Proprio a ridosso della strada che s’affaccia sulla splendida e famosa spiaggia di Giardini Naxos, (Giaddini in siciliano) frequentata da numerosi turisti, si trova lo scavo di Naxos una delle colonie greche più antiche di Sicilia. Lo scavo, a quanto mi ricordo, è così bene nascosto a sguardi troppo indifferenti al passato da rendere del tutto probabile la permanenza a Giardini per una vacanza e non rendersi neanche conto di trovarsi nei pressi di uno scavo di straordinario rilievo.
Si comincia la visita da un piccolo Antiquarium all’interno di una struttura borbonica a Capo Schisò; da qui è possibile orientarsi sull’area archeologica vera e propria. Mi rendo perfettamente conto a questo punto del bisogno sempre più necessario di spiegare la grande rilevanza che dò a questa località, il motivo affettivo che ad essa mi lega. Ricordo chiaramente che fu uno dei miei
momenti più emozionanti in Sicilia, l’accorgermi all’improvviso, girato l’angolo oltre la splendida e mondana spiaggia di Giardini Naxos , di trovarmi su uno scavo greco arcaico; d’incanto la confusione era cessata, lo spazio si era come dilatato, il silenzio dominava le cose. Mi sembrò di aver superato, senza accorgermene, la barriera del tempo. Nasso fu la prima colonia greca di Sicilia, se vogliamo prestar fede a Tucidide, e numerosi autori tramandano di Teocle calcidese che insieme ad alcuni Ioni di Nasso, l’omonima isola delle Cicladi, avrebbe occupato l’area di Capo Schisò sottraendola probabilmente a degli indigeni Siculi. Il sito dove sarebbe sorta Naxos doveva essere un approdo sicuro ed obbligato per le navi che facevano
rotta verso Occidente dal Mediterraneo Orientale. I primi coloni sarebbero arrivati su una spiaggia dove eressero un tempio ad Apollo Archeghetes il dio di Delo protettore dell’impresa coloniale, nell’anno 754 a. C.: anche questo riferimento a Delo ci riporta all’area delle Cicladi da cui proveniva il nucleo forte dei coloni, considerato anche il nome dato al sito e mutuato probabilmente dalla omonima isola dell’Egeo, Nasso. Dai pochi dati che abbiamo risulta che la polis fu partecipe degli eventi politico economico militari che riguardarono la costa est della Sicilia per tutta l’età arcaica e si trovò spesso in lotta con Siracusa. Le guerre intestine caratteristiche del mondo greco la videro completamente distrutta da Dionigi, il celebre tiranno siracusano, nel 403 a. C.. Gli abitanti superstiti cercarono continuamente di
riprendere possesso della polis fino a che Andromaco, padre del grande storico Timeo, non vide più opportuno abbandonare il sito di Nasso per preferire quello prospiciente di Tauromenion, la moderna Taormina, città gentilmente appoggiata su una collina a 200 m. slm. da cui è possibile uno sguardo meraviglioso sulla costa est della Sicilia fino all’Etna. Il dato d’eccellenza, tra i molti, su cui ci soffermeremo è l’essere stata celebre nell’antichità per il rinomato vino di cui ci testimonia Plinio il Vecchio nella sua opera Naturalis Historia insieme alle monete su cui è spesso raffigurato il dio del vino, Dioniso. Plinio famoso per la sua competenza in materia, prediligeva il vino ‘Taormina bianco’ prodotto con le antiche uve Catarratto bianco*,
Carricante, Grillo, Inzolia e Minella bianca. Tali testimonianze, consentono a questo punto di spendere qualche insufficiente e certamente povera parola sul vino di Sicilia: il vino siciliano
potrebbe essere davvero confuso con un’ambrosia divina, direttamente donata da Dioniso; le uve particolari, i raggi del sole cocente sotto cui i chicchi maturano, il paesaggio caldo e mediterraneo che lo nutre, il suo profumo impregnato di mare, con il retrogusto al sapore di mandorle, gli conferiscono un carattere particolare che lo rendono inimitabile: non riesco mai a decidere dinanzi ad un vino siciliano se mi affascini di più il colore, il profumo o il sapore. La miscela dei tre è, comunque, un cocktail prediletto tra le cose amabili di questo mondo e della Sicilia in particolare.
*Il catarratto, l’uva a bacca bianca più diffusa in Sicilia