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VISCHIO

14 novembre 2009

vischio

 

( Viscum album)

Fam. Lorantacee

 

 

di Loriana Mari

 

 

 

Caratteristiche: il vischio è una pianta legnosa, alcuni sono sempreverde, perenne e semiparassita che appartiene alla Famiglia delle Lorantacee. Affonda le sue radici nei tronchi di vari alberi e si alimenta della loro linfa; le foglie racchiudono bacche gelatinose, somiglianti a perle, che contengono un solo seme immerso in una polpa vischiosa, grazie alla quale aderiscono alla pianta ospite per il tempo necessario  a sviluppare gli aresteni. I suoi semi per germinare hanno bisogno della luce del sole e allo stadio adulto il vischio riesce a produrre clorofilla anche al buio. In realtà non è nemmeno una pianta, ma un semi-parassita, perché dotato di polloni che penetrano nel tronco dell’ospitante assorbendone la linfa, ma indipendente per lo sfruttamento dell’acqua e della luce, dato che produce da sé la clorofilla. Non è quindi nocivo come l’edera, che può portare alla morte l’albero a cui s’attacca. Cresce più volentieri sugli alberi da frutto, ma è facile vederlo sui pioppi, pini ed abeti. Il famoso vischio della tradizione celtica era esclusivamente di quercia.

Habitat: diffuso in gran parte dell’Europa e dell’Asia, in Italia cresce fino ai 1200 m slm, soprattutto nelle zone boscose di latifoglie.

Proprietà: le caratteristiche medicinali del vischio, conosciute già dai tempi di Ippocrate e Plinio, sono assai interessanti e di recente si sono scoperte anche le sue proprietà antitumorali, sulle quali procedono tuttora le ricerche. Le parti utilizzate sono le foglie che contengono colina e acetilcolina, sostanze che agiscono sul sistema neurovegetativo. Un uso esagerato di esse può causare la morte per arresto cardiocircolatorio. Le bacche sono tossiche e se ne sconsiglia l’uso medicinale. Le sue proprietà sono: ipotensivo e vasodilatatore, antispasmodico e sedativo, diuretico e depurativo. Anche la farmacopea moderna esprime molte riserve sul suo uso: in dose eccessive provoca la perdita della sensibilità, una progressiva paralisi ed addirittura l’arresto cardiaco! D’altra parte pare che sia l’unico regolatore naturale della pressione arteriosa, ottimo antiemorragico, analgesico e naturalmente diuretico. Un tempo si usava con successo contro l’epilessia, l’asma e l’isteria e qualcuno lo ha lanciato anche come anticancerogeno. Attualmente gli erboristi gli preferiscono specie meno pericolose.

Storia, magia e leggenda: il vischio è sempre stato considerato una pianta sacra, una specie di miracolo della natura che d’inverno spicca nei boschi quando alberi e arbusti mostrano solo rami spogli. Già Plinio il Vecchio descrive i rituali delle popolazioni galliche che accompagnavano la raccolta del vischio: “…nel sesto giorno dopo il solstizio d’inverno i druidi si avvicinavano alla quercia indossando candide vesti e conducendo due tori bianchi. Il capo dei sacerdoti saliva sull’albero e usando un falcetto d’oro tagliava i rami del vischio che venivano raccolti in una pezza di lino bianca, prima che cadessero a terra. Poi immolati i due tori, pregavano per la prosperità di quanti avrebbero ricevuto il dono.”

L’uomo è stato sempre incuriosito dai mazzi verdeggianti quasi sospesi sulle piante, ricchi di bacche perlacee, in un periodo nel quale la natura non produce alcun frutto. Questa pianta che cresce senza toccare terra è ancora oggi bene augurante: come da tradizione la notte di S. Silvestro ci si scambia saluti e auguri sotto il ramo di vischio, che non deve mai toccare terra per non perdere i suoi poteri magici, infatti  è considerato un amuleto contro le disgrazie e gli influssi negativi; e se si passa in compagnia sotto un cespo di vischio ci si deve baciare, ma se una ragazza non riceve questo bacio rituale non si sposerà nell’anno successivo. Viene generalmente appeso sulla porta di casa, là, come diceva Plinio tra cielo e terra. Molte di queste usanze ci giungono dai Celti, che la consideravano una pianta donata dagli dei, favoleggiavano che nascesse là dove era caduta la folgore, simbolo di una discesa della divinità e dunque di immortalità e di rigenerazione. Queste caratteristiche non potevano non ispirare ai cristiani il simbolo del Cristo, luce del mondo, nato in modo misterioso, parte dall’umanità, ma separato da essa per la sua natura divina. Prima di questa elaborazione divina la Chiesa non aveva voluto ammetterlo tra i suoi ornamenti perché legato alla tradizione pagana.

Strana pianta lo definisce Mességué nel suo celebre erbario, verde quando tutti gli altri alberi sono spogli, prende una forma perfettamente sferica, ha un indefinibile colore pastello, foglie ovali simili ad orecchie di coniglio, bacche bianche, che sono il cibo preferito di tordi, merli, cinciallegre e capinere. Una volta raccolto perde i colori originari per divenire sempre più dorato, tanto che tra le varie proprietà magiche che gli sono state attribuite c’è la capacità di brillare nel buio in prossimità di giacimenti d’oro. Il vischio dei Celti era esclusivamente di quercia, l’unico, tra l’altro, che abbia le bacche color dell’oro e veniva raccolto solo in caso d’effettiva necessità, con una piccola falce d’oro usata da mani pure, a digiuno, vestiti di bianco ed a piedi nudi, offrendo in cambio alla foresta una libazione di pane e di vino, perché la leggenda racconta che proprio quando il vischio fu strappato per la prima volta dalla quercia, il buon dio Bälder venne a morte. In realtà il vischio è un parassita e strapparlo non reca alcun nocumento, anzi… ma all’epoca in tutta Europa si pensava diversamente e lo stesso Enea per entrare nell’Ade reca in mano un rametto di vischio. La tradizione scandinava è ricca di racconti e leggende legate al vischio. Già nell’antichità i druidi lo usavano per ottenere infusi e pozioni medicamentose, al fine di combattere malattie ed epidemie che flagellavano e decimavano le popolazioni del tempo; presso i druidi, infatti, il vischio era conosciuto come la pianta in grado di guarire da qualunque malattia. La mitologia norvegese sottolinea il legame col dio Bälder, che morì colpito appunto dal vischio. In memoria del dio, i norvegesi sono soliti bruciarne i rami in prossimità del solstizio d’estate, con lo scopo di allontanare la sventura e invocare la prosperità ed il benessere. Probabilmente il significato oggi attribuito alla pianta deriva da queste antichissime credenze popolari, anche se per motivi non del tutto chiari il rito è stato “spostato” all’epoca del solstizio d’inverno. Siamo soliti, infatti, donare o tenere in casa rami di vischio tra la fine del vecchio e l’inizio del nuovo anno nella speranza di proteggere in tal modo noi stessi, le persone a noi care e la nostra casa dai guai e dalle disgrazie. In effetti i norvegesi bruciavano il vischio d’estate… non è escluso che fosse proprio vischio regalato o raccolto in inverno e gelosamente conservato fino allora! Naturalmente non abbiamo elementi per chiarire il significato del tutto.  Il fatto che la pianta apra per Enea le porte dell’Ade non costituisce propriamente una spiegazione,  ma forse accresce il mistero. Dato che invece continuiamo a baciarci sotto il vischio ad ogni capodanno la sua valenza è essenzialmente quella di portafortuna, attenzione però: qualora si volesse raccogliere a mani nude, soprattutto usando la sinistra, si rischierebbe la mala sorte! Inutile dire che nessuno è più soggetto a questa tentazione, dato che il vischio ormai da anni compare già confezionato e dorato direttamente nelle botteghe dei fioristi. In Francia per le feste natalizie è venduto al naturale, come qualsiasi fiore reciso.