
Rita Tenerini
L’Ombra
di Rita Tenerini
Nessuno passa più dalla piccola stazione. Lì, tutto è statico, freddo, inamovibile. Il tempo si è fermato. Un solo vagone, sull’unico binario morto, svetta come un baluardo, vessillo di un oscuro passato.
La biglietteria è un monumento alla memoria di viaggi lontani, di corse contro il tempo, di mesti arrivederci e inesorabili addii.
Ma il vecchio orologio racconta ancora emozioni inquietanti…
Un monito, per chi abbia il coraggio di guardare oltre quell’ora remota scandita nel cielo… e poi, sulla terra, vagare tra pallide ombre.
Anche lei è un’ombra.
Un’ombra nera nella sera.
Un’ombra nera alla luce del sole.
Non un suono, un segnale di vita, laggiù, dalla misera casa…eppure lei è là, pronta, per l’appuntamento con la notte… o forse, chissà, col mistero.
Non accosta neppure il portone… furtiva, cerca con gli occhi il deserto, lo stesso che sente nel cuore… e, chiusa nell’ampio mantello, dilegua nel buio infinito.
Un piccolo lembo bianco sbuca, sulle ossute caviglie…è stoffa vagante…è lieve rimpianto…è tutto ed è nulla…
Il vestito da sposa…
Che attende lo spettro del sogno…
Che allude a quel giorno perduto…
A nozze mancate, cui però ancora lei crede…
E si avvia. Percorre la strada di sempre. La stessa di allora…uguale a quell’ultima volta. Non sente la pioggia, la nebbia, l’inverno. Il vento di marzo, i fiori d’estate…
Nessuno interrompe il rituale, il percorso a ritroso nel tempo.
E’ un’ombra che insegue le ombre… e poi là, sopra il vecchio vagone… immobile, attenta ad ogni fruscio…le braccia incrociate sul petto…attende l’ennesima alba.
Era bella un tempo lontano…
Negli occhi l’azzurra fierezza di una giovane anima. Nel cuore, la trepidazione, l’attesa di chi ha sentito, per la prima volta, l’antica dolcezza. Un fuoco che tutto riscalda.
L’amore.
Il magico sogno aleggiava nell’aria, e il corpo fremeva all’idea del ragazzo con gli occhi di verde splendente, che il nome di patria rendeva più belli e profondi.
Era lei che penava, nel vederlo incupirsi, condannare ingiustizie e peccati…sopportare con rabbia il martirio di tutto il suo mondo, il suo popolo, che in quei tempi di tutto pativa. Umiliato, esiliato, braccato…
Lei, allora, piccola donna, allarmata ai discorsi di guerra…lo guardava, e per gli occhi adorati accettava ciò che, nel fondo del cuore, avrebbe piuttosto impedito, odiato, mille volte negato.
Accettava e taceva. Era un’anima persa per lui:
“Non dar retta, vedrai…non è in fondo in pericolo. Forse…”.
Ma di notte il terrore era incubo, ogni rischio temuto un presagio…tra le ombre più lunghe e più scure…nel silenzio, e il vagar del pensiero…mentre l’alba era ancora lontana…e il profumo di lui già dissolto… In ginocchio per ore, lei pregava un’immagine sacra. Soffocando così, nell’olimpo dei cieli e dei santi, e singhiozzi, e paure, e i lamenti strazianti del cuore.
E il presagio divenne realtà: parlava di morte e tedeschi, di prigioni e feriti; e anche di terribili ‘lager’ lontani…dai quali nessuno tornava…
La stazione….
Quelle file composte, tra il latrare dei cani, nelle gelide aurore d’inverno, quelle grida di donne, quegli spari, quei bambini con gli occhi sgranati….e poi lui, il ragazzo dagli occhi più belli, di muschio e d’estate, di fiume e passione…era lui, tra quegli uomini in grigio, e tra accenti di freddo e metallo, ben lontani dal dolce latino…lui, costretto sul treno fumante…il suo braccio lanciava, per sempre, un saluto. Un saluto già vecchio, un saluto perduto.
Lei lo aveva aspettato, aspettato, aspettato…ogni giorno, ogni istante.
“Ma verrà? Che farà? Torna presto…non importa il quando, o il perché…Ma tu torna, ritorna…”.
Non contavano, ormai, la miseria, il pane sempre più nero, il degrado, la fame… neanche il tempo che lento passava. E non gli uomini in blu venuti dal mare, con drappi di stelle e di strisce…con l’odore di cioccolato, ed il rock, e le feste, e le stecche di sigarette… con le cicche da masticare, per sentire un po’ meno la fame…E anche a lei, come a tutti, la salvezza sembrarono…
Però, ormai…a più nulla credeva.
Su quel treno di stelle e di strisce…solo un nome, ed un volto, mancava…
Ecco perché, se di sera, viandante, ti sorprende quell’ombra sfumata…che ti fissa dal nero vagone,
con lo sguardo d’agnello ferito…tra binari, banchine, e la torre… che sussulta per il mondo di guerra…
Tu, pietoso, fai questo: ripensa Mathausen…il freddo, la fame …le docce di gas. Ripensa quel fango agghiacciante, tremenda vergogna per tutti…
E poi… pensa a quell’ombra…
Ma non dirle mai nulla.
A lei, no…
Perché hai visto…ora sai.