo scorso novembre un’ esplosione ha distrutto un locale, sito in un quartiere sciita di Tiro, che vendeva bevande alcooliche. Alcuni osservatori già dallo scorso agosto avevano denunciato che nella città di Nabatieh, capoluogo dell’omonimo governatorato, il sindaco appartenente al Partito di Dio, avrebbe vietato la vendita di alcoolici e che, l’unico commerciante ad essersi rifiutato di applicare la disposizione, si è ritrovato il negozio distrutto.

L’Occidente non deve chiudere gli occhi sul colpo di stato in Libano

26 gennaio 2011

di Matteo Bressan

Il Presidente libanese Michel Suleiman e il presidente del parlamento Nabih Berri hanno firmato il decreto con cui si incarica formalmente l’ex primo ministro filo siriano Najb Mikati di formare il nuovo governo libanese. Najb Mikati, il deputato centrista, uomo di affari vicino alla Siria si è affrettato a dichiarare che cercherà di essere il Primo Ministro di tutti i libanesi, tentando di smarcarsi dalle posizioni politiche di Hezbollah, salvo però la difesa della la resistenza nazionale.

Hani Mikati

Considerando che circa l’80% della comunità sunnita, schierata con Hariri, ha subito la nomina di Mikati a Primo Ministro, così come i cristiani maroniti di Samir Geagea e tutti gli altri partiti della coalizione 14 Marzo, c’è da restare molto scettici di fronte a queste prime dichiarazioni solo apparentemente concilianti. Chi conosce il Libano infatti sa bene che cosa significhi la resistenza nazionale e quali forze politiche, Hezbollah e Iran, hanno creato un vera e propria esaltazione della resistenza nazionale contro Israele.

Andando poi ad analizzare quali fattori abbiano determinato lo spostamento degli 11 parlamentari del leader druso Walid Jumblatt, che di fatto ha capovolto i rapporti di forza in Parlamento a favore della colazione dell’ 8 Marzo, si scoprono alcuni fatti inquietanti. Molti cittadini di Beirut hanno infatti testimoniato la presenza di numerosi miliziani di Hezbollah che sarebbero scesi armati per le vie di Beirut rievocando nelle menti dei drusi i sanguinosi scontri del 2008. Per questo motivo e per testimoniare le violenze e le minacce del Partito di Dio in queste ore i libanesi che si riconoscono nella coalizione elettorale che ha vinto le elezioni politiche del 2009 stanno scendendo in piazza per protestare contro il ribaltone che sta andando in scena in Libano.

Nel frattempo i cristiani maroniti guidati da Samir Geagea, già da due giorni, si stanno radunando a Freedom Square, la piazza nel centro di Beirut dove si trova il sacrario di Rafiq Hariri e gli uomini della sua scorta e nella quale si riversarono migliaia di libanesi per chiedere il ritiro della Siria, insieme alle altre componenti della coalizione del 14 Marzo hanno esposto cartelli contro Hezbollah e contro quello che pare agli occhi dei più attenti come un colpo di stato camuffato da ribaltone parlamentare.

Oggi a distanza di pochi anni si comprende che quel ritiro fu solo parziale e non intaccò mai il peso politico di Damasco negli affari libanesi sia nel settore della sicurezza che nella formazione dei quadri militari. In queste ore molto tese viene anche da chiedersi se e quale dovrà essere il ruolo della missione Unifil in un contesto che a questo punto è totalmente cambiato rispetto all’estate del 2006 e dove sarà difficile ipotizzare, seppur lontanamente, il disarmo di Hezbollah. Avrà ancora senso mantenere una forza multinazionale con un Primo Ministro che con molta probabilità cercherà di raffreddare le possibili condanne del Tribunale Speciale che indaga sull’omicidio Hariri?

Le prime reazioni internazionali non si sono fatte attendere e ieri sera il Dipartimento di Stato americano, pur riservandosi di verificare la composizione del nuovo Governo,  ha manifestato i rischi che potrebbe comportare la crescente influenza di Hezbollah nel prossimo esecutivo. Del tutto diverso l’approccio del responsabile della politica estera dell’ Unione Europea, Catherine Ashton che auspica che il neo Primo Ministro libanese si impegni per creare il più ampio consenso possibile intorno al nascente esecutivo. Ancora una volta e nonostante le evidenti pressioni di Hezbollah, l’Unione Europea ha perso l’occasione per chiamare, in maniera appropriata quello che solo chi non vuole vedere è a tutti gli effetti un colpo di stato.