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PERUGIA ETRUSCA, Lettera aperta di Luciano Vagni al Prof. De Albertis

14 ottobre 2011

Perugia, Cattedrale e p. IV Novembre viste dall'alto

Riceviamo da ” La Famiglia Perugina” e volentieri pubblichiamo.

Nel corso del recente incontro del 30/09/2011 presso la Sala S. Chiara del Circolo Porta S. Susanna Lei ha cortesemente messo in risalto una serie di errori ravvisati nella mia esposizione ed in particolare: “se l’Ing. Vagni asserisce che il cardo e il decumano siano assi ideali su cui si basa la concezione urbanistica etrusca, e non assi reali, non le sembra una contraddizione nell’aver disegnato, nella rappresentazione viaria della città, una linea dividente, tra la Via della Cupa e il Mercato Coperto, che si presenta come un decumano?”

La risposta, che era contenuta nella mia esposizione, è la seguente: l’urbanistica etrusca è circolare, nel senso che una strada periferica all’interno delle mura, ed una certamente esterna, che definiscono il pomerium, zona sacra, rappresentano la viabilità carrabile della città, dalla quale si diramano le strade secondarie, prevalentemente pedonali (una delle quali è ben visibile negli scavi sotto la Cattedrale e non presenta segni di carri). Perugia etrusca non aveva un cardo, inteso nel senso comune di strada, né aveva un decumanus maximus nella zona postica ed uno nella zona antica della città; ciò nonostante la città è stata disegnata basandosi su tali assi, e così come un disegnatore esegue la squadratura del foglio prima di dare inizio al disegno, cioè prima di posizionare nel terreno le mura, i templi: tutto ciò perché se ogni spazio della città corrispondeva ad un pezzo preciso di cielo, era necessario avere ben chiaro l’orientamento.

Se ho disegnato, nella mia ipotesi di ricostruzione stradale, una strada dividente, tra Via della Cupa e il Mercato Coperto (strada che doveva essere in salita perché come ho esposto, tra le due zone c’è un dislivello fra le mura di 30 metri circa), è certamente perché gli Etruschi certamente tracciavano la linea di demarcazione fra la pars pòstica e la àntica (mi sono permesso di mettere l’accento perché suppongo che lei si sia sbagliato quando ha voluto correggere la mia pronuncia in postìca e in antìca); tale linea era sicuramente un decumano, perché diretto nell’asse est-ovest: ma questo non contraddice la concezione che l’urbanistica etrusca sia circolare, come il modello celeste e che abbia due assi ortogonali di riferimento, uno reale in direzione est-ovest come il decumano del cielo che si chiama Via Lattea, uno immaginario, perpendicolare al precedente, che passa per il polo celeste, che nella città di Perugia corrisponde alla fontana sacra. Questa era l’essenza del mio discorso nel quale non esistono contraddizioni. L’altra critica che mi è stata sollevata è che forse avrei confuso il termine panteon con il termine zodiaco; nella mia relazione non ho parlato del panteon etrusco, che rispecchia la concezione delle divinità presenti nel cielo etrusco, ma dello zodiaco, che rappresenta la parte periferica del cielo, che si trova nei vari momenti dell’anno sempre a sud, ed è attraversata dal sole. Ho parlato dello zodiaco perché rappresenta il pomerium del cielo, cioè quella parte sacra periferica nella quale è più facile vedere corrispondenze con l’urbanistica della città, così come sono state riscontrate a Perugia. Comprendere che gli Etruschi conoscevano lo zodiaco almeno quattro secoli prima dei Greci (poiché la loro lottizzazione del cielo risale, secondo gli storici, al IX sec. a.C.), è certamente un fatto molto importante per accendere un dibattito. Anche se rischio di apparire invadente, ho chiesto di utilizzare il bollettino della Famiglia Perugina per inviare queste doverose precisazioni, perché ritengo corretto che non ci siano fraintendimenti. Ringrazio il Prof. De Albertis che mi ha consentito di esprimere questi chiarimenti, che certamente a qualcuno possono risultare utili, e soprattutto perché è la prima volta che si apre un dibattito pubblico su questi temi così importanti per la storia della nostra civiltà. E se mi sono permesso di scrivere, è anche perché mi auguro che altri possano cogliere l’occasione per entrare nell’argomento.

Dott. Ing. Luciano Vagni

Nota di redazione: Per chi fosse interessato ad approfondire la conoscenza degli scavi etruschi sotto la cattedrale di San Lorenzo può consultare  Goodmorningumbria alla sezione Archeologia e cercare ” gli ‘articoli   “Perugia sotto la Cattedrale”“Presentato a Città della Pieve il libro di Luciano Vagni – Il Cielo degli Etruschi”

Cascia, Villa S. Silvestro, enciclopedia storica di stratificazioni culturali.

7 settembre 2011

Scavi Villa San Silvestro immagine di repertorio

di Francesca Romana Plebani

“Noi non siamo prodotti della natura, siamo prodotti della cultura”. 31 agosto 2011, presentazione dei risultati della sesta campagna di scavo di Villa S. Silvestro. Tali le parole del Prof. Filippo Coarelli che risuonano nella sala S. Pancrazio del Comune di Cascia, atte a suffragare l’importanza della memoria storica nel vivere presente. Sì, perché così si presenta il sito di Villa S. Silvestro, tanto agli occhi del ricercatore quanto a quelli di un qualsiasi visitatore: una fotografia storica del proprio passato.

Dopo due mesi di ricerche sul campo, sabato 3 settembre si sono ufficialmente concluse le operazioni di scavo svoltesi presso l’area archeologica della piccola frazione casciana, centro d’interesse scientifico dall’agosto 2006. Ogni anno, a partire, infatti, da quella data, quando fu scoperto l’immenso patrimonio archeologico, durante i mesi estivi riprendono le indagini delle antiche strutture, che si estendono per più di sei ettari a partire dal limite nord-occidentale della Piana di Chiavano.

Già dal quadro che emergeva dalle foto aeree del 2006 – articolate planimetrie frutto del susseguirsi nel tempo di fasi insediative risalenti a differenti momenti cronologici –  era apparso chiaro che il sito di Villa San Silvestro si sarebbe rivelato un vero e proprio “campione di dna” del mondo passato. Templi, aree pubbliche, necropoli, domus e altre strutture insediative costituiscono la testimonianza, attraverso i secoli, dell’importanza di questo centro nevralgico di scambi e comunicazioni tra vari territori e differenti popolazioni. Dall’età protostorica fino a giungere al Medioevo, il sito archeologico di Villa S. Silvestro ha restituito prova sicura del suo protrarsi di vita attraverso le varie epoche: si attestano reperti di età preistorica, testimonianze dell’abitato propriamente sabino, strutture di piena età romana e tardo-antiche, fino a giungere, non ultimo per ordine d’importanza, ad un insediamento di età longobarda. Non mancano inoltre materiali di XII-XIII sec. che comprovano ancora per quest’epoca tracce di frequentazione.

Fondamentali i ritrovamenti di epoca romana, la cui prima fase risalente ai primi anni III sec a.C., si colloca esattamente in corrispondenza degli anni cruciali della conquista della Sabina – quindi in piena epoca repubblicana -, congerie storica attorno alla si hanno poche testimonianze. Contermini al già noto e monumentale tempio italico – su cui sorse in seguito una chiesa -,  risalente proprio a quest’epoca, si articolano una serie di strutture pubbliche e private, decisamente rilevanti dal punto di vista commerciale e amministrativo: sono stati ritrovati infatti dei resti di tre portici, una strada, probabile un nodo centrale della viabilità della zona, abitazioni e almeno un altro tempio di epoca forse più recente. A seguito della conquista, infatti, Roma dovette decretare una presenza più capillare nel territorio e così venne creata struttura amministrativa intermedia tra la città ed il villaggio, polo amministrativo e politico che faceva da punto di riferimento per aree agricole e non urbanizzate: il Forum di Villa San Silvestro.

Sotto la direzione scientifica del prof. Filippo Coarelli e del prof. Paolo Braconi del Dipartimento perugino Uomo e Territorio, e coordinati sul campo dalla dott.ssa Francesca Diosono (che personalmente ringrazio), le indagini archeologiche sono state possibili grazie alla preziosa collaborazione di studenti, specializzandi, ed ex allievi della scuola perugina, impegnati sul campo insieme con studenti dell’Università L’Orientale di Napoli, della Complutense di Madrid e dell’Università di Strasburgo. Il sito di Villa San Silvestro è stato già oggetto di diversi convegni internazionali e protagonista di alcune mostre – la permanente delle quali è nel Museo Comunale di Palazzo Santi a Cascia. Lo studio è finanziato dalla Cassa di Risparmio di Perugia e dal Comune di Cascia, che nello specifico si è occupato della logistica e dell’ospitalità degli studenti e degli studiosi. Volte alla divulgazione scientifica ed effettuate gratuitamente per tutta la durata della campagna di scavo, si sono susseguite, due volte a settimana, visite guidate dell’area archeologica. L’associazione culturale “Tellus”, preziosa collaboratrice nel progetto, si è fatta come di consueto promotrice della raccolta fondi finalizzata al finanziamento delle ricerche, organizzando l’ormai familiare “Cena Romana”, tenutasi presso i giardini  M. Magrelli di  Cascia. Ulteriori obiettivi, che richiederanno studi più approfonditi e ulteriori campagne di ricerca, sono volti alla puntuale comprensione della destinazione d’uso e datazione degli edifici – oltreché alle diverse fasi  costruttive degli stessi -, e delle forme di  sfruttamento del territorio.

 

Monte Tezio: meraviglie di archeologia e natura.

3 dicembre 2010

Francesca Romana Plebani

di Francesca Romana Plebani

Abbracciato da sentieri che si snodano attraverso querceti naturali, boschi misti di roverella e leccio, pinete il cui profumo si stempera in quello di ginepri, biancospini e ginestre, il Monte Tezio (961m s.l.m.), preziosa oasi naturalistica del Comune di Perugia, conserva la testimonianza di un abitato protostorico. Il Tezio, infatti,  si inserisce in una catena di rilievi che taglia longitudinalmente la valle del Tevere da nord-ovest a sud-est, dal Monte Acuto (926m s.l.m.) al Monte Civitella (634m s.l.m.),  posizione geografica strategica di difesa e controllo, che ne ha favorito la sua occupazione già in tempi antichissimi geografica.

È la cima del monte, in apparenza simile ad una naturale distesa verdeggiante intercalata da qualche discontinuità, ad essere sede di antiche occupazioni antropiche, le cui tracce risultano in prevalenza evidenti  attraverso la documentazione fotografica dal cielo. Difatti, nel corso del tempo, l’abbandono del sito, la conseguente perdita di consistenza e di volume degli alzati e dei loro dislivelli, uniti all’inesorabile sgretolarsi sul terreno degli stessi hanno determinato una sorta di apparente recupero dell’originaria conformazione dell’ambiente naturale, che ne cela ad un occhio non esperto le tracce da terra[1].

Esattamente, l’artificiosa configurazione dell’area sommitale del Tezio ha fatto sì che si desse il via alle prime ricerche archeologiche. Le operazioni di scavo, attualmente in corso, sono, a partire dal Maggio 2007, sotto la direzione scientifica del Prof. Maurizio Matteini Chiari dell’ Università degli Studi di Perugia[2] (che ringrazio per le informazioni documentarie).

Già durante la prima campagna di scavo è stato riscontrato, l’ormai noto, recinto perimetrale[4] di delimitazione, delineato sul terreno da un doppio terrapieno concentrico con fossato intermedio in forma di ellisse[5]. Tale recinzione era posta a protezione dell’abitato, sorto non a caso proprio sulla cima di un monte che garantiva, grazie alla sua posizione strategica, il controllo di un’amplissima estensione territoriale, e principalmente dell’asse tiberino[6]. L’insediamento, ascrivibile ad un orizzonte cronologico che va dalla fase finale dell’Età del Bronzo alla  Prima Età del Ferro, occupa come già detto l’area sommitale del Tezio. I materiali rinvenuti, quasi esclusivamente ceramici e più raramente bronzei allo stato frammentario (con l’unica eccezione di uno spillone), hanno infatti permesso di fissarne estremi cronologici così determinati.

Le ultime campagne di scavo (2009-2010) hanno ribadito e confermato la fase di presenza e di occupazione prolungata della cima del monte, testimoniando una frequentazione estesa  nell’arco di più generazioni. Tale continuità di vita risulta  parimenti rimarcata dai materiali rinvenuti: notevole la quantità di frammenti ceramici d’impasto, spesso decorati e associati a congerie cospicue di reperti ossei animali – prevalentemente ossa di ovini – .

L’area del Tezio è inoltre oggetto di numerose e diversificate iniziative tese al recupero ed alla valorizzazione e salvaguardia dell’ambiente. Ne sono validi esempi l’organizzazione del parco naturale, di proprietà comunale e la realizzazione di una vasta area faunistica “polifunzionale”, prima in Italia nel suo genere. Inoltre, l’intera superficie del parco è attrezzata per ogni genere di escursioni: vasta la gamma di itinerari percorribili, dai più distensivi a quelli più adatti ad escursionisti esperti.
Le tabelle disposte lungo i punti di accesso distinguono infatti i sentieri in Turistici (contrassegnati da una T) ed Escursionistici (contrassegnati da una E), per i quali, diversamente dai primi, viene consigliato un abbigliamento adeguato (scarponcini ed equipaggiamento da trekking).

Il patrimonio archeologico e ambientale del Parco del Tezio lo rendono una tra più interessanti itinerari naturalistici e culturali – seppur ancora tra i meno noti –  da percorrere attraverso il territorio rurale  del Comune di Perugia.

 

Per ulteriori approfondimenti sul sito archeologico e sul parco del Monte Tezio:

http://www.fastionline.org/micro_view.php?fst_cd=AIAC_2390&curcol=main_column

http://turismo.comune.perugia.it/canale.asp?id=197

http://www.montideltezio.it/sentieri_nel_parco.htm

aC. (numerose le statuine in bronzo a figura umana o animale rinvenute) e posti più a valle, i quali oltre a fornire un’idea della continuità di vita di questa zona e della sua importanza – naturale linea di demarcazione tra regioni etrusche ed umbre –, restituisce uno spaccato della popolazione del tempo che viveva in questi territori: di non elevate condizioni economiche, dedita all’agricoltura ed alla pastorizia, orientata ad una forma di culto di tipo agro-pastorale legato alla fertilità della terra.

 


[1] Le foto da terra in condizioni ottimali (ad esempio in fase di disgelo con la neve che si accumula nelle superfici concave e protette del fossato perimetrale) restituiscono gli esatti contorni di strutture e sezioni.

[2] Lo scavo è in concessione alla Fondazione Ecomuseo dei Colli del Tezio, con la Direzione scientifica e operativa dell’Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Scienze Storiche, Sezione di Scienze Storiche dell’Antichità, Cattedra di Urbanistica del Mondo Classico (http://dipartimenti.unipg.it/scienzestoriche/sezioni/85-monte-tezio-descrizione-dettagliata).

[4] La recinzione risultava nota da tempo e apprezzabile sia da terra quanto, e soprattutto, dal cielo.

[5] Durante la campagna di scavo 2009, che ha ancora interessato il settore occidentale della cima del  Monte Tezio, è tornato in luce un lungo tratto di una sorta di paramento in grandi lastre di calcare infisse a terra e disposte di taglio, destinate a fungere, con tutta probabilità, da contenimento alla muratura retrostante, edificata a secco.

[6] Situazione analoga a quella del prospiciente Monte Acuto. Si segnala, in proposito, come recenti indagini effettuate nell’area tra il Tezio e Monte Acuto abbiano rimesso in luce numerose tracce di insediamenti umani, databili al V sec. aC. (numerose le statuine in bronzo a figura umana o animale rinvenute) e posti più a valle, i quali oltre a fornire un’idea della continuità di vita di questa zona e della sua importanza – naturale linea di demarcazione tra regioni etrusche ed umbre –, restituisce uno spaccato della popolazione del tempo che viveva in questi territori: di non elevate condizioni economiche, dedita all’agricoltura ed alla pastorizia, orientata ad una forma di culto di tipo agro-pastorale legato alla fertilità della terra.

Archeologia. Visita guidata agli scavi di Colle Plinio e Villa Graziani.

23 agosto 2010

di Gianna Nasi

Guidato da  Roberto Masciarri,  il gruppo è stato introdotto alla sezione abitativa che fu di certo di Granio Marcello esponente di una  famiglia facoltosissima al top della scala sociale, quella dei senatori.

Un atrio a forma di T rovesciata, utilizzato sempre dai romani per costruire le loro case,  ci fa capire   che  siamo davanti ad una planimetria che corrisponde alla DOMUS,  con delle piccole stanze quadrate molto anguste ma molto colorate e con alti soffitti. Lle CUBICOLA,  la parte più antica risale al periodo che va dal 2 d.C. al 15 d.C. in piena epoca augustea. Granio Marcello era avo di Plinio e  proveniva da una famiglia di  alto rango, infatti fu inviato anche come governatore in Asia.

I Grani erano originari di Pozzuoli  facevano i mercanti, ma possedevano grandi tenute agricole a Gragnano, località vicino Sansepolcro, tenute importanti perché rese fertili  del fiume Tevere, e  producevano ed esportavano i loro beni fino all’Asia.

Granio Marcello, caduto in disgrazia nel 15 d. C. perché accusato di lesa maestà nei confronti dell’imperatore Tiberio, perse la proprietà che entrò a far parte dei demani imperiali e assegnata a Plinio il Vecchio che era fratello della madre di Plinio il giovane (61 d.C. – 113 d.C.)  che morirà  a Pompei, durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d. C.

Come nella tradizione delle grandi ville romane, il percorso tocca  l’area termale, con tre piscine CALIDARIUM (una stanza per l’acqua molto calda),  TEPIDARIUM (per l’acqua tiepida), e FRIGIDARIUM (piscina fredda). Le terme per i romani non erano necessariamente di acqua sulfurea o simili. Avevano un profondo culto del bagno caldo e le terme delle case patrizie venivano aperte a pagamento anche al pubblico distinguendo quelle per i maschi e quelle per le femmine. Solo i ricchi però, potevano permettersele perché occorreva tanta legna per scaldare l’aria che passava sotto le piscine. Ricordiamo le prime terme pubbliche, quelle di Caracalla. Il Calidarium era una specie di bagno turco. C’è una piccola intercapedine dove scorreva l’aria calda che scaldava il pavimento della piscina e si suppone che qualcosa del genere fosse usato per un rudimentale tipo di riscaldamento delle case. Per rendere impermeabile la piscina si usava il COCCIO PESTO frutto di varie sperimentazioni per trovare un rivestimento stagno per ogni contenitore di liquidi. Quando si trova questo coccio si capisce che vi erano contenuti liquidi. Le PILE, colonnine di piccoli mattoni impilati sorreggevano il piano di tegole con coccio pesto. Il Tepidarium era una posto dove tenere i piedi. Ci sono anche resti di PREFURIUM una rudimentale caldaia con un intercapedine in più. Dei TUBULI di laterizio  garantivano il tiraggio e nelle cantine  si può notare una specie di orcio, è il DOLIA un  contenitore  in terracotta, in cui prima della cottura veniva impresso il bollo di fabbrica con il nome del proprietario, la data e il contenuto, solitamente olio e vino. A volte contenevano anche sementi soprattutto nei trasporti marittimi ch e i Grani cominciarono a produrre  nel 2 sec d.C. a nche perché potevano essere usati per la fermentazione del vino e per le spedizioni. Dopo la fase graniana e imperiale abbiamo la fase pliniana. Plinio sposta la casa nella collina e trasforma l’area in fattoria. Si presume dunque che sotto villa Cappelletti ci siano i resti più fastosi, le statue e i decori. In una lettera all’amico Apollinare ne descrive i fasti. Plinio era di rango senatorio e si dice che tra i 15 e i 17 anni fosse stato eletto PATRONUS TIFERNUM TIBERINUM, patrono di Città di Castello, cosa non gradita ai tifernati a causa della giovane età.  Costruisce un porticato di circa 200 metri a tre braccia di modo che sia visibile a quelli che arrivano dalla valle  e un tempietto dedicato a una divinità agreste (dea Cerere?). L’area si chiama “Campi di Santa Fiora” località al di là del fiume.

Molto interessanti le due vasche di coccio pesto collocate  nel LATUS VINARI per la raccolta e la spremitura dell’uva, dove  con un torchio  si pigiavano  gli acini ( CALCATORIUM),  la prima aveva al centro un foro circolare con all’interno parte del fondo di un’anfora leggermente concava così si recuperava tutto con un mestolino fino all’ultima goccia. Le vasche erano intercomunicanti, come grandi silos,  cosi quando una era piena il mosto passava nell’altra. La cella vinaria invece era seminterrata e disposta a nord anche per evitare (come raccontano Catone e Vitruvio) che il caldo sciupasse la fermentazione..

Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento segnaliamo il sito www.arkecultura.com

Ci sono poi pubblicazioni tecniche e specialistiche. Inoltre ci si potrà iscrivere all’associazione interagendo con foto, segnalazioni, interventi nel forum. L’iscrizione all’associazione (presieduta da Filippo Maria Arcaleni) è assolutamente gratuita. L’obbiettivo è raccogliere ogni indizio utile alla salvaguardia storica e culturale della nostra valle, definita “valle museo”. Valorizzare reperti e ritrovamenti nei loro luoghi naturali servirebbe cosi a riportare nei cittadini quell’interesse necessario a rianimare una coscienza storica che oggi è purtroppo affievolita.

Ricordiamo inoltre che i lavori di scavo sono durati 20 anni, diretti dal Prof. Braconi, docente di “Antichità Romane” presso l’Università di Perugia e responsabile scientifico degli scavi di Colle Plinio insieme al Prof. José Uroz Sàez dell’Università, e di studenti dei corsi archeologici. spagnola di Alicante.

SAN GIUSTINO VISITE GUIDATE AGLI SCAVI DI COLLE PLINIO E VILLA MAGHERINI GRAZIANI

12 agosto 2010

«Una grande opportunità sia per i turisti che per quanti, pur vivendo nel territorio dell’Altotevere, non hanno mai visitato a causa dei lavori che per anni l’hanno interessata, villa Magherini Graziani. Ma non solo. Un percorso culturale che dalla villa arriverà fino agli scavi di Colle Plinio seguendo un iter storico ed archeologico di ineguagliabile valore». Così l’assessore alla cultura del Comune di San Giustino Stefania Ceccarini  parla della duplice iniziativa che si svolgerà sabato 21 agosto a partire dalle ore 16 da Villa Graziani, fino agli Scavi di Colle Plinio ed anche al Museo del Tabacco in un percorso che segue l’arte, la storia e la tradizione di San Giustino. «E’ la prima volta – prosegue la Ceccarini – che apriamo ufficialmente villa Magherini Graziani al grande pubblico dopo i lunghi lavori di recupero che ci hanno riconsegnato l’edificio storico in tutto il suo splendore. La stessa struttura – sottolinea l’assessore – è al centro di una serie di incontri e progetti atti a definire al meglio al sua futura destinazione». E dopo aver visitato la villa, i visitatori saranno accompagnati negli scavi di Colle Plinio che custodiscono reperti risalenti all’epoca pliniana ed all’insediamento agreste che qui aveva Plinio il Giovane.

Stefania Ceccarini

«Anche in questo caso –  insiste l’assessore – si tratta di un’occasione unica per poter ammirare da vicino i risultati delle campagne archeologiche per anni condotte su questo territorio e che hanno consegnato risultati importanti. Entrambe le iniziative rientrano nelle politiche attivate dal Comune per intensificare le proposte turistiche nel nostro territorio».   Insomma un percorso culturale a 360 gradi che comprende l’apertura straordinaria al pubblico di Villa Graziani, con visite guidate alla scoperta della storia del luogo e delle caratteristiche culturali e tradizionali del territorio. Inoltre l’accesso all’area degli scavi di Colle Plinio, con spiegazioni e introduzioni legate all’archeologia e alla storia del sito e della scoperta. L’iniziativa, promossa da Comune di San Giustino e «Poliedro Cultura» è a partecipazione gratuita.