di Roberta Capodicasa
A differenza di Siracusa, fondazione dei Dori del Peloponneso, la moderna Catania, in greco, Katane, fu fondazione ionica dei Calcidesi. Visitando la città, il riscontro delle sue origini greche non è così immediato come a Siracusa ma a testimoniarne l’ascendenza greca abbiamo il nome e la prepotente tradizione storica che fa capo a Tucidide nel libro VI della sua opera: Tra i Greci i primi colonizzatori furono i Calcidesi , che fondarono Nasso (Naxos nei pressi di Taormina) … L’anno seguente Archia della famiglia degli Eraclidi, venne da Corinto e fondò Siracusa…Tucle e i Calcidesi, partiti, poi, da Nasso nel quinto anno dalla fondazione di Siracusa, fondarono Leontini, (attuale Lentini presso Siracusa) scacciati i Siculi con una guerra e in seguito Catania (729 a.C.). Della sua storia in questo primo periodo, si conosce davvero poco, solo la notizia dell’origine catanese di Caronda, un celebre legislatore di cui ci parla Aristotele: Caronda di Catania diede leggi ai concittadini e alle altre città calcidesi in Italia e in Sicilia (VI sec.a.C.). Secondo un altro grande storico greco, Plutarco, il suo nome deriverebbe dal termine katane, grattugia a sottolineare le asperità del territorio che sorge sulla lava del vulcano che le svetta alle spalle, od anche dal latino katina (catino, bacinella) per la disposizione delle
colline tutto intorno alla città(!). L’etimologia è, dunque, anch’essa oscura: secondo altre interpretazioni, il nome deriverebbe dall’apposizione del prefisso greco katà- al nome del vulcano Aitnè, vale a dire in greco nei pressi di o appoggiata all’Etna. Questa è per me l’interpretazione più suggestiva dato che corrisponde alla prima impressione che si riceve dalla visita della città, quella di un luogo in strettissima simbiosi con il vulcano. Mi invase gli occhi quel colore scuro, quasi nero, in forte contrasto con l’architettura barocca trionfante dopo il devastante terremoto del 1693, degli edifici cosi antitetico rispetto al
bianco di Siracusa, neri perché realizzati con la pietra lavica dell’Etna che non solo non riuscì mai a travolgere e sommergere Catania ma divenne strumento indispensabile per la sua necessaria sopravvivenza. Le eruzioni d’altra parte non furono mai catastrofiche perché la lava quando fuoriesce dal cratere è molto viscosa e procede lentamente consentendo la fuga: “Iddu” , ( o idda… “a muntagna”) come i catanesi chiamano l’Etna, alto più di 3300 m., protagonista di più di 20 eruzioni solo nel Ventesimo sec., è una colossale montagna che non dorme mai, come un guardiano che veglia sulla città e la protegge dai venti del nord rendendo il suo clima fra i più dolci apprezzati del Mediterraneo, tutto il territorio etneo per circa 60.000 ha di superficie. Il Mongibello, con un altro dei suoi nomi derivato dall’arabo, gebel-monte, ha nel corso degli anni
formato un fertilissimo altipiano lavico plasmato, potremmo dire, con il fuoco. La sua imponenza è tale che, passeggiando alle sue pendici, sembra quasi di respirarne gli effluvi, di sentirne l’intimo respiro, la presenza oscura e imponente, forte fino quasi a forgiare il carattere dei catanesi che lo amano in maniera viscerale. Empedocle, celebre poeta e filosofo della metà del V sec. a.C., poteva dire riguardo i fenomeni vulcanici dell’Etna: Molti fuochi ardono sotto la terra e Lucrezio, il poeta latino grande ammiratore di Empedocle, dirà nel De Rerum Natura a proposito del Vulcano e del suo territorio: Qui c’è l’orrenda Cariddi, qui ci sono i rimbombi sinistri dell’Etna che minaccia di radunare di nuovo le sue irose fiamme e dalle fauci vomitare ancora il fuoco a scagliare ancora dal cielo il bagliore delle fiamme. Questa grande terra sembra degna di ammirazione per tanti aspetti e altrettanto degna che la conoscano molte genti, ricca di molti beni, ammirevole per i molti ingegni.
Senza voler troppo indugiare in una magari inopportuna ed esagerata retorica, la cosa migliore è una verifica diretta possibile a chiunque almeno fino al rifugio Sapienza, mantenendo sempre, però, una prudente e rispettosa condotta nei confronti della natura e senza esagerare come avrebbe fatto il nostro amico Empedocle che, in maniera presuntuosa, si sarebbe gettato nell’ Etna aspirando ad una divinizzazione almeno secondo quanto sostiene Diogene Laerzio! Su tale evento non cessarono di ironizzare autori antichi come Luciano:
“E questo tutto abbrustolito chi è? – Empedocle. – Si può sapere perché ti gettasti nel cratere dell’Etna? – Per un eccesso di malinconia. – No, per orgoglio, per sparire dal mondo e farti credere un dio. Ma il fuoco rigettò una scarpa e il trucco fu scoperto” (I dialoghi, trad. Mosca; BUR, Rizzoli, 1990).
Nel V secolo la città ebbe vari e importanti contrasti con Siracusa il tiranno della quale, Ierone, nel 476 ne deportò molti degli abitanti e cambiò il nome in Aitna, titolo con cui è celebrata nella Pitica I di Pindaro e nella perduta tragedia di Eschilo Le Etnee. Solo qualche anno più tardi Catania recuperò, però, il suo nome e i suoi antichi abitanti. In seguito la polis vide una serie di continui disastri alternatisi tra guerre ed eruzioni del vulcano che comportarono frequenti distruzioni anche in età romana. Nonostante tutto Catania conservò notevole importanza e ricchezza tanto che il nostro amico Cicerone nelle Verrine la definisce ricchissima: garanzia di tutto il fatto che Verre vide anche qui di rubare qualcosa, una gigantesca e bellissima statua di Demetra. Lasciando Verre al suo processo e ai suoi ladrocini, continuiamo la passeggiata per le vie della città. Inevitabile assaggiare una granita, con innumerevoli scelte di sapori e di profumi, che nelle ore calde del giorno non potrà che essere graditissima e rinfrescante fino ad imbattersi nell’altro elemento della città che mi colpì particolarmente e che risultò anch’esso collegato col vulcano, il simbolo di Catania, l’elefante o U’ Liotru. La statua dell’elefante simbolo di Catania, si trova proprio dinanzi al duomo dedicato a Sant’Agata che, mollemente adagiato al centro della piazza, gli si erge di fronte.
Il nome deriva da una storpiatura del sostantivo Eliodoro il negromante che lo avrebbe forgiato con la lava del vulcano per cavalcarlo. Attorno ad Eliodoro e all’elefante si hanno una serie innumerevole di leggende, tutte con risvolti magici, difficili ovviamente da registrare e che lasceremo dunque in una beata inconsapevolezza, una statua pagana capace di evocare un aspetto magico e oscuro: ancora una volta un simbolo fortemente collegato all’Etna, che, in ogni minimo aspetto, a Catania la fa da padrone.