Posts Tagged ‘strelnikov’
24 ottobre 2013
di Darko Strelnikov
Come fa Letta ad affermare che le tasse non aumenteranno? Semplice con il solito trucchetto che trasferisce in periferia i balzelli. Tasse locali al posto di tasse nazionali, così il Governo non si sporca. Si sporcano i Sindaci e si sporcano male. Volete degli esempi? Il Comune di Perugia ha annunciato che aumenterà tutte le tariffe possibili e immaginabili. Una cosa che faranno anche molti altri comuni (more…)
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27 giugno 2013
di Darko Strelnikov
Il sondaggio di Giugno sull’Umbria di Scenari Politici (3500 interviste non uno scherzo) mostra uno scenario che comincia a diventare “inquietante” per il Centrosinistra. La maggioranza politica di questa regione, secondo le (more…)
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28 dicembre 2012
di Darko Strelnikov
Si chiamano regole le protagoniste dell’operazione di salvataggio dalla famosa e temuta “rottamazione” dell’intero gruppo dirigente del Partito Democratico. Dovremmo dire l’uso di esse, più che le regole stesse. Perché è indubbio che punti di riferimento normativi e di (more…)
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30 giugno 2012
di Darko Strelnikov
Ci eravamo lasciati con le varie anime del Pd che scaldavano i motori in attesa delle “primarie aperte”. Aperte e richiuse come negli interventi chirurgici disperati ed inutili. Quelli che anche se si fanno non cambiano la situazione del malato. La prospettiva dell’abbraccio tra Moderati e (more…)
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10 giugno 2012
Darko Strelnikov
“Abbiamo una banca”. La famosa farse di Fassino, è recentemente rimbalzata anche dentro il Pd umbro. Magari in maniera più contenuta (“abbiamo una bancarella”), ma è rimbalzata. Protagonista della storia dell’ennesima guerra tra le correnti democratiche è Crediumbria, il (more…)
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26 Maggio 2012
di Darko Strelnikov
Un’altra Umbria è possibile? Mi spiego meglio; esiste una domanda di alternativa agli attuali equilibri politici? E se si come e dove si organizza per competere alle prossime elezioni politiche e alle prossime amministrative? A giudicare dalla recente tornata alternativa verrebbe da dire di no. Si, le liste civiche ci sono state, hanno avuto anche corposi successi, ma sono ancora molto incanalate all’interno del quadro politico tradizionale. Venivano in gran parte da personaggi, (more…)
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27 aprile 2012
di Darko Strelnikov
La gran parte degli osservatori continua a meravigliarsi del diffondersi a macchia d’olio di questa moda delle associazioni politiche nazionali e regionali. Una moda che ha affascinato soprattutto il Centrosinistra. C’è chi ne parla come uno scandalo, chi come una nuova opportunità, chi come un nuovo modo di fare politica. Ma non c’è un cane che ha provato a dare una risposta ai tanti perché che questa pratica si porta dietro e, soprattutto, perché prende piede ora, mentre era sconosciuta (perlomeno in questi termini) nel passato. Nessuna meraviglia; la non analisi e l’ignoranza politica, sono in linea con i tempi. Diversi di quelli che oggi calpestano le stanze del potere vengono o sono eredi diretti della generazione che si vantava di non aver mai letto “un libro tutto intero”, neanche il Bignami. Una generazione che sta contagiando anche quelli che i libri non solo li leggevano, ma erano abituati a studiarli. Meglio evitare di pensare per non farsi venire troppi dubbi! Eppure lo sfaldamento è evidente e, direi, anche preoccupante. Ma se non si parte da una onesta rappresentazione della realtà, non si va da nessuna parte. Non è vero che le associazioni e le Fondazioni sono una risposta alla crisi dei partiti. Una cosa per andare in crisi deve esistere. I partiti, cari signori, non esistono più. Non solo quelli di una volta, ma quelli (finti) di adesso. Sono solo sigle, targhette affisse ad una porta. Dicesi partito politico un’associazione tra persone accomunate da una medesima finalità ideale e politica, ovvero da una comune visione su questioni fondamentali della gestione dello Stato e della società. Visione ideale e politica comune, capito? E allora che ci fa nello stesso posto un ex comunista, con un ex democristiano (Il Pd), o un ex socialista con un ex fascista (Il Pdl). Ci fa solo un “tragico errore”. Il tragico errore di trasformare le coalizioni in forze politiche “disorganizzate”, ma non in partiti. In soggetti senza una identità e con la caratteristica comune di essere estranei, oltre che ai bisogni, ai sogni della gente. Forse è anche per la sempre più cronica mancanza di finalità di grande e lungo respiro, che un amministratore, ad un certo punto, trovi più utile spendere i soldi del finanziamento pubblico, per comprare diamanti, piuttosto che per stampare manifesti. Qualcuno dice che la politica non c’entra niente, è un principio di sana gestione economica! I diamanti sono per sempre, i manifesti per una volta sola. Se tutto ciò viene unito allo sviluppo esponenziale della pratica individualista in politica, comincerete a trovare qualche risposta alla ricerca dei perchè. L’introduzione dell’elezione diretta, finchè le organizzazioni politiche hanno mantenuto una continuità, anche piccola, con i loro valori e con la loro storia, non ha creato problemi insormontabili. Sono stati i cosiddetti organismi dirigenti a proporre per la gestione degli scranni più alti Locchi, la Lorenzetti, Cozzari, Maddoli, Borgognoni, Brachelente, Raffaelli, Cavicchioli e compagnia cantando. Grandi scontri interni, ma alla fine soluzioni condivise da presentare agli elettori. Giusto o sbagliata che sia, questa conformazione, certamente da modificare, certamente da modernizzare, certamente da democratizzare, aveva mantenuto ancora un proprio equilibrio. Ma poi, insieme alle “coalizioni partito”, sono arrivate le primarie ed è cambiato tutto. Che senso ha, infatti, avere segreterie, direzioni, funzionari, apparati, organizzazioni e circoli territoriali, se poi non è questa la sequenza che determina le cose più importante nelle elezioni dirette e cioè i candidati e i programmi? E’ logico che chi ha intenzione di presentarsi, non potendo contare su quello che chiamano erroneamente “il suo partito”, si metta in proprio e ordini e ammassi le sue truppe dentro contenitori che fanno riferimento solo a lui. Alle primarie bisogna votare tizio mica il partito. Ed è altrettanto logico che i protagonisti lo facciano con aggregazioni che prevedono un segno tangibile e riconoscibile di fedeltà” (il tesseramento) e un minimo di radicamento territoriale (circoli, club, gruppi ecc.). Anche perché così si può spaziare tranquillamente anche fuori dei confini del giardino di casa. Perché nelle schede depositate nell’urna non c’è scritto per chi voti alle elezioni. Come dite? Esagero. Beh allora, per capire l’inutilità degli attuali contenitori politici, vi racconto una piccola cosa, che però rende l’idea di quello che sto dicendo. Guardate quello che sta succedendo in quel di Città di Castello. Al Partito Democratico “manca” da mesi un assessore. Il segretario e gli organismi dirigenti hanno fatto due nomi, ma la sedia è restata vuota. Dice che si sono scomodati anche i segretari regionale e provinciale del Pd ottenendo lo stesso risultato; sedia vuota. E’ normale. Non sono loro che controllano il gruppo consiliare, ma quelli che comandano correnti e, magari, associazioni e il sindaco lo sa e si comporta di conseguenza. Cioè, se, come in questo caso, i centri direzionali sono fuori da quella cosa che erroneamente chiamano partito è logico che chi “gareggia” si attrezzi per avere un qualcosa di autonomo, che abbia un peso condizionante interno ed esterno. E, scusate se lo dico, ma è ipocrita fare i moralisti e sparare a zero contro chi costruisce associazioni, se poi, magari, si organizza la stessa cosa, articolandola in altro modo. Magari davanti ad un caminetto e ad una tavola con inviti rigidamente selezionati. Non avrà un nome, sicuramente non avrà una sede fissa o ufficiale, ma che cos’è questo “andar per case e ristoranti”, se non un diverso modo di concepire la presenza e la lotta politica in gruppi di potere. E perché coloro che non sono ammessi a quel caminetto o a quei caminetti non dovrebbero ribellarsi organizzandosi di conseguenza? Qui non ci sono possibili sconti da fare. O si critica, come faccio io, l’intero sistema che è venuto avanti e se ne sta alla larga o se ne accettano, senza se e senza ma, le inevitabili conseguenze. Per chi sta dentro attuale quadro politico, Il tempo delle lezioni di moralità è finito da un pezzo. Per chi sta fuori è ancora tempo di partiti. Ma bisogna rifarli davvero e daccapo!
strelnikov.d@libero.it
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6 aprile 2012
di Darko Strelnikov
Più che proposte sembrano depliant delle offerte speciali. 2+2, 1+1 diviso due, 3+1. La riforma sanitaria umbra va avanti così, a numeri che nascondono esigenze conservative di carattere territoriale. Una sola Asl e Una sola Azienda, che sarebbe l’ipotesi più auspicabile, viene da Perugia, il due asl più due aziende da Terni e il tre Asl più un’azienda da Foligno. Non c’è bisogno di spiegare niente, la matematica parla da sola. Ma mentre nel Palazzo si gioca al totosanità, in maniera trasversale, là fuori infuria la crisi. I dati sono pessimi per non dire catastrofici, il declino è evidente. Eppure le istituzioni, al di là dei soliti documenti che non portano niente in tavola, non hanno mai dato l’impressione di voler giungere a soluzioni unitarie, per provare a dare qualche risposta convincente. Non solo; si continua a favorire, come abbiamo fatto notare più volte, megainiziative edilizie e commerciali senza valutare quale impatto potrebbero avere sull’economia reale. L’Assessore all’urbanistica del Comune di Perugia Valeria Cardinali ci informa puntualmente, quando parla dell’insediamento di Ikea e di Decathlon , delle decine di posti di lavoro che porteranno. Ma non si cura di verificare quante persone mandano a spasso queste nuove iniziative. Le darò una mano. In Umbria nel 2011 c’è stato un saldo negativo tra imprese commerciali nate e quelle morte di 887 unità. Sono rimasti a casa circa 1000 lavoratori, senza considerare la sorte dei titolari. E non si tratta solo di piccoli negozi, ma anche di grandi catene commerciali. Del resto il balzo dell’88% della cassa integrazione in un solo mese, vorrà pur dire qualcosa. E questa moria favorisce un fenomeno che ormai è visibile anche al viandante di strada. Negozi che chiudono e riaprono in continuazione, alimentando sospetti di operazioni che potrebbero anche aver a che fare con la malavita organizzata. I posti “chiacchierati” dal popolino, che nella sola Perugia ammontano a qualche decina, sono in continuo aumento e investono ormai la maggioranza dei quartieri. E la situazione non può che peggiorare. La diminuzione sensibile del potere di acquisto di stipendi e pensioni porta all’inevitabile contrazione dei consumi (il 5% il dato ufficiale, il 10% quello percepito) e quindi a nuove difficoltà per il settore del commercio. L’impoverimento è destinato ad aumentare. Stavolta, a differenza degli anni 80, non ci sarà la mano del pubblico a salvare la baracca. Gli ammortizzatori sociali finiranno presto, il pubblico impiego, la mucca dell’Umbria, e gli investimenti degli enti continueranno ad avere inevitabili e pesanti contrazioni, il nuovo lavoro è poco più di un auspicio. Che senso ha quindi mettere in programma l’apertura di un grande centro commerciale al mese? Stesso discorso per l’edilizia. Si continua a costruire dappertutto. Ma per chi? E soprattutto a quale scopo visto che l’invenduto continua pericolosamente ad accatastarsi, raggiungendo cifre percentuali notevoli. E, sembra, che sia in crisi, nonostante al diminuzione dei prezzi, anche il mercato degli affitti. Insomma se non c’è fame di case, perché moltiplicare i palazzi? E anche qui il sospetto, suffragato purtroppo anche da qualche indagine, che la malavita abbia un qualche ruolo, non pare essere frutto di uan visione puramente fantascientifica. Anzi i più maligni sostengono che, dal terremoto in giù, la pratica del riciclo sostenga una fetta, nemmeno tanto marginale, dell’economia di questa regione. Ma al di là di questi allarmi, la cui autenticità è tutta da provare, la verità è che si va ancora per megacostruzioni e che un progetto generale di recupero edilizio, soprattutto dei grandi centri storici, non ha preso ancora piede. Oltre che evitare il consumo di territorio, il recupero ha costi inferiori delle nuove ostruzioni e invoglia di più ad investire i risparmi delle famiglie sul miglioramento delle loro abitazioni. Del resto lo spopolamento dell’acropoli di Perugia è avvenuto anche per la mancanza dal dopoguerra in poi di programmi di questo tipo. La fatiscenza delle vecchie abitazioni determinò la fuga verso i quartieri popolari. Ho citato questi due esempi per dire che la politica, di fronte ad una situazione che va sempre più peggiorando, non è stata in grado di produrre innovazione, di costruire riforme condivise che recuperino risorse necessarie ad investire nel territorio. Si continua ad esercitare la più pericolosa delle pratica in tempo di difficoltà, quella del vivere alla giornata. Da questo mese gli effetti dei provvedimenti governativi cominceranno a farsi sentire. Tra Irpef, Imu, Tia e compagnia bella andrà in onda una stangata che peserà per qualche migliaio di euro a famiglia. In cambio i cittadini avranno meno servizi e nessun beneficio. Alla lunga, se la politica non è in grado di produrre una svolta, la sfiducia negli amministratori locali aumenterà e potrebbe anche sfociare in aperta contestazione. Ed è questa la minaccia che pesa sopra i secondi mandati. Possibile che gli attuali amministratori umbri non capiscano che occorre trovare, e dire alla svelta, un’alternativa al pericolosissimo status quo di oggi. E questo è compito della politica. Quelli che governano ora, continuando a vivacchiare, rischiano di finire sotto un cumulo di macerie. A meno che non imbocchino decisamente la strada della discontinuità con il passato. Ma scaricare, in un baleno, un intricato sistema di potere e di relazioni sociali, consolidatosi in un ventennio, pretende che in campo ci siano dei capitani coraggiosi. E quella è merce che, per adesso, non si trova nel mercato della politica umbra; kipling si rassegni.
strelnikov.d@libero.it
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12 marzo 2012
di Darko Strelnikov
La politica regionale scivola via, si nasconde, agisce in silenzio. Il tutto, come abbiamo visto e raccontato più volte, per evitare qualsiasi tipo di cambiamento. “A nuttata” è passata e la casta nostrale ha ripreso a fare la guardia ai suoi palazzi, dai quali non la smuove nessuno, manco le cannonate. Ma durerà poco. Perché c’è un intero universo in movimento. E parecchi di loro lo sanno. In questa precisa situazione la scelta ha infatti un duplice significato. Fare l’ennesimo, sperticato omaggio al dio della conservazione e prendersi una pausa in attesa di notizie più precise su come va il mondo. Si aspetta di sapere dalla vicina Roma se cambieranno il quadro delle alleanze, la legge elettorale, i partiti di riferimento, le regole e gli assetti istituzionali locali e via (contro) riformando. Si aspetta per trasferire il tutto, armi e bagagli, in quel di Perugia. E questo rappresenta una manna che permette di rifiatare. La convinzione diffusa che c’è in giro è che dopo le amministrative di maggio, niente sarà più come prima. E allora, tenendo stretto in pugno il motto “adeguatevi alla svelta”, meglio sedersi in sala di attesa e non cambiare nemmeno una virgola. I comuni che in Umbria andranno al voto presenteranno dunque, come nel resto d’Italia, il ventennale schema del dualismo tra le due vecchie coalizioni, centrodestra e centrosinistra. Aperture al centro e chiusure a sinistra non se ne vedono. Prima bisogna “piantare maggio”. A sinistra, magari si accontentano di aprile e, per questo, qualcosa si sta muovendo. Qualcosa che può andare bene adesso e anche in scenari futuri di diverso orientamento. Non riguarda il Pd detto “la mummia”. Riguarda l’altra sinistra che comincia “seriamente” infatti a pensare che il tempo dei dualismi e delle guerre tra poveri sia finito e soprattutto rischioso. Non è un cambiamento di poco conto. Fino ad ora la linea prevalente nelle piccole formazioni era stata quella di una conflittualità perenne, un continuo azzannarsi per catturare i pochi ossi che il Partito Democratico gettava sotto il tavolo degli incarichi istituzionali. Una tattica suicida che ha permesso al Pd di fare cappotto. I rappresentanti dei due quinti dei voti del centrosinistra non sono riusciti a portare a casa che qualche assessorato. Tutte le Giunte e i Consigli degli enti maggiori hanno, al vertice, un uomo o una donna con marchio Pd. La Margherita ai suoi tempi,con un sesto dei voti, si assicurava due dei 5 enti di riferimento. Ma non è questione di posti, ma soprattutto di contenuti. Per pesare sui programmi bisogna praticare una parolaccia, fino ad oggi disprezzata, da tutti : l’ unità. Adesso, pare (e sottolineo pare) si stia cominciando a fare autocritica. Si parte dalla sciagurata esperienza delle comunali 2011, quando la sinistra ha avuto tre candidati diversi a Città di Castello, un distacco dalle primarie di Gubbio e una unità di intenti solo ad Assisi dove, infatti ha battuto il candidato del Pd. L’esperimento più interessante sta, piano piano, venendo fuori in quel di Todi. Lì si sta lavorando ad una civica di sinistra che i promotori vogliono sia il più aperta possibile a persone non di partito, provenienti dai movimenti, dall’associazionismo o semplicemente apprezzate nei luoghi in cui vivono e nei posti dove lavorano. Ma anche negli altri comuni le proposte del Pd non vengono accettate a scatola chiusa. Dopo Todi si è aperta la guerra dei piccoli comuni; la richiesta è di andare alle primarie dove è possibile. Su questa linea sembra particolarmente attiva l’Idv. I suoi candidati potrebbero ricevere l’appoggio di Sel, dei verdi, della Federazione della sinistra e di alcuni pezzi di associazionismo, salvo che a Bettona dove il Prc presenta un proprio uomo (Schippa). La risposta di Piazza della Repubblica è, come di dice in politichese, “articolata”, cioè piena zeppa di confusione. I democratici, tanto per cambiare, non hanno una linea univoca di riferimento. Non l’hanno perché gli organismi di partito non sono in grado né di produrla, né di farla passare. Il segretario provinciale Rossi, tanto per prenderne uno a caso, non è riuscito a chiudere nessuno dei problemi che si sono aperti nel territorio. Dal Trasimeno ad Assisi, Da Gualdo Tadino a Nocera, passando per Città di Castello. E allora, secondo il volere dei “rassottini” locali, una volta il Pd è per le primarie, un’altra per un candidato secco da far accettare alla coalizione, un’altra volta per tutte due o nessuna delle due. E mi fermo qui per mancanza di opzioni. Ne viene fuori un arcipelago senza una precisa logica, composto da gente risorta dal tempo del Cremlino (Damiani di Deruta) e novità degne di rispetto (la Cimino a Bettona), che essendo giovane e , dicono, anche capace, è stata subito osteggiata in loco. Ma non è solo incuria. Per le logiche del Pd, messa in cassaforte la candidatura di Todi (Rossini) il resto ha poca importanza. E quella che sembra ordinaria amministrazione, può diventare una sperimentazione, molto utile per un futuro non troppo lontano. Una sperimentazione che adesso è dentro la normalità del centrosinistra. Con l’aria che tira, potrebbe anche essere l’ultima volta.
Strelnikov.d@libero.it
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7 marzo 2012
di Darko Strelnikov
La vicenda Goracci un merito, se così si può chiamare, sembra averlo avuto. Ha aperto le danze e la discussione sul dopo. Indipendentemente da come andrà a finire questa legislatura e nel mentre si sta cercando di difendere con le unghia e con i denti lo status quo, si comincia a ragionare su altre prospettive. Su un domani molto diverso dall’oggi. E non si parla solo di cambi di maggioranza, anzi quelli vengono catalogati nell’ambito del “vecchio teatrino”, ma soprattutto di scenari di carattere generale completamente alternativi. In alcuni ambienti politici (e non solo politici) trasversali agli attuali partiti (con una buona presa soprattutto tra i quadri intermedi), ormai la domanda non è più se è preferibile continuare con il centrosinistra classico o aprire al centro, ma se questo ceto e assetto politico, nel suo complesso, si possa riproporre o meno. La domanda ricorrente è, se sia possibile o no, trovare al suo interno forze, organizzazioni e persone in grado di fare quella svolta epocale nel sistema istituzionale e amministrativo della quale questa Regione sembra avere un disperato bisogno. Una svolta giudicata indispensabile perché la nostra, dice uno degli animatori della nuova prospettiva “è una Regione che, come affermano numerosi esperti, non è più governata, con la G maiuscola, da diverso tempo”. Del resto le proposte sulla Giunta di salute pubblica, sul metodo Monti, sono le cartine di tornasole che hanno, in qualche misura, già anticipato l’oggetto della questione e della disputa. E così Il dibattito si è aperto, in particolari e, occorre dirlo per verità di cronaca, ristretti ambienti. Siamo, secondo me e nonostante l’ottimismo dei proponenti, ancora a poco più che ai preliminari. Ma, comunque, si è aperto e questo è un fatto. E come è logico, ha già fatto subito registrare la presenza di due scuole di pensiero. Ma andiamo per ordine. Tutto parte da una convinzione generale, è cioè che l’elemento dominante della situazione attuale è “l’irriformabilità” del quadro politico esistente. Preso questo assunto come dato comune, ci si divide, però, sul come procedere per poter determinare un cambiamento profondo della realtà umbra. La prima corrente pensa di affiancare, con una partecipazione autonoma l’attuale assetto delle coalizioni e di sfruttare l’arma delle primarie come metodo, per produrre “la mutazione genetica”. In particolare, nel centrosinistra, c’è già chi guarda con “enorme simpatia” alla proposta Emiliano, il Sindaco di Bari. Un “civicone di sinistra, aperto anche a contributi provenienti da altre aree” con un programma innovativo, formato da personalità riconosciute, da gente che l’alternativa l’ha sostenuta e in alcuni casi anche praticata, con l’innesto, infine, anche di amministratori che hanno marciato su questa strada (e siccome io di questi non ne vedo nessuno, alla domanda chi, la risposta è stata molto vaga e molto simile ad un nessuno). Un “civicone” che sia in grado di mettere in campo, alle primarie, candidati di peso, presi fuori dall’attuale nomenclatura. L’altra parte crede invece che i nemici del rinnovamento sono “dentro casa” e che con essi non siano più possibili alleanze di alcun tipo. E allora il “civicone” o i “civiconi” debbono uscire dall’attuale realtà politica nazionale e regionale e produrre programmi, progetti, liste e soprattutto candidati alternativi. Candidati che non affiancano, ma si scontrano frontalmente con quelli ufficiali dei due poli. Una sfida a 360 gradi. Per capirsi; vincere eventuali primarie è considerato insufficiente, perché poi il candidato alternativo da “la copertura politica alla vecchia casta che, nascondendosi dietro le sue gonne, tornerebbe a sabotare le riforme, difendendo l’attuale sistema”. Si conta sulla novità e sul fatto che oggi tutto ciò che viene presentato contro quella che viene chiamata “casta”, ha un alto gradimento. Ma la difficoltà più grossa di chi sostiene e comincia ad organizzare queste tendenze, non sta nel produrre idee, ma nel trovare chi le presenta e le porta avanti. Qui gli Emiliano, i Vendola, I De Magistris, i Pisapia e i Doria non ci sono e non si sono mai visti. O perlomeno non sono ancora emersi. In Umbria il Pd, salvo rari casi, se perde le primarie, le perde con concorrenti che stanno dentro al sistema, com’è il caso di Bacchetta a Città di Castello. Per Dalema segretario del Pds, noi pesavamo quanto un quartiere di Roma. E forse è questo uno dei segreti, delle ragioni del perché la conservazione resiste e alla grande. Un posto piccolo come il nostro è ancora facile da controllare. Ed è un posto, nel quale, se vuoi sopravvivere, è difficile sganciarsi dal sistema imperante. Tuttavia il fatto che ci siano pezzi di società e di ceto politico che cominciano ad affrontare il problema, denota l’avvio di una mutazione. Quella mutazione che i sondaggi già segnalano. Quella mutazione, oggi silenziosa, che può trasformarsi in dissenso aperto, se non in rivolta, quando i provvedimenti che riguardano le tassazioni locali diventeranno realtà e verranno messe a sistema. C’è chi dice, addirittura, che sarà sufficiente l’applicazione dell’Imu per generare la scintilla. Ma vale la pena ricordare che non siamo di fronte ad una novità assoluta. Di questo si parlò anche prima delle scorse elezioni amministrative. Il progetto civico, in salsa anti Boccali, veniva addebitato ad Alberto Stramaccioni. Si fece anche il nome del candidato alternativo il Giudice Cardella. Se ne parlò anche nella vicina Corciano dove i civici avrebbero dovuto combattere sotto le bandiere di Truffarelli. Ma non se ne fece nulla e tutto restò a livello di indiscrezione. Certo oggi le condizioni sono cambiate, il distacco dalle istituzioni è notevolmente aumentato e la fiducia nella classe dirigente è finita sotto i piedi. Ma tutto questo genera ancora solo mugugni e non fa progetto. I “cospiratori” hanno tre anni per trasformare la proposta in realtà politica. Si attendono “buone notizie da Roma”. E poi via; la traccia del programma è già scritta e ci sono già le prime ipotesi sui nomi dei personaggi da coinvolgere. C’ è un unico dilemma :accetteranno i nostri eroi di mettersi in gioco o si sfileranno al primo soffio di vento, com’è successo fino ad ora? Dubitate gente, dubitate!
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18 febbraio 2012
di Darko Strelnikov
Strelnikov.d@libero.it
“Penso che occorra riaprire un confronto sull’etica e la politica in Umbria….. Per rappresentare quelle migliaia di elettori del centrosinistra che ancora credono ai progetti di governement non ai sistemi di potere….. E questa discussione la deve aprire il PD….”. La riflessione, affidata a face book e sfuggita per lo più ai media ufficiali, non è del solito pinco pallino di passaggio, ma del Presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini. Qualcuno, nell’animato dibattito che ne è seguito, ha aggiunto “era ora”, qualcun altro ha bacchettato il termine “riaprire, perché, in effetti, il Pd questa discussione non l’ha mai fatta, anzi l’ha sempre strozzata e, infine, la maggior parte l’ha appoggiata chiedendo però quello che la logica vorrebbe e cioè di far seguire i fatti alle enunciazioni di principio. L’unica cosa certa è che l’arresto di Orfeo Goracci ha rimesso in pista, per l’ennesima volta, il dibattito sulla cosiddetta “questione morale” nel centrosinistra, dibattito che si porta dietro quello sulla riforma del sistema di governo umbro. Ci sono quindi diversi elementi da analizzare. Primo la questione etica. Il nostro Consiglio Regionale è stato definito sul web come quello che ha “la maggior percentuale di indagati”. Io non so se è vero. Ma quello che so è che è difficile non ammettere che i fatti portano ad un inevitabile e sempre più marcato distacco della gente dalle istituzioni e da chi le dirige. Con un Presidente del Consiglio indagato da tempo e la cui posizione non è stata ancora stralciata, il Vice arrestato e due Consiglieri, uno dei quali assessore, con sulla testa un avviso di garanzia, si è di fronte ad una situazione se non proprio al limite, perlomeno imbarazzante. Qui non si tratta di tutelare la famosa “presunzione di innocenza” che va garantita a tutti, ma di ottemperare ad una delle regole fondamentali che esistono negli altri paesi europei. Nella gestione della cosa pubblica non ci possono essere né ombre, né sospetti, altrimenti si innesca quel discredito popolare verso le istituzioni, che è il principale elemento di instabilità della vita e della struttura democratica di un paese. Discredito che se fosse spread, adesso sarebbe vicino al default politico. Non è una impressione, sono dati. Infatti, se non fosse così non si capirebbe come mai gran parte dei sondaggi veri e seri, parlano di una quota, tra astensione, voto in bianco e cosiddetta antipolitica, che ormai supera il 50% del corpo elettorale. Manca la fiducia nella classe dirigente. E se il fiume di inchieste non aumenta, di certo, il tasso di credibilità, il comportamento ambiguo e conservatore dei protagonisti lo abbassa, fino a portarlo a livelli minimi. La prima questione riguarda, quindi, il comportamento dei singoli. Chi è coinvolto deve fare il fatidico “passo indietro”, per salvaguardare le istituzioni e per essere libero di difendersi senza questo onere sul groppone. E in questo le organizzazioni politiche che abbiamo dovrebbero essere inflessibili con i loro rappresentanti nelle assemblee elettive. E invece trovano tutte le scuse per difendere lo status quo. Perché le regole sono cambiate e sono cambiate in peggio. Non ci sono più i partiti con la P maiuscola, quelli che cementavano l’appartenenza con fini, ideali e valori verso un obiettivo generale e collettivo che era il “bene comune” Oggi ogni esponente politico pensa essenzialmente e unicamente a se stesso e ai propri interessi di carriera. A quegli interessi che unificandosi sono diventati sistema. E quindi la difesa del collega colpito, è niente altro che la difesa del sistema, dell’esistenza in vita di gran parte della stessa classe politica. Per capirlo basta guardare ciò che contengono le inchieste in corso nella nostra regione. Più che la corruzione in senso stretto, riguardano i metodi di gestione della cosa pubblica. Sotto accusa ci sono presunti favoritismi per gli “amici degli amici”, assunzioni sospette, concorsi contestati, promozioni giudicate non in linea con le regole della trasparenza e del merito, appalti che “puzzano”, consulenze sul “niente”, “faraonici” apparati politici personali e di partito, che si sospetta essere stati scaricati sui costi della pubblica amministrazione e via clientelando. Per questo, stimatissima Presidente Marini, credo che siamo ormai ad una svolta. O le riforme annunciate portano ad un drastico cambiamento nei metodi di governo dell’Umbria, o, assisteremo ad una grande operazione di difesa e mantenimento dell’esistente. Una prospettiva che però allunga solo i tempi di questa agonia, perché porta con se, per come si sono conformati gli equilibri e i rapporti politici nell’ultima parte della seconda Repubblica, il pericolo costante di una devastante e definitiva resa dei conti trai notabili al grido di “lui è peggio di me”. Concordo con lei sul fatto che questa riflessione “storica” può avviarla, imporla e per certi versi realizzarla solo il Partito Democratico. Ma al momento non vedo nessuno dei suoi dirigenti interessati a cavalcare questa linea; anzi la maggioranza, non essendo attrezzata per le mutazioni, è per salvare il salvabile del sistema. Per questo solo lei Presidente può prendere in mano la bandiera dell’alternativa e sostenere una dura battaglia per il rinnovamento della politica e delle classi dirigenti del centrosinistra e dell’Umbria. Magari non troverà tanti alleati dentro le forze politiche che la sostengono, ma se troverà il coraggio, avrà sicuramente al suo fianco una maggioranza ampia tra i militanti e gli elettori della coalizione e direi nel corpo stesso della società. E come dimostrano Doria, Pisapia, Zedda, De Magistris e , speriamo, la Borsellino, non sono più gli apparati che fanno la storia, ma le migliaia di persone che il cambiamento lo stanno già praticando sul campo e che cercano, anche nella nostra regione, qualcuno che glielo faccia praticare. Altrimenti, rinchiudendosi dentro i giochi di palazzo, cercando di mediare l’impossibile, può succedere quello che vado scrivendo e dicendo da qualche mese. Allora sembrava fantapolitica, adesso lo confermano anche illustri commentatori che dicono essere “ispirati” dai suoi avversari interni. L’ipotesi della “legislatura breve” con la sua “dipartita” verso Roma alle elezioni del 2013 è ormai una minaccia concreta. Una minaccia che si può abbattere solo in due maniere : allineandosi e chinando la testa ai capi corrente o aprendo quella battaglia che le sue parole su face book sembrano annunciare, facendo sperare migliaia di simpatizzanti e militanti della sinistra umbra. Tocca a lei Stimatissima signora Marini decidere, sapendo che questo non è tempo per la terra di mezzo, è tempo di decisioni drastiche ed estreme.
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6 febbraio 2012
di Darko Strelnikov
C’e ancora quella lunga “linea nera” che da Gualdo Tadino, raggiunge Orvieto, passando per Assisi, Bastia e Todi, taglia in due l’”Umbria Rossa”. Una linea che si è allargata a Torgiano, Bettona, Deruta, Nocera Umbra e Montefalco e che contiene alcune delle principali eccellenze economiche della nostra regione come la ceramica e il vino doc. Una linea nera che, per un periodo, ha tolto il sonno ai dirigenti più responsabili del centrosinistra, perché poteva rappresentare la base di partenza per il grande balzo della destra verso i grandi enti dell’Umbria. Si c’è ancora , ma non ha più il sapore e il valore di quando è stata conquistata. Man mano che la legislatura è andata avanti il nero si è andata lentamente, ma inesorabilmente sbiadendo, portandosi con se speranze, illusioni e propositi. E così l’enclave berlusconiana rischia di diventare un semplice ricordo dei “bei tempi che furono”. La destra nostrale sembra non avercela fatta. Anzi un suo esponente dice ad alta voce che ha già “avviato le procedure di fallimento”. Sarà perché il clima congressuale dentro il Pdl non aiuta, sarà perché la destra è stata complessivamente la prima “a non averci creduto”, sarà per altre cose, ma la situazione non è certo delle migliori. Infatti la maggior parte delle amministrazioni citate sopra sono in crisi o vivono seri problemi di governabilità. E’ facile quindi prevedere che , stando alla realtà dell’oggi, Gualdo, Bettona e Orvieto torneranno, con grande probabilità, nell’orbita del centrosinistra. E ancora; hanno buona chances di essere sloggiati i primi cittadini di Bastia Umbra e di Torgiano. E infine, si va complicando anche la situazione di Todi. Nonostante un candidato del Pd tutt’altro che irresistibile, Antonino Ruggiano comincia ad avere seri problemi in casa propria. Niente lista alternativa dei socialisti in appoggio, una destra estrema che scalpita e, soprattutto, il terzo polo che se ne va da solo, mentre nelle precedenti amministrative stava con lui. E visto che la Presidente Marini, per problemi interni al PD, sta impegnando tutto il suo peso e il suo prestigio per riprendersi il “suo comune”, le probabilità di una imprevista debacle stanno aumentando a dismisura. Oltre al riconfermato Ricci ad Assisi il centrodestra sembra avere vita facile solo a Deruta dove Verbena è un amministratore di lungo corso che, con un avversario come Damiani, un ripescato dalle foto di famiglia del Pci del tempo di Ostelio Quaglia, dovrebbe avere vita facile. Anzi; io dico, facilissima. Insomma sembra proprio che il centrosinistra abbia in mano la gomma in grado di cancellare “quell’umiliante riga che affetta la nostra storia” (così la definì un anziano comunista due anni fa). L’unica possibilità di cambiare questo quadro desolante è che rispunti il “lodo Stramaccioni”, quello secondo il quale in Umbria non vince la destra, ma perde la sinistra. Tradotto; ultima spes è che le possibili i direi immancabili divisioni del “nemico” passino dal livello “endemico” a quello “devastante”. Ma la sentenza sembra già scritta. L’opposizione (si fa per dire!) al sistema politico imperante da 60 anni in questa regione, ha mostrato una classe dirigente meno capace di quella dell’attuale centrosinistra. Era un’impresa non facile riuscirci, ma sembra che siano sulla buona strada. In una rincorsa verso il basso, la destra sta superando i suoi avversari. Le ragioni sono le solite. Continua a pesare il non aver saputo diventare gli eredi del sistema di potere dell’ex Dc, ora in mano agli ex Margheriti del Pd e all’Udc. Ed è naturale. La parte più consistente dei suoi dirigenti vieni infatti dalla destra e in particolare dal Movimento Sociale. Parte che è stata costantemente all’opposizione sia del Pci che della Dc e che non ha mai saputo, nè forse potuto, costruirsi saldi rapporti di governo con l’Umbria che conta. La seconda è l’assoluta mancanza di un progetto di opposizione e di alternanza. Salvo rare eccezioni i Consiglieri di minoranza del Pdl tendono al consociativismo. Spesso si occupano delle magagne del palazzo accanto, ma si guardano bene dall’esercitare un valido controllo sull’operato degli esecutivi di riferimento. Terzo; tutto questo ben di dio, capitato all’improvviso e inaspettatamente, non è stato sfruttato e organizzato a mò di sistema per creare un’area franca in grado di dimostrare che “l’Umbria nera” sa amministrare meglio di quella rossa. Quarto ed ultimo, la debolezza del gruppo dirigente, continua a condurre alla pratica del protezionismo politico. Si tende ad evitare la candidatura di persone che non fanno parte dell’attuale nomenclatura e che in caso di successo potrebbero avere l’idea di spazzare via gli attuali equilibri. Meglio non rischiare e accontentarsi del monopolio dell’opposizione. Eppure il centrosinistra non è stato mai debole come adesso, non è stato mai diviso come adesso, non ha avuto, per effetto del correntismo imperante, una classe dirigente debole come adesso. Questa analisi riconferma dunque che cambiare in Umbria rimane un esercizio ad alto tasso utopico. L’unica strada, ma molto stretta e difficile da prendere, è quella del “civico”. E di un civico particolare, legato alla scomposizione dell’attuale maggioranza. Non è un auspicio è un esame del passato nel quale diversi dei candidati “alternativi” del centrosinistra, che avevano questi requisiti, sono andati vicino all’impresa. Perché tutto si svolge in un solo campo. Le primarie o le consultazioni del PD sono ormai le pratiche politiche che, da noi,decidono le elezioni amministrative. Anche quelle vinte dalla destra. Una destra che si ostina a non mettersi in gioco con iscritti ed elettori, a non farlo per tempo e a non prepararsi qualche anno prima alla sfida elettorale. Chi arranca in salita dovrebbe presentare programma e candidato con grande anticipo e misurarsi per un lungo periodo con sindaci e presidenti. Ma finchè ci si rimette alla “clemenza della corte” (pardon dell’avversario), chi governa da 60 anni può continuare ad andare sul palcoscenico e recitare tutti i ruoli : quelli di maggioranza e quelli di opposizione. E si può permettere di perdere anche qualche pezzo per strada, tanto sa che prima o poi gli verrà restituito con gli interessi. Dice che gli amministratori di Passignano e di Nocera Umbra stanno già facendo gli scongiuri.
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29 gennaio 2012
di Darko Strelnikov
Più passa il tempo e più i difetti di fabbrica del PD si evidenziano. I fatti di Città di Castello ci mostrano l’affermarsi a tutti i livelli, di quel partito “spezzatino”, che contiene in se il germe perenne della discordia, con una discreta tendenza all’autodistruzione. La formazione di tanti piccoli potentati, fa si che il Partito in quanto tale non sia più riconoscibile e, men che meno, un punto di riferimento per la società civile. Pensate che situazione si trova a gestire il Sindaco “tifernate” Bacchetta, quando deve parlare con il suo principale azionista, il Partito Democratico. Per capirci qualcosa e per non rischiare imboscate, sembra che sia costretto a consultare almeno 10 persone. Con la concreta possibilità di non riuscire, alla fine, a trovare “il padrone del sedere” e quindi soluzione condivisa. Dice, ma si potrebbe rivolgere al nuovo segretario, Gionatan Gatticchi, eletto dopo essersi smarcato da tutte le componenti e che quindi è il rappresentante autentico e certificato di tutto il partito. Ma il giovanotto di belle speranze non ha questi “superpoteri”. Ha immediatamente scoperto quella che per molti era semplice acqua calda e cioè che non può decidere nulla senza il consenso dei notabili. Fa un nome per un nuovo assessore e il giorno dopo quel nome sparisce. Pare che il foglietto, per evitare problemi, sia stato scritto con inchiostro simpatico. Quello che svanisce. Insomma, come Bottini, Rossi ed altri prima di lui, ha cominciato a fare la bocca con una carica puramente onorifica. Se vuol restare dovrà tenere conto di chi lo ha eletto e cioè in pratica di tutti. E “i tutti” sono tanti. Ci sono i fedelissimi di Guasticchi, via Secondi e Caprini che sono i più numerosi, poi, con gradazioni diverse di peso, ci sono gli amici e compagni della Cecchini, di Ciliberti, di Orsini, di Verini, la sinistra di Carloni, i gruppi dei cento di Pannacci e dei pochi fedeli di Agostini. E visto che gli interni non bastano, per non farsi mancare nulla, ci sono anche le infiltrazioni esterne dei Neri e dei Nocchi, con tanto di seguaci con tessera ed incarichi. Credete sia un caso limite? Manco per niente. Le situazioni di Castello e del Trasimeno non sono limite perché Perugia è anche peggio. Il Pd nel capoluogo (ma direi dappertutto) funziona come una s.p.a. A Perugia l’azionista di maggioranza è, naturalmente, il sindaco Boccali, ma possiedono pacchetti consistenti anche il Presidente della Provincia Guasticchi, l’assessore comunale alla cultura Cernicchi e il capogruppo in Regione, l’ex sindaco Locchi. Il resto è diviso tra l’assessore provinciale Mignini, il segretario regionale Bottini, il lettiano Cristofani, l’On. Bocci, l’assessore regionale Bracco, i “residuali” di Stramaccioni e qualcun altro che sicuramente mi scordo, perché anch’io ho una certa età e tenere una un elenco così lungo è faticoso. Si è, cioè, di fronte ad una specie di “città aperta” dove nessuno ha le truppe necessarie a dare le carte e comandare. Pare che sia passato un secolo da quando Stramaccioni e Bottini, Bocci e la Marini spaccavano in due il partito. Adesso è spezzatino allo stato puro. Un fenomeno che, con lo scorrere delle stagioni, diventa sempre più esteso, facendo diventare il controllo dei “grandi elettori” sul complesso della struttura, una cosa tendente all’utopia piuttosto che alla scienza. Ma non basta. L’avanzare di questo processo sta dando l’ultima spallata alla forma partito. Ognuno di questi personaggi tende infatti ad organizzarsi da solo, fuori dal Pd. Per il momento prevale la formazione di piccole o grandi correnti di sostegno alla persona, soprattutto in chiave primarie o per le campagne congressuali. Da qui l’effetto fisarmonica delle tessere. Poche in tempo normale, tante in odore di elezioni di qualsiasi tipo. Ecco perchè comincia a fare capolino anche la moda romana di creare associazioni di vario tipo, che dietro alle facciate di “culturale, sociale, economico, ricreativo ecc.”, non sono altro che dei veri e propri soggetti politici legati al loro leader o leaderino. Tanto soggetti politici da avere le loro alleanze e i loro precisi riferimenti dentro gli altri partiti di maggioranza e, perché no, di minoranza. Dagli esempi territoriali citati, emerge, quindi, che chiunque voglia governare questi territori deve fare i conti con gli altri pretendenti. Ma, più si va avanti e più si scopre che tentare di trovare intese soddisfacenti e soprattutto durature è impresa ardua. Perché gli accordi, come si è visto in più parti, sono storie di un minuto che saltano in corso d’opera, modificando le intese congressuali o elettorali. Ed è questa la principale, se non l’unica ragione, per la quale il Partito Democratico è costretto a ricorrere, sempre di più, all’uso delle primarie. La trasformazione in comitato elettorale di pura garanzia è ormai una realtà che può non piacere a Bersani e agli ex comunisti, ma alla quale tutti, ormai, si devono inchinare. Perchè trovare una quadra interna è quasi impossibile ad ogni livello. Anche in un singolo circolo per designare il candidato al comitato di condominio, figuriamoci per le cariche amministrative. E allora si lascia che la trovino gli elettori. Con non poche sorprese come nella scorsa mandata amministrativa, quella della strage dei democratici. E adesso con la dichiarazione di Roma, sembra che bisogna fare anche le primarie per i candidati alle politiche. Non si è ancora capito se sono “erga omnes” o se la Direzione si riserva qualche posto per i dirigenti “importanti”. Ma se non ci sono deroghe qualcuno ha già perso il posto prima di cominciare. C’è tanto tempo ancora. Dire oggi chi concorrerà e soprattutto chi potrebbe farcela è fiato sprecato. Ma sicuramente i più penalizzati dalla stagione senza accordi interni sono quelli vissuti all’ombra degli apparati e dentro gli apparati. Quelli che senza di questi non hanno più efficaci radicamenti territoriali. Finite le alzate di mano occorre avere i voti. E alcuni degli attuali onorevoli, sulla carta, ne hanno pochini. Dite che ad Agostini, Verini e alla Sereni siano fischiate le orecchie? No perché?
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27 dicembre 2011
di Darko Strelnikov
La domanda è d’obbligo. I problemi del Governo regionale umbro appartengono al nuovo scenario politico determinato dal Governo Monti, o sono questioni squisitamente locali? Dare una risposta certa non è facile. C’è chi come Maurizio Ronconi, approfittando della nuova maggioranza di Governo, ricorda, al Partito Democratico che anche a Perugia bisognerebbe adeguarsi. Il che vuol dire fuori l’ Idv e la Fds dalla Giunta Regionale e dentro il terzo polo. Ha buon gioco nel chiederlo, perché i continui incidenti di percorso, che mandano sotto la maggioranza, sembrano aiutare le sue richieste. Ma non è così semplice come pare. Prima di tutto perché il centrosinistra è un sistema di Governo articolato. Un eventuale cambiamento coinvolgerebbe e sconvolgerebbe decine di altri enti locali, costringendone parecchi al commissariamento. Fino al 2014 niente divorzi, si va a letto con le attuali mogli. Ronconi lo sa, cerca solo di preparare il terreno per la prossima legislatura, magari aggiungendo l’Udc a qualche giunta o provando ad allargare la coalizione nelle elezioni amministrative parziali (Todi?). Gli basta una indicazione di tendenza che preluda alla scelta di fondo; quella del ribaltamento delle alleanze. Quindi “le imboscate” di Dottorini, Stufara and son in Consiglio Regionale, potrebbero anche essere il preludio e la preparazione di una nuova stagione politica, nella quale i concorrenti potrebbero essere non più due, ma tre : Una vecchia riedizione del centrosinistra, quello che aveva governato la nostra regione dal 1964 al 1970 (Pd più nuovo partito dei moderati o ex terzo polo), Una destra (quel che resta del Pdl, più lega ed ex o neofascisti) e una sinistra (Sel, Idv e Fds). Naturalmente, come a Roma, questo prevede una nuova legge elettorale, senza listino, con meccanismo proporzionale, probabilmente senza premio di maggioranza e solo con l’indicazione non vincolante del candidato Presidente (qualcuno in segrete stanze sembra che ne stia già parlando). Niente di nuovo, una semplice normalizzazione conservatrice, dopo gli scontri della seconda Repubblica. Se questo è uno dei possibili futuri scenari, l’unica contromossa che può essere adottata da quelli che preferiscono l’attuale schema politico è quella di non far giungere la legislatura alla sua scadenza naturale, costringendo tutti a misurarsi con gli obblighi della vecchia legge elettorale e quindi a riproporre le coalizioni alternative. La guerriglia delle estreme del centrosinistra potrebbe servire allo scopo. Qualche maligno del Pd dice addirittura che questo potrebbe saldarsi con il fronte amplio degli “antimarini”, interessato alla caduta della Presidente “prima del tempo”. In effetti alcune operazioni in corso nel territorio e a Perugia potrebbero significare che l’alleanza tra i popolari di Bocci e i dalemiani della Lorenzetti, sancita da quel famoso pranzo, si è rinsaldata e potrebbe anche portare a conclusioni “devastanti”. Insomma anche nel Partito Democratico umbro andrebbe di moda la “Grosse koalition”. Non si ha notizia del famoso incontro riconciliatore tra le due donne, annunciato, a bassa voce e fuori onda, dalla segreteria regionale del Pd qualche mese fa. Ma anche se fosse avvenuto in gran segreto, a occhio, non pare abbia ottenuto risultati tangibili. A cosa può portare questo racconto che va ancora necessariamente annoverato ed archiviato nella categoria della fantapolitica? Proviamo a farci aiutare da un presunto cospiratore democratico che, per intrigare ancora di più il puzzle, si dichiara “pentito”. Visto che è Natale e le narrazioni appartengono al mondo del fantastico ci facciamo trascinare, senza chiedere alla nostra fonte se quello che ci sta raccontando sono elucubrazioni, desideri o veri disegni politici. Il complotto avrebbe come obbiettivi un nuovo Presidente della Regione, un nuovo segretario del Pd umbro, una nuova lista dei democratici per le elezioni politiche e alcune teste di sindaco da far rotolare nel 2014. Maria Rita Lorenzetti potrebbe prendere la strada di Roma e lasciare quella di Palazzo Donini a Giampiero Bocci. Piero Mignini diventerebbe il nuovo segretario regionale del Partito dopo che Bottini si sarà sistemato in una delle due aule del Parlamento. Sul treno per Roma potrebbero trovare posto anche Marco Vinicio Guasticchi, Vincenzo Riommi e, udite udite, la stessa Catiuscia Marini (naturalmente nella camera inversa della zarina). Questo permetterebbe di traghettare in maniera morbida e senza sussulti il cambio di guardia anticipato a Palazzo Donini. In questa lista si fa anche il nome di Vladimiro Boccali, ma la voce sembra più dar retta ai desideri del Sindaco di Perugia, che alla realtà. Fatto questo, la fase due, quella del 2014, comporterebbe il “pan di squaglio” per i sindaci di Foligno Nando Mismetti, di Spoleto Daniele Benedetti e di Umbertide Giampiero Giulietti. Comporterebbe la fine di quel poco di ricambio che c’è stato e, soprattutto, della categoria che più di tutte si stava ingrassando ; quella dei battitori liberi contro la disciplina e le logiche di corrente. L’attuale guerriglia, dunque, servirebbe a scoraggiare la Presidente, a rendergli la vita impossibile e a convincerla ad accettare lo scambio, nel solco della tradizione comunista legata al “promoveatur ut amoveatur”. Bene dopo che vi siete fatti due belle risate davanti al torrone e al panettone, giudicando questa ipotesi come un prodotto satirico malriuscito, tornate però alla realtà. Vero o non vero, c’è un elemento, una scadenza che può rendere tutto più chiaro : le elezioni amministrative di Todi. Se Rossini non ce la farà ad espugnare la seconda rupe dell’Umbria, la fantapolitica sparisce, perché di sicuro ci sarà chi si berrà in fretta la “fanta” , lasciando sul terreno solo la politica; questa politica. Auguri a tutti!
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17 dicembre 2011
di Darko Strelnikov
L’ultimo sondaggio noto sull’Umbria mette in evidenza la difficoltà di consenso dei partiti, grandi o piccoli che siano. Al di là dei numeri l’aumento notevole della quota del non voto o dell’altro voto (Grillo), dovrebbe essere recepito come un fatto allarmante. Ma la nostra politica non se ne cura. Il cambio di cultura, rispetto alla prima repubblica, ha inciso profondamente sui comportamenti dei protagonisti vecchi e nuovi. Un comportamento che ha determinato una divisione in due parti, ormai quasi pari, dell’elettorato. Quelli del “sono tutti uguali” che ritenendo ormai irrecuperabile la situazione, decidono di restare a casae quelli del “tengo famiglia”che invece hanno un interesse diretto a partecipare e quindi votano. Per la verità c’è anche una terza parte : quelli “alternativi” che pensano ancora di cambiare le cose. Ma sono pochi, derisi e inascoltati. Le due tendenze principali sono spinte da due dei più pericolosi virus che attaccano la democrazia : l’indifferenza e la rassegnazione. E allora per convinzione, per sfinitezza o peggio per opportunismo, entrambi concordano e convergono sulla stessa analisi : “tanto non cambia niente!”. Ai partiti, ai capi corrente, ai ras locali interessa quindi agire e interloquire con la parte che partecipa. E il fatto che questa fetta di elettorato sia in diminuzione non preoccupa più di tanto, anzi, da qualcuno viene addirittura benedetta “perchè “si controlla meglio”. Appunto il controllo diretto ed indiretto dell’elettorato è il lavoro principale al quale sono dediti i nostri eroi. Non è un caso che non essendoci grandi appuntamenti elettorali in vista, ci si concentra, tra congressi nazionali e locali, sistemazione di vicende pregresse e operazioni di vario genere, sugli organigrammi dei partiti. Sarà un lavoro sempre più profondo. Perchè i vecchi schemi stanno saltando. I posti disponibili per la politica sono in forte diminuzione. Tra abolizione presunta delle Province, riduzione degli enti intermedi, dei consiglieri e delle Giunte Comunali, nel 2014 mancheranno all’appello centinaia e centinaia di posti. Posti di prima fila (Province e principali comuni) e di loggione (i piccoli municipi e enti di tipo vario). Avere dalla propria parte le organizzazioni di partito significa quindi poter decidere su candidati e liste, aiuta in caso di primarie e infine rende disponibili una serie di incarichi che possono tappare (in parte) le falle delle istituzioni. Non è un caso che si comincia a far strada sul serio l’ipotesi di divieto di doppio incarico tra partito ed enti. Manca companatico e occorre trovare spazio e spazi agli scontenti. Non escludo quindi, che in futuro la conflittualità tra responsabili delle forze politiche e sindaci, aumenti in maniera considerevole. Badate bene, questa non è una analisi astratta sul futuro, è realtà odierna. E in questa corsa a mettere le bandierine, in questo momento, la più in difficoltà, dentro il Partito Democratico umbro è la corrente dei giovani leoni. Quei quaranta/cinquantenni che, a suon di documenti, avevano cercato di far credere che il ricambio da noi c’era già stato o al massimo era in corso. Ma dati alla mano la Presidente Catiuscia Marini salvo che a Todi, di bandierine ne può mettere molto poche. I suoi appoggi, come quelli ternani, sono donazioni di altri e a Perugia fa fatica a trovare solide basi. Anche perchè fa fatica anche il sindaco che ha un suo seguito, che però è lontano dall’essere maggioritario. Ha bisogno di alleati forti e le sue truppe migliori, quelle dell’assessore alla cultura Andrea Cernicchi, adesso non sono più “ciecamente e acriticamente” sue. Non sono ancora “sul mercato” come maligna qualcuno, ma sono certamente autonome ed in grado di rimettere tutto in discussione nel capoluogo. Tanto più che un certo Locchi, detto “Renatino”, sta, pure lui, alla finestra. Il terzo della “nouvelle vague”, il sindaco di Umbertide Giulietti, pare che vada pure peggio. Si mormora che sia stato abbandonato dal suo padrino Rosi e dal suo predecessore Becchetti, che avrebbero siglato un patto di non belligeranza con il Presidente della Provincia, Marco Vinicio Guasticchi, la cui potenza e influenza, da quelle parti, si starebbe allargando, l’esponente democratico, come dicono i suoi numerosi tifosi, sarebbe stato” incoronato” a Città di Castello come “re dell’alta Umbria”. Esagerazioni? Non lo so. Quello che risulta chiaro è che a quel congresso, come da noi anticipato, l’assessore regionale Fernanda Cecchini (la “giovane leonessa” ) insieme alla vecchia guardia del luogo (Orsini e Ciliberti), ha preso una “di quelle dentate” da far venire in mente quella barzelletta che fa : “vacce tu che me vien da ride”. Potrei continuare con Benedetti, Mismetti, Batino e soci, ma preferisco fermarmi qui. Perchè il senso sarebbe sempre quello. L’assalto a tutte queste caserme del potere è iniziato. E’ iniziato dentro il Pd. E un risultato questo inizio di assedio sembra già averlo ottenuto. Non ci saranno deroghe per nessuno. Le riconferme dovranno essere riconquistate sul campo, con o senza primarie. Ma la vicenda del terzo mandato della Lorenzetti non sembra aver insegnato niente all’attuale (e io dico presunta) maggioranza dei democratici della nostra regione. Sono loro che rischiano di fare l’agnello sacrificale di questa situazione. Certo niente è scontato, ma una cosa è certa. In Umbria il calendario Maya andrebbe riformato. La fine del mondo non sarà nel 2012 ma nel 2014.
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23 ottobre 2011
di Darko Strelnikov
Le scaramucce in Consiglio Regionale non sono altro che la punta di un malessere profondo che
investe il centrosinistra umbro in generale e il Partito Democratico in particolare. La mancata elezione della Consigliera di parità e il passaggio di questo incarico alla destra, non è un incidente tecnico, ma un dato politico diffuso. Vengono a galla i problemi e le contraddizioni di una coalizione divisa sulla linea da seguire, di una Giunta che esclude la minoranza del Pd, di un Consiglio sotto la spada di Damocle delle inchieste giudiziarie. Ma non c’è solo questo. La guerra del centro è anche il risultato delle tante battaglie che si combattono in periferia. Il Comune di Terni resta in precario equilibrio. A Spoleto il Pd perde pezzi verso l’opposizione ed è sempre più in balia delle manovre dell’ex sindaco Brunini detto, non a caso, “il cinghiale”. A Foligno non si riesce nemmeno a convocare il Consiglio Comunale per la mancanza cronica del numero legale. , mentre fuori ci si affronta a colpi di bazooka sulla presidenza della Vus. A Gubbio si è sull’orlo di una crisi di maggioranza e a Città di Castello cominciano a spuntare i primi comitati che contestano la nuova amministrazione. E mi fermo qui, anche se le turbolenze investono quasi tutti i principali centri della Regione. Turbolenze che sono destinate inevitabilmente ad aumentare per una ragione molto semplice : la quantità di potere da distribuire diminuisce a vista d’occhio. Di conseguenza l’instabilità aumenta, per l’aumentare di coloro che cercano nuovi approdi, sperando di riconquistare, in altre sedi, quello che hanno perso o che rischiano di perdere, nelle loro attuali collocazioni. Adesso, come abbiamo visto nelle settimane passate, l’attenzione si concentra sulla riforma endoregionale il cui documento continua ad essere una tela di Penelope : il giorno viene scritto e la notte cancellato. Ma il pericolo più serio, quello di cui ancora si parla poco, deriva dalle le norme della legge finanziaria, i cui effetti si faranno sentire da qui al 2015 in maniera dirompente. Parlo delle disposizioni che impongono la diminuzione dei Consiglieri e dei membri delle Giunte di tutti gli organi elettivi. Proviamo a fare una proiezione sui nostri maggiori enti locali, per capire quello di cui stiamo parlando. Iniziamo dalla Regione. La prossima volta si dovranno eleggere 20 consiglieri invece degli attuali trenta e la Giunta non potrà essere formata da più di un quinto dei membri dell’assemblea e cioè da 4 assessori. Se, ipoteticamente, le regole fossero state queste, l’anno passato 10 inquilini di palazzo Cesaroni sarebbero andati subito a spasso. Provo a fare dei nomi, tanto per capire l’ordine di grandezza della cosa. Raccomando a tutti di non prendere la cosa alla lettera, si tratta solo di una simulazione. Sono cosciente che nella realtà sarebbe anche potuto toccare ad altri e gli effetti non sarebbero cambiati. Cosciente di questi limiti scientifici ci provo lo stesso : Avrebbero potuto prendere la via di casa o del pensionamento, per la maggioranza, 4 membri del listino dei quali è impossibile valutare i possibili voti di preferenza (Fabrizio Bracco, Lamberto Bottini, Gianluca Rossi, Paolo Brutti); Roberto Carpinelli, anche lui proveniente dal “gratta e vinci” del listino, del quale però i cui 100 voti di preferenza raccolti nella lista della Fds sono stati invece ampiamente valutati; l’ultimo degli eletti del Pd (Renato Locchi); il socialista Massimo Buconi che ha sostituito Silvano Rometti eletto anche nel listino e, infine, per la minoranza, gli ultimi degli eletti nelle due circoscrizioni, Maria Rosi, Alfredo De Sio e Rocco Antonio Valentino. Parliamo di 10 membri che hanno una grande influenza e un notevole seguito nei loro partiti e la cui (solo ipotetica naturalmente) esclusione avrebbe potuto provocare, secondo Carlo Verdone, “un macello” dalle proporzioni bibliche. Ma questo è niente. Con la Giunta sarebbe andata anche peggio. 4 assessori; si presume, due al Pd e due agli alleati. Avendo avuto più voti Idv e Fds, gli esclusi sarebbero potuti essere i socialisti, che si sarebbero subito (e non ipoteticamente) precipitati a reclamare la Presidenza del Consiglio. In casa Pd l’incastro dei due assessori avrebbe, invece, dovuto tenere conto della rappresentanza delle due province e delle varie componenti politiche. Sarebbero girati “pizzini” del tipo “ trovare uno di Terni che vada bene alla minoranza e nella minoranza ai cattolici e tra i cattolici a Monsignor Paglia ecc. Insomma esponenti che magari a Roma sono di una corrente, a Perugia di un’altra e sul territorio di un’altra ancora. Non sono marziani; li chiamano quelli con il piede su tre staffe, dei quali c’è già qualche buon esempio in diverse parti dell’Umbria. Con le Province, poi, è quello che si chiama “il tracollo perfett0”. La messa nel limbo di queste istituzioni ha, infatti, provocato la loro spoliazione in termini di rappresentanza. Prima la riduzione dl 20% dei Consiglieri e poi la divisione per due del risultato ottenuto. Questa specie di equazione, con un’incognita che non è x, ma la soppressione o la sopravvivenza, la Provincia di Perugia passerebbe dagli attuali 30 a 12 Consiglieri; 8 di maggioranza e 4 di minoranza. Il Pd, sulla base dei risultati del 2009, passerebbe da 12 a 5 eletti. Il Pdl da 10 a 4. Una strage. Anche qui Giunta a 4. E ci sarebbe stato subito da risolvere questo quiz : Se il Presidente è altotiberino e uno dei due assessori del Pd necessariamente del capoluogo, quale territorio dovrà rappresentare l’altro?. Si accettano suggerimenti da Foligno, Spoleto, Gubbio, Lago, Bastia e Marsciano. Provateci voi ad usare il bilancino se vi riesce. Va invece un po’ meglio con i Comuni. La diminuzione del 20% di Consiglio e Giunta rende, come si è visto nelle prime elezioni con riduzione, possibile una gestione politica delle maggioranze e delle minoranze. Ma anche qui i vuoti sono consistenti. Forse non è un caso che le richieste di Unioni Comunali (siamo arrivati a 12, ma se ne annunciano 14) spuntano come funghi. Sarà per coprire i posti soppressi dalla finanziaria? Il punto è che questa serie di norme rischia di far esplodere una polveriera, perché viene innescato su un contesto, che ha determinato l’effetto inverso e cioè la moltiplicazione degli incarichi. Se non c’è una inversione di cultura rispetto all’individualismo come unico criterio della politica, il rimedio rischia di essere peggiore del male. Se non si mette in discussione l’elezione diretta di Sindaci e Presidenti, perlomeno nelle forme attuali, se non la si diluisce in una rete democratica di garanzie, aumentando il ruolo di controllo, di proposta e di partecipazione alle scelte dei Consigli, si rischia seriamente il default istituzionale. Del resto con Consigli molto più snelli la cosa è fattibile. Ma bisogna superare la concezione dominante “dell’uomo solo al comando”, quella che ci ha portato a queste conseguenze e che ha determinato la formazione delle oligarchie, l’autoconservazione delle classi dirigenti e la lievitazione dei costi della politica.
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15 ottobre 2011
di Darko Strelnikov
La vicenda delle riforme endoregionali è ancora avvolta da una fitta coltre di nebbia. Ogni volta che si annuncia l’eliminazione di un ente o di una agenzia, ne rispuntano altri o altre con nomi e funzioni diversi/e, che qualcuno sospetta siano “sempre indirizzati verso la conservazione del sistema di Governo umbro”. Questo tira e molla è determinato dalle richieste territoriali di divisione del potere e favorito dall’indeterminatezza sulla sorte delle Province. Non c’è cosa peggiore per una istituzione pubblica, che quella di essere lasciata nel limbo. L’ente, la struttura o la semplice competenza esistono, ma vengono praticamente cancellate dalla pratica politica “in attesa di notizie certe da Roma”. Per capire di cosa parliamo vi faccio un esempio pratico. All’inizio degli anni 90 prese corpo l’ipotesi di passare alle Province tutte le competenze di edilizia scolastica relative alla scuola media superiore. Tra la formulazione dell’ipotesi e la legge che stabiliva questo passaggio, passarono più di 10 anni. Il risultato fu che i Comuni smisero di spendere soldi per i Licei Classici, i Magistrali e gli Ipsia e le Province ereditarono degli edifici “cadavere”, che le costrinsero ad ingenti investimenti, che ancora non sono terminati. Non penso di sostenere un’ eresia se dico che l’argomento è stato affrontato, come al solito, sull’onda dell’emotività senza il giusto e doveroso approfondimento. Bisognava capire se era utile, necessario aprire questo fronte e, nel caso, cominciare ad indicare le possibili alternative all’attuale assetto. La prima domanda da farsi e alla quale bisognava rispondere era : “Ci vuole o no un ente intermedio tra Regione e Comuni?”. La risposta è si? Allora è inutile pensare ad altri baracconi. Teniamoci le Province, magari accorpandole, magari riformandole, magari ristrutturandole. La risposta è no? In questo caso era necessario porsi una ulteriore domanda : “Sono in grado le Regioni e i Comuni di assumersi e gestire al meglio tutte le competenze delle Province?”. Solo nel caso di un secondo e convinto si, si poteva passare alla fase della soppressione. Perché improvvisazione non fa rima con programmazione. Ho fatto questo excursus perché lo stato di ibernazione delle Province è diventato, soprattutto qui da noi, una specie di capo espiatorio per proposte indefinite su fantomatiche Unioni dei Comuni, che rappresentano solo un goffo tentativo di risposta agli appetiti dei territori e alla “voracità” dei potentati locali e delle varie cordate che si affrontano “qua e là per l’Umbria”. Non si capisce su che base devono formarsi, non si capisce quanti e quali saranno, non si capisce quanti se ne dovranno formare per ogni argomento ecc. Si sente dire che ne avremo una per l’acqua, quattro per i rifiuti e chi sa quante per le competenze delle Comunità Montane. E ancora, si parla di quattro fantomatici ambiti programmatori che, in pratica, sembrano studiati per essere i futuri sostituti delle Province. Le ubicazioni paiono essere queste : Perugia, Alta Umbria, Foligno – Spoleto – Valnerina e Terni. Vi chiedo sinceramente Pensate che il Trasimeno, Gubbio e Orvieto accetteranno di essere escluse da questo banchetto istituzionale? Ah dite di no? Allora la pensiamo allo stesso modo. Ma c’è di più. Quando verranno formate , qualunque sia la loro ragione sociale, diventeranno la base per l’apertura di vertenze di zona, per la loro estensione a tutte le altre materie. Insomma potremmo avere l’Umbria divisa in un decina di Circondari che si occupano di tutto. Il riferimento ai vecchi comprensori “soppressi per la disperazione” è puramente casuale. Invece il rischio di chiuderne due per aprirne cento è reale e concreto. E i costi lieviteranno. Non ci saranno gettoni per gli amministratori, ma possiamo scommettere che in termini di apparati (segreterie, consulenze e quanto fa clientela) i capi designati non si faranno mancare nulla. Giambattista Vico è famoso per i corsi e ricorsi storici. Direte; ma che c’entra? Centra c’entra. Su questo argomento particolare e sulla vicenda enti locali in generale, il filosofo napoletano può essere tranquillamente chiamato in causa. Il dibattito ci riporta infatti indietro nel tempo. Chi scrive nel lontano 1973 tenne una relazione, come responsabile provinciale del settore, agli eletti del Pci, in una affollata Sala dei Notari. I due pezzi forti della linea del Partito Comunista erano la pressione sul Governo per ottenere maggiori risorse e l’abolizione delle Province da sostituire con organismi intercomunali. Dopo quarant’anni siamo ancora lì. Corsi e ricorsi storici, che teoria interessante. Solo che quella linea venne poi sviluppata e nacquero i famosi Comprensori, di cui abbiamo parlato prima. Fu un fallimento clamoroso. Quegli organismi non riuscirono a fare niente delle tante cose per le quali erano stati creati, perché bloccati dai veti dei singoli Comuni o dei singoli esponenti locali. Gli organi elettivi si presero la loro rivincita. I Comprensori furono sciolti e si tornò ad utilizzare le Province. Comprendo quindi le perplessità di coloro che, essendo per l’abolizione delle Province, non riescono a capire perché la Regione con i suoi dipartimenti non possa organizzarsi per prendersi direttamente la gestione di tutte queste materie. L’Umbria è piccola. Da tempo sostengo che per essere meglio governata, ha bisogno di una massiccia dose di centralizzazione nelle decisioni. Sono i servizi che vanno decentrati non gli organismi. Solo in questa maniera sì potrà ricostruire un modello di Governo capace di ottimizzare le risorse e, dimostrando efficienza ed economicità di resistere alla sfida di quelli che seguono il modello del “grande è bello” (le macroregioni). Tutto questo però presuppone l’esistenza di una classe dirigente che abbia l’autorevolezza necessaria a compiere queste “rivoluzioni” in nome dell’interesse generale. Purtroppo questa non esiste. Anzi il distacco tra chi governa e chi è governato aumenta ogni giorno. Non c’è una persona o un’entità politica che sia in grado di produrre una ricetta condivisa dell’Umbria del domani, riformista o conservatrice che sia. La confusione regna sovrana. Se l’autoconservazione della specie “casta” diventa l’obbiettivo principale ne consegue che tutto ruota attorno a questo elemento. In questo senso il sistema medioevale dei vassalli, valvassini e valvassori deve essere, obbligatoriamente, “pasturato”. Le Unioni dei Comuni, le aziende locali dei servizi (meglio se privatizzate), il sottobosco che gira attorno a queste strutture rappresenta un foraggio che può essere ristretto, ma non eliminato. La stessa messa da parte delle Province assume, quindi, una valenza politica. Essa permette la liberazione di risorse economiche e umane per il mantenimento di questo sistema e, cosa non meno importante, il depotenziamento di possibili concorrenti per la corsa alle poltrone più ambite. E’ questa cultura che va cambiata. Ma all’orizzonte non vedo profeti in grado di farlo. Eppure non si chiede la luna. Si chiede solo di avviare un percorso, sapendo però qual è il punto di arrivo che si chiama bene comune e non rielezione.
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4 ottobre 2011
di Darko Strelnikov Strelnikov.d@libero.it
Il ripetuto “mi ricandido” del Sindaco di Perugia Vladimiro Boccali denuncia una anomalia

Wladimiro Boccali
politica, che può determinare e sconvolgere il corso dell’intera legislatura amministrativa. L’attacco alle Province ha in pratica sancito l’apertura della campagna elettorale due anni prima del previsto. I posti che contano diminuiscono, quindi ogni partito, ogni componente e ogni aspirante candidato deve fare i conti con la contrazione dell’offerta. Le Province potranno anche resistere fino alle prossime elezioni, ma non saranno più un posto appetibile. Oramai sono il male nell’immaginario collettivo, come dimostra un sondaggio di un blog umbro, nel quale l’86% delle persone interpellate si sono espresse favorevolmente per la loro totale abolizione e solo il 4% per il mantenimento nella forma attuale. Quindi, al di là dei tempi di cambiamento, chi ci si avventurerà, rischierà di fare la parte del commissario liquidatore. Un tipico ruolo da fine carriera. Lo sanno in parecchi e la “grande fuga” da Piazza Italia 11 è già iniziata. Da qui i “mi ricandido” che sanno tanto di gente che mette il

Catiuscia Marini
cappello sulla sedia occupata per non perdere il posto. Non è il caso di Boccali, che questa mossa non avrebbe mai voluto farla. Perlomeno adesso. Secondo persone vicine al primo cittadino di Perugia la sua intenzione sarebbe stata esattamente quella opposta. E c’è da capirlo : oggi fare il Sindaco è solo oneri e niente onori. E questa è una condizione che può levare il sonno a coloro che oggi siedono sugli scranni più alti dell’Umbria. La diminuzione degli incarichi a 5 stelle aumenta, inevitabilmente, il numero dei concorrenti. In questa situazione è impensabile che il centrosinistra possa scegliere la strada delle riconferme per i secondi mandati. Le primarie sono una opzione “senza se e senza ma”. E, in questa situazione, chi rischia di più sono, paradossalmente, Boccali e la stessa Marini. La crisi favorisce gli sfidanti. In un contesto fatto di tagli e di tasse, di diminuzione dei servizi e di aumento delle tariffe, di ticket sanitari e di panini che sostituiscono i secondi (come ai miei tempi) nelle mense
scolastiche, Sindaci e Presidenti possono giungere all’appuntamento letteralmente spompati e con un alto tasso di impopolarità. Per di più sotto la minaccia del “fuoco amico” di consiglieri fedeli ai pretendenti al trono. Non c’è, nel partito di maggioranza relativa, il clima giusto per un accordo. Quello precedente (Regione e Comuni di Perugia e Terni alla maggioranza e Province alla minoranza) è stato fatto saltare in aria dalla nuova realtà dei fatti. Farne uno nuovo è difficile. Le inchieste giudiziarie hanno scosso dalle fondamenta gli equilibri interni alle componenti del Pd. Gira un aria di sospetto da far paura. L’accordo di pace tra Dalemiani e Area Modem siglato in un famoso pranzo è quasi carta straccia. L’unica soluzione sarebbe quindi quella di competere alle primarie e poi trattare sulla base dei risultati raggiunti. Ma questo presuppone che correnti, cordate e componenti parlino con una voce unica. Non è così. Meno posti fa rima con più litigi. Risultato i Bersaniani sono spaccati e i modem sono divisi. La frammentazione aumenta e la fa da padrona. Non esiste un leader riconosciuto, non esiste un gruppo dirigente autorevole, non esiste una linea politica da indicare e da seguire. Si va alla giornata, secondo gli umori e tenendo conto delle tante asperità di percorso. Si va per compromessi che spesso sono storia di un minuto. Le cosiddette riforme regionali risentono di questo clima. Spostare o abrogare qualcosa è una delle 7 fatiche di Ercole. Ogni giorno è un passo indietro rispetto al punto di partenza. E allora enti e strutture da salvare si moltiplicano ogni documento che esce. Ma più conservazione si fa e più gli elettori si distaccano dall’attuale classe dirigente. E, a modo loro, lo fanno anche sapere. Per il secondo anno consecutivo le feste di partito hanno impietosamente fatto registrare il tutto deserto per il Pd e il tutto esaurito per Vendola e Soci. Mentre la Presidente Rosy Bindi parlava nel pieno centro di Perugia a 4 gatti e tre micine, in quel di Ramazzano, sperduta contrada di campagna, per raggiungere la quale è consigliato il navigatore, tale Don Andrea Gallo, alla kermesse regionale di Sel, trascinava fino ad ore piccole, migliaia di persone. Una aspetto che marca la diversità tra l’indifferenza per gli uni e la passione per gli altri. Ma c’è un altro indicatore che registra queste difficoltà. Le ennesime elezioni amministrative parziali. Anche stavolta, come qualche mese fa, i rumors parlano di difficoltà dei democratici ad individuare candidati forti a Todi, Bettona e Deruta. Nella città della Marini si andrà probabilmente alle primarie nelle quali quasi tutti i partiti del centrosinistra hanno già un candidato decente. Tutti meno il Pd dilaniato tra l’avvocato Marconi e l’ex segretario Rossini. Due persone che non sembrano riscuotere grandi consensi dentro e fuori il partito. E allora spunta il grande favorito. L’uomo che ancora non c’è; il candidato dei socialisti. Come andrà a finire lo vedremo, ma questa è l’ennesima prova di un partito che non riesce più a governare e ad egemonizzare la coalizione. E stavolta non sono elezioni normali, sono elezioni parziali in casa della destra (Todi, Deruta e Bettona). Perderle vorrebbe dire sancire definitivamente le ragioni di un declino. E pensate che potrebbe succedere dentro il gruppo dirigente del Pd, se in casa della Presidente il candidato non fosse del Pd e non risultasse vincente. Dicono che Antonino Ruggiano abbia ultimamente ricevuto strani segnali di appoggio. Sarà vero?
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27 settembre 2011
di Darko Strelnikov – Strelnikov.d@libero.it
Con che si coniuga la parola Riforme? Si dovrebbe declinare con il suo sostantivo naturale; il cambiamento. Ma il termine di per se non basta a fare una rivoluzione. Anzi, come sempre, ci sono varie maniere di intenderlo ed interpretarlo. Per capire di cosa sto parlando citerò l’antropologo anglosassone Edmund Leach. Lui divideva il cambiamento in due classi : quello che avviene nella continuità e quello che provoca una rottura. Ecco in Umbria, come nel resto del paese, sarebbe venuto il tempo di sposare la rottura. Invece la politica “nostrale” applica e con pochissimo entusiasmo, la legge della continuità. Ma se non si producono forti scossoni, ci si prepara ad accettare, forse a consolidare coscientemente, lo schema di società suggerito dal sociologo Richard Sennett, quella composta da pochi vincitori e da tanti perdenti. E’ la difesa dello schema oligarchico della seconda Repubblica, quello delle leggi elettorali fatte a Roma con le liste bloccate e a Perugia e dintorni con i listini, bloccati pure loro. Lo schema dell’autocorservazione della classe dirigente. Per fare questo bisogna che il sistema, in qualche maniera, venga preservato, protetto e salvaguardato, usando la tecnica della mutazione conservativa e consociativa. Ecco perché, nella nostra regione, l’attuale dibattito sulle cosiddette riforme endoregionali è, a dire poco, arretrato e fuorviante. Le Province ci vogliono o meno, quante Asl dobbiamo tenere, quanti Ati dobbiamo sopprimere, quante Agenzie dobbiamo cassare o inventarci? Sono tutte domande inutili, se non si risponde al quesito fondamentale : “l’attuale sistema di governo va ridotto, sistemato o cancellato?”. Perché è un sistema che non è fatto solo dai grandi enti che conosciamo tutti, da quello che leggiamo sui giornali, ma da una miriade di incarichi e prebende che fa paura. Vi do i numeri per capire la vastità del problema : nel 2010 La nostra Regione ha provveduto a fare quasi 1.100 nomine. In Umbria c’è un “nominato” ogni 820 persone; una specie di Grande Fratello di massa. Se ci aggiungete quelli che fanno, per conto loro, Province, Comuni ed enti vari si arriva a un “nominato” ogni 4/500 cittadini. Praticamente uno per via, o uno per paese. Una buona parte di queste nomine, naturalmente, prevede un compenso. Molte non specificano se l’incarico è a pagamento o no e sono solo una sparuta minoranza quelle in cui si partecipa completamente gratis. Dentro il libro della Regione intitolato “Albo delle nomine” 2010, composto da ben 350 pagine, c’è posto per tutto e per tutti, anche per l’incredibile. Vi cito alcune chicche : C’ è un centro studi per la conservazione dei centri storici in territori instabili (quelli in terreni stabili non hanno una commissione, così imparano a stare sul piano), una commissione tecnica per l’accertamento dell’adeguato livello di conoscenza e competenza professionale degli imprenditori agricoli (cioè, se non sanno vangare, vengono bocciati e mandati a fare gli autotrasportatori?), due commissioni, una a Perugia e una a Terni, per le sostanze esplodenti (alle quali, dicono che la Lorenzetti sia un’ invitata permanente) e infine una commissione tecnica centrale del libro genealogico del cavallo agricolo italiano, forse in previsione della chiusura della Fiat Trattori. Tutte strutture che prevedono gettone e/o rimborso delle spese. Tutte strutture, che come potete capire, sono indispensabili all’amministrazione pubblica e delle quali non potremmo fare a meno nel corso della nostra giornata. Pensate che disastro per le massaie e le famiglie se chiudessero la commissione per la valutazione dei provvedimenti da adottare nei confronti delle imprese di condizionamento dell’olio di oliva vergine e/o extravergine di origine italiana, sottoposte a contestazione dall’ispettorato repressione frodi. Sarebbe la “goduria” dell’olio di semi. Sembrano barzellette, ma sono la nuda realtà dei fatti, sono il cibo del quale si è nutrita la seconda repubblica, senza distinzione tra destra e sinistra, tra maggioranza e opposizione. E per capire di che ci stiamo occupando, basta scorrere i nomi degli incaricati, per scoprire che, in molti casi, si tratta di gente conosciuta, che ha una certa affinità e dimestichezza con la nomenclatura e che fa parte del giro allargato delle grandi famiglie politiche. Certo mi si risponderà che molte di queste sono solo applicazioni di leggi nazionali. Vero, ma, la sostanza non cambia, perché questo sottobosco viene usato a piene mani. Infatti non mi risulta che ci sia qualcuno, in Umbria, che si è impegnato a muso duro in una battaglia a viso aperto, per l’eliminazione di questa sterpaglia istituzionale. Nessuno, perché se cassi quella che viene dal Governo, devi cassare anche quella che viene dalle nostre parti. La parola d’ordine, di maggioranza e opposizione, è lasciar perdere, tanto più che la “sterpaglia” permette di sistemare qualche centinaio di amici di entrambe le parti e di tutte le correnti. Insomma permette di fare sistema (di potere). La domanda non è quindi solo quanti Ati e quante Asl, ma cosa vogliamo fare di questo immensa platea di sottogoverno. Ce ne vogliamo liberare o la vogliamo tenere? E parte da qui ogni ragionamento su possibili piani di salvataggio dell’Umbria. Perché non è vero che i costi inutili della politica non risolvono. Se mettete insieme quelli visibili e quelli invisibili (che sono molti di più) viene fuori una bella sommetta. Ma soprattutto si da il via ad un cambiamento epocale di cultura politica. Se, tanti di quelli che si dichiarano di sinistra (ma lo sono ancora?), vogliono veramente sconfiggere e superare il berlusconismo, questa è l’occasione per dimostrarlo. Questa è la volta di mollare gli ormeggi e di fare rotta verso quel tipo di navigazione, oggi ignota ai più, che va sotto il nome di interesse pubblico. Ma occorre mettersi in discussione cercando il consenso vero della gente, fregandosene di quello dei potenti e degli amici di cordata. Ma alla domanda “chi è per la rivoluzione faccia un passo avanti” tutti fecero dietrofront fingendo di non aver capito il comando.
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4 dicembre 2010
di Darko Strelnikov 
Apparentemente le cose stanno cambiando. Lentamente ma stanno cambiando. Le Comunità Montane verranno (probabilmente) abolite, l’Azienda unica dei Trasporti è una realtà certificata dal notaio, gli amministratori della Regione si sono tagliati lo stipendio del 10%. La situazione impone decisioni forti e di netta discontinuità con il passato. Questi primi segnali sembrerebbero andare in questa direzione. Dunque questo inizio di legislatura non può che non essere giudicato in maniera positiva. Però, (c’è sempre un però), nonostante tutto, alcuni vizi di fondo sembrano essere ancora presenti e il giudizio non può che rimanere appiccato all’esito finale delle varie operazioni, che si stanno compiendo e che ancora si devono compiere. E allora nasce spontanea una domanda : siamo di fronte ad un aggiustamento del vecchio metodo di governare o ad un deciso cambio di passo, ad una vera e propria rivoluzione? Leviamo subito di mezzo Lenin, perché sconvolgimenti epocali e di assalti al palazzo d’inverno, in giro non se ne vedono. Piuttosto si ha l’impressione di una volontà, anche decisa di mutamento, che, ad un certo punto, si ferma e frena nel momento più importante. Insomma saremmo ai “Vorrei ma non posso”, ai “Due passi avanti e uno indietro” o peggio al viceversa (uno avanti e due indietro). Andiamo per esempi pratici prendendo subito di petto la questione della Comunità Montane. Se le aboliranno, come credo, sarà (ancora apparentemente) una scelta coraggiosa. Eliminare gli enti intermedi significa dare un colpo mortale a quel sistema di potere locale, inutile e costoso dal punto di vista istituzionale e amministrativo, ma preziosissimo per il mondo e le esigenze della politica. Ma solo se si ha il coraggio di arrivare fino in fondo. La scelta di accorpare tutto in una agenzia regionale desta più di una perplessità. Si continua a privilegiare soluzioni che non prendono la via maestra; quella degli enti elettivi, gli unici che debbono e possono essere i titolari di tutte le competenze di Governo. La mossa, più che una necessità, più che una novità è apparsa come un escamotage per permettere alla Regione di non perdere e cedere ad altri quei poteri. Ed è un classico di questi anni. Un classico che ha riguardato viabilità, acqua, trasporti e altre materie. La Regione Umbria del secondo millennio, credo unica in Italia, ha sempre voluto mantenere, accanto alle proprie ed esclusive prerogative di programmazione e legislazione, un ruolo significativo nel campo dell’amministrazione attiva, che invece, in uno schema ideale, dovrebbe appartenere totalmente a Province e Comuni. Ma sulla vicenda delle Comunità Montane c’è di più. Quello che è uscito dalla porta potrebbe anche rientrare dalla finestra. Come? Delegando a fantomatici Consorzi dei Comuni diverse attribuzioni dei vecchi enti. Non è una ipotesi, ma una precisa richiesta che “l’enclave” del Trasimeno ha già ufficialmente fatto. Se fosse così avremo una Agenzia Regionale che gestisce attraverso associazioni degli enti locali. E allora che sarebbe cambiato, visto che le Comunità Montane erano proprio questo? Sarebbe cambiato nome e avremmo un’agenzia in più. Tombola! Come razionalizzazione potremmo classificarla come una perla, una goduria, un esempio indimenticabile di gattopardismo. Ma anche la creazione di “Umbria Tpl”, l’azienda unica dei Trasporti, accanto ad una significativa opera di aggregazione e semplificazione, si porta dietro anche qualche buon “vizietto” della politica e diversi interrogativi sugli orizzonti futuri. Al di là del valore delle persone nominate, alcune delle quali, come il Presidente e soprattutto il Direttore, si portano dietro una esperienza amministrativa e una capacità manageriale notevoli e consolidate nel tempo, l’organigramma risponde ancora troppo a logiche di equilibrio politico tra partiti ed enti proprietari. Anche se il Cda non è scandaloso, come dice qualcuno dell’opposizione, perchè composto da gente che ha, in misura diversa, dimestichezza con l’argomento trasporti. E questo non è poco. Ma se si voleva produrre una vera innovazione bisognava seguire la logica dell’amministratore unico, che tanto bene funzionò all’Atam e all’Asp, prima della loro fusione e che potrebbe avere ancora una sua validità. Comunque, mi si dirà, si è iniziato. E questo è un indubbio merito. Dico di si, ma solo se il processo va avanti a 360 gradi. Gli accorpamenti nei servizi riguardano diverse materie. Però di fare aziende uniche di acqua e rifiuti si parla poco, anzi non se ne parla per niente. Addirittura qui si va in senso contrario. Umbriacque ha comunicato ai sindacati che vuole dividersi in due società. Altro che fusioni, qui siamo alle divisioni! E allora perché i trasporti si e gli altri no? Perché, probabilmente, la situazione delle aziende pubbliche del settore stava diventando insostenibile. Salvo l’Apm, che ha avuto una gestione oculata e che con importanti e lungimiranti operazioni esterne all’Umbria promosse da tutti i suoi presidenti (Brutti, Panettoni e Moriconi) ha sempre avuto una gestione in attivo, i bilanci di Atc e (soprattutto) Spoletina avevano il fiato corto ed erano in situazioni finanziarie difficili. Insomma l’Azienda Unica è stata l’unica soluzione (direi obbligata) in grado di scongiurare definitivamente qualsiasi ipotesi di chiusura. Se è così, la Giunta Regionale, a questo punto, dovrebbe chiarire se tutto ciò è un inizio o è invece una fine, se quella delle razionalizzazioni aziendali è una linea valida in tutti i settori o no. Dovrebbe chiarire se l’ obbiettivo finale è la creazione di un unico soggetto imprenditoriale pubblico dei servizi, o se invece , quella dei trasporti, è una eccezione dettata da uno stato di necessità. Sta qui il nocciolo della questione. Perché si fa presto a travestire un ipotetico “cambiamento” in un semplice “aggiustamento”.
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23 novembre 2010
di Darko Strelnikov 
Adesso per il Partito Democratico Umbro le cose si complicano. Le grandi difficoltà nazionali e locali di questo periodo mettono …in gioco il bene più prezioso che ha; la sua incontrastata egemonia su questa regione. E’ un passaggio delicatissimo che potrebbe portare a scenari impensabili fino a poco tempo fa. Ma andiamo per ordine e vedrete che le questioni da risolvere sono un botto e tutte di difficoltà massima. Primo si complica la gestione delle elezioni amministrative. Come noto, al momento, a Città di Castello, Gubbio e Assisi non ci sono in pista candidati democratici. Qualcuno aveva pensato, perlomeno in due di questi comuni, di risolvere la cosa attraverso le primarie di coalizione. Adesso in questo momento di crisi, andare ad una conta e probabilmente perderla, potrebbe significare aprire delle voragini, difficilmente tamponabili. Ma l’alternativa è terribile per il Pd. Niente primarie nessun candidato a Sindaco nei centri maggiori. Un accordo politico con gli alleati è cosa impossibile, anche perché ogni località fa storia a se. A Castello diventa difficile dire di no al socialista Bacchetta. C’era l’on. Verini che qualcuno vedeva alla finestra, in attesa che fosse dichiarata “l’inesistenza in vita” di un candidato spendibile del Pd, per poi prendere le sembianze del “salvatore della patria”. Ma dovrebbe andare al confronto con l’attuale sindaco, con l’immancabile Ciliberti e forse anche con l’avvocato Zaganelli. Tenuto conto del suo storico scarso appeal nella sua città e della situazione generale, il vice Veltroni rischierebbe “più di Gagarin”. E allora, per non andare sotto ancora una volta e fare una nuova brutta figura con Sel, è partito il tam Tam “Bacchetta Forever”. A Gubbio il segretario Guerrini ci prova, ma trova solo nemici interni ed esterni alla sua candidatura. Difficile che una sinistra con il vento in poppa ceda la poltrona del primo cittadino al Pd. Potrebbe succedere solo in due casi : che il Pd vada, come le altre volte, da solo o che Goracci passi con i democratici. Possibilità delle due ipotesi, zero spaccato (soprattutto la seconda di quelle che ho detto). Assisi è già persa. E’ una questione tra Ricci e Bartolini. Sono così messi male i democratici da pensare l’impensabile. Cavoli, si sono detti, se Bersani e Dalema possono fare un Governo con Fini, perché noi non possiamo fare una Giunta con Ricci? Insomma, per qualche assessorato in più, c’è chi pensa anche di recitare la parte dello zerbino con il cast di uno dei due contendenti della destra. Mentre la sinistra è già in campo con un proprio candidato il Pd, ha di questi brutti pensieri. Anche se li scaccerà, per non tracollare definitivamente, al massimo, potrà puntare su un esterno. Quindi neanche qui candidati di partito. E allora, se le cose andranno così, facendo due conti, tra comuni persi in questi anni e comuni ceduti agli alleati, il ridimensionamento sarebbe già evidente. Secondo questa impasse sui candidati si porta dietro un’altra e amara riflessione. Il Pd non presenta propri candidati semplicemente perché non ne ha. La legge dei “10 anni e più moltiplicar non deve” (quella delle due legislature massime per Sindaci e Presidenti), sta asciugando le ultime risorse umane del partito. Dietro alle Cecchini, agli Orsini, ai Panfili, ai Barboni, ai Borgognoni e ai Romoli il vuoto assoluto. Partendo da quelli del 68 e passando per quelli del 77, dietro loro c’è il nulla. Non esiste una terza generazione. E non esiste per due ragioni; perché non è stata fatta (scientificamente) crescere e perché quella che c’è, o viene tenuta ai margini o si è indirizzata verso altri lidi (principalmente Vendola). Ed è su questa riflessione che si incanala il terzo elemento negativo : i congressi. Orgogliosamente si dice che la maggior parte dei segretari sono giovani. E’ vero, ma cambia qualcosa rispetto all’analisi che ho fatto? Assolutamente no! Innanzitutto perché i circoli non hanno alcun ruolo dirigente. Anzi direi nel Pd non hanno un ruolo. Una volta i segretari di sezione avevano un peso politico e organizzativo. Per questo venivano scelti i più meritevoli. Per questo c’era sempre una classe dirigente di ricambio. Ma adesso queste nomine rappresentano contentini per tenere buoni le scalpitanti “giovani promesse”. E salvo qualche rara eccezione, che purtroppo fa la regola, questi segretari sono incastrati nel gioco delle correnti. Il manuale Cancelli ha funzionato alla grande. Non c’è stata concorrenzialità, tutto è stato ricondotto alla tecnica vecchia, ma sempre efficace, delle liste e delle candidature uniche. Ma c’è di più. Quando si sale verso i segretari comunali e provinciali, niente viene lasciato al caso. I nominati sono gente di sicuro affidamento per i vari capibastone. Ma come vedete, tutto questo è una accomodamento interno, incurante della bufera che sta imperversando fuori della finestra. La convinzione che il Pd stia diventando una cosa immobile ad uso e costume di una piccola oligarchia e delle sue diramazioni, sta ormai dilagando nel corpo del partito. Molti ormai si stanno convincendo della sua irriformabilità e si guardano intorno. Nella stazione del Pd, ora come ora, c’è solo la tabella delle partenze (poche tra i dirigenti, tante tra gli iscritti), mentre manca quella degli arrivi (nessuno). E in una stagione nella quale le inchieste hanno già prodotto cospicui danni politici, in una stagione amministrativa di “lacrime e sangue” nella quale gli enti diretti dai Democratici dovranno chiedere grandi sacrifici ai cittadini, il pericolo di deragliare definitivamente, sale al massimo livello. Non è certo la destra a fare paura, ma le notizie che parlano, in tutte le regioni rosse, di alleati di sinistra che viaggiano ormai sopra le due cifre, che sono in una continua e quasi inarrestabile crescita e che disegnano uno scenario nel quale il Pd diventa, da subito, un primis inter pares. E gli scenari nazionali non aiutano. Milano, tutti i sondaggi, portano dritti verso una strada chiamata sinistra, che i democratici, per costituzione, non possono scegliere e che, per tradizione, non possono rifiutare. Ma prima o poi la contraddizione andrà sciolta in un senso (Vendola e Di Pietro) o in un altro (Fini e Casini) e allora niente sarà più come prima. Siete curiosi? Volete sapere come va a finire? Io non lo so , chiedetelo a Mandrake! Ma faticherà anche lui a darvi una risposta.
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4 novembre 2010
di Darko Strelnikov
E’ cominciata la corsa al “dobbiamo cambiare”. Dopo l’apertura dell’inchiesta sulla sanità, si va
avanti a botte di richieste di autocritica, di buoni propositi per il futuro, di dichiarazione sulla necessità di “invertire la rotta e rompere con il passato”. Persino i sindacati, che hanno fatto del consociativismo la bandiera della loro presenza negli enti pubblici umbri, reclamano (ma con che coraggio senza mettersi in discussione?) il cambiamento. Insomma dalle parti del centrosinistra in generale e del Partito Democratico in particolare, c’è una specie di fuggi fuggi dalle responsabilità e di messa in onda del gioco delle tre scimmiette (non c’ero, non sapevo, non vedevo, non sentivo, non parlavo). Sembra quasi che molti abbiano vissuto in un mondo lontano anni luce dalla nostra regione. Invece erano qui e partecipavano attivamente alla gestione del sistema di Governo (o di potere se vi piace di più) creato nell’ultimo decennio ed ora sotto accusa. Chi, come me ed altri, ne parla da anni in termini politici, è stato spesso messo alla gogna, come eretico da sbattere sul rogo. Oggi, chi tappava gli orecchi, deve fare i conti con la dura “verità rivelata”. L’impressione però è che, ancora una volta, l’approccio non sia dei migliori e che si sia alle prese di posizione, ai riti di palazzo. Sembra che molti siano in attesa di tempi migliori, per poi gradatamente riprendere il lavoro : “da dove l’avevamo lasciato”. Non ci sono stati, infatti, segnali politici chiari di inversione di tendenza. Anzi, in alcuni casi (leggi la Presidenza della Vus), sono ricominciate le battaglie intestine. Ci si avvita su parole come “ trasparenza”, “merito”, “discontinuità”, che dicono tutto e non dicono niente. Persino l’opposizione sceglie strade per me sbagliate. Chiedere nuove regole per la nomina dei manager sanitari è aria fritta. L’esperienza insegna che più lacci si mettono, più si ingessano le norme, più si restringono le possibilità di opzione e più si creano le possibilità di fare “aborti”. Il punto è la modifica strutturale di un metodo e di una cultura, che è comune sia alla destra che ad una certa sinistra e cioè quella di privilegiare, negli incarichi, gli amici e gli amici degli amici. Unico requisito richiesto la fedeltà. Meglio se accompagnato da una scarsa capacità e intelligenza; cose che rendono più tranquillo il manovratore. Ma allora quali dovrebbero essere i segnali di cambiamento da mettere immediatamente in campo? Proverò ad elencarne qualcuno:1) Naturalmente le riforme. Riforme non aggiustamenti. Occorre un mezzo terremoto. Deve rimanere solo ciò che veramente serve ed essere cassato tutto quello (ed è tanto) che è inutile. Gran parte delle competenze oggi in mano ad un esercito di enti devono essere trasferite alle istituzioni elettive, anche per una questione di democrazia : sono le uniche il cui operato può essere giudicato dai cittadini. Niente nuove agenzie, via tutto l’intermedio, una sola Asl e va allargato il processo di accorpamento delle aziende pubbliche. Dopo quella dei trasporti ci vogliono quelle dei rifiuti e dell’acqua. Insomma un trend diverso, nel quale le nomine entrerebbero nel palmo delle due mani, costringendo tutti a fare in conti con la competenza, l’affidabilità e l’esperienza dei candidati.2) Le continue sconfitte elettorali, l’emergere di un sistema politico clientelare, deve imporre alla guida del centrosinistra una revisione dei rapporti interni. Il Partito Democratico è chiamato ad un bagno di umiltà e a rinunciare a fare la parte dell’asso pigliatutto e del dio- imperatore che decide ogni cosa. Il Pd ha in Umbria un potere che nessun altro partito, nemmeno il Pci, si è sognato di possedere. Ha tutte le principali presidenze, i sindaci delle città più grandi (dove non li ha è perché ha perso con il centrodestra o con altri), la maggioranza (spesso i 2/3 degli assessorati) nelle giunte, la conduzione dei Consigli. Invece di pensare, come ancora di salvezza, di allargare , ancora una volta, le sue alleanze verso l’Udc (che in questi giorni sta lanciando ponti d’oro alla Marini), condivida le responsabilità con gli attuali partners, costruisca un vero progetto comune di legislatura, impegnando tutte le istituzioni al raggiungimento degli obiettivi concordati. 3) Questo si porta dietro un altro processo da iniziare immediatamente : Il rinnovamento della classe dirigente. Qui mi tirerò dietro tutti gli strali possibili, ma, com’è mio costume, non mi sottrarrò ad esercitare il diritto di critica. E’ sotto gli occhi di tutti che, perlomeno negli ultimi 15 anni, si è assistito ad un graduale e costante peggioramento della qualità degli amministratori. Se non si riconosce questo dato è difficile produrre innovazioni per il futuro. C’è una discreta dose di incompetenza in giro, condita con qualche piccolo sorso di incapacità e di improvvisazione nella gestione della cosa pubblica, soprattutto nelle Giunte (non prendo in esame i Consigli, perché sono scatole vuote prive di poteri, che non incidono minimamente sulle scelte degli esecutivi). Questo, fra parentesi, ha reso sempre più difficile il lavoro dei Presidenti e dei sindaci eletti e li ha costretti ad assumersi in proprio, gran parte delle responsabilità dell’amministrazione. E’ l’effetto di una pratica che deve soddisfare gli orticelli delle formazioni minori e gli orti delle correnti dei democratici. Il primo correttivo da introdurre è quello di fare un accurato esame della situazione e prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di andare a rimpasti di Giunta in molti enti, mettendo dentro persone di riconosciuta capacità e dando maggiore fiducia ai giovani (se ci sono) che si sono veramente distinti nell’attività politica per spirito di servizio, che hanno già avuto esperienze pubbliche e che meritano, quindi, di essere messi alla prova. Non una rivoluzione, ma un cambiamento che dia un segnale preciso a tutta la società regionale e cioè che il merito e il rinnovamento vero (e non solo di anagrafe) diventano i principali se non gli unici criteri di scelta. 4) Fatto tutto questo abbiamo risolto? Ci abbiamo messo una pezza, una bella pezza. Perché manca ancora il futuro. Bisogna costruire meccanismi che aiutino la crescita di una nuova classe dirigente. La lancetta è già sul rosso. Le prossime elezioni amministrative testimoniano la grande difficoltà di tutte le forze politiche e dei poli a trovare candidati riconosciuti, popolari e competitivi. La generazione del 68 fa fatica a trovare sostituti. E allora ad Assisi spuntano riconferme e vecchi nomi, A Gubbio si brancola nel buio o si mettono in pista nomi di bandiera e a Città di Castello non si è ancora deciso se andare sull’usato sicuro (Bacchetta), su un dirigente di belle speranze (Biagini) o su un nome illustre che richiama la storia della nostra sinistra (Zaganelli). E, in questa confusione, il partito che soffre di più è il Pd, che scopre come le sue anime e i suoi dirigenti locali, non abbiano più il feeling di una volta con i cittadini. Per invertire questa tendenza le cose da fare sono due : una politica ed una istituzionale. I partiti debbono rivalorizzare e rivitalizzare le strutture di base, per rimettere in moto un meccanismo di confronto diretto sui problemi reali della gente e dare l’opportunità ad una nuova generazione di misurarsi sul campo con la politica delle cose e non dei palazzi. I comuni devono creare nei quartieri e nelle frazioni organismi di base, elettivi, senza compenso per i partecipanti, che costituiscano un ponte di congiunzione diretta tra l’amministrazione e i cittadini e, nel contempo, una utile palestra per decine e decine di persone, che così potranno iniziare a misurarsi su problemi, come gestione della cosa pubblica, bilancio, scelte. Tutto ciò perché la futura classe dirigente non si forma alle scuole di partito, che ci devono essere perché aiutano, ma alla scuola delle esperienze vissute sul terreno diretto, sul territorio, tra e con la gente, avendo come riferimento, una cosa ormai messa in soffitta, il bene comune. Per la serie, quando l’ovvietà diventa necessità.
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8 ottobre 2010
di Darko Strelnikov
Dice che tre indizi fanno una prova. Qui siano a quattro. L’inchiesta Sanità succede infatti a quelle che hanno colpito altri grandi enti della Regione (Provincia e Comune di Perugia, Comune di Terni). Naturalmente parliamo di prova riferita alla politica e non ai presunti illeciti, che riguardano le indagini, sulle quali noi poveri commentatori, dobbiamo, per onestà dei fatti, alzare le mani e aspettare che il lavoro della magistratura faccia il suo corso. Insomma è la prova (sempre politica) che il sistema Umbria non regge più, che i suoi meccanismi possono venire accusati, a torto o a ragione, in casi sempre più frequenti, di scarsa trasparenza. E la dirigente nell’occhio del ciclone, la signora Rosignoli, è un esempio lampante di questo modo di concepire la gestione della cosa pubblica. I suoi sostenitori istituzionali la volevano a dirigere l’Asl di Perugia (non è un mistero, basta riprendere le cronache dei giornali di quei giorni). Bocciata nel capoluogo, viene nominata a Foligno. E per la serie, se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto, Perugia viene trasferita a Foligno. Come? Spostando lì la struttura regionale centralizzata per gli acquisti della sanità. Bingo! Dei limiti, delle forzature e dei pericoli di questo sistema abbiamo parlato tante volte, ed è inutile tornarci sopra, ci annoieremmo tutti. Non regge, punto! E’ un dato politico acclarato e che quindi diamo per scontato. Quello che invece mi preme mettere in discussione è il come se ne esce e soprattutto se i protagonisti, l’attuale classe dirigente vuole uscirne o no. Se, più semplicemente, cerca una vera alternativa o prova solo a far vivere la sua “creatura” con mezzi diversi. Perché il punto non è solo il dimagrimento di enti, commissioni e incarichi vari, ma la fine di un sistema che tende a premiare gli “amici” per crearsi un solido seguito personale e ha poco interesse (anzi nessuno) a valutare il merito e la professionalità delle persone. Insomma la domanda è se, nei partiti, nella società civile, negli enti pubblici, si metteranno in campo iniziative e metodi di selezione che possano veramente dare spazio alle energie e ai cervelli migliori, in modo da costruire una nuova classe dirigente in grado di far uscire l’Umbria da questo declino, che sembra ormai inesorabile e, purtroppo, inarrestabile. Detto così, assomiglia tanto ad una cosa scontata, ma è invece una specie di rivoluzione, che se ne porta dietro un’altra. Il consenso si conquista sulla base della capacità di governo e di dare risposte alle domande dei cittadini e non più su logiche lobbistiche o di gruppo. In conclusione, con affermazioni lapalissiane, ma non di moda, stiamo disegnando la fine del sistema oligarchico, che da almeno 15 anni, sta governando questa regione. Per spezzare questa strozzatura ci vuole un cambio di cultura politica e il ritorno al prevalere dell’ interesse generale su quello personale e particolare. Ed è un mutamento che deve attraversare tutta la società, non solo le forze politiche. Perchè questo tipo di gestione “fiduciaria” non poteva certo reggere a lungo, senza le pratiche consociative di sindacati e associazioni varie e con una vera opposizione in campo. Le responsabilità vanno divise equamente. Conosco l’obiezione. Questa specie di rivoluzione non si può fare in un periodo nel quale le risorse sono pari a zero e bisogna combatte per salvare quel che ancora c’è di buono. Ma un detto afferma che “il giocatore si vede quando perde, a vincere son buoni tutti”. Cambiare cultura politica, significa anche cambiare metodo nella gestione di quello che si ha a disposizione. Si dice sempre “bisogna innovare”, bene non diciamolo, facciamolo. Un esempio per tutti e che va a fagiolo con quello che abbiamo detto. La voce di spesa più consistente è quella del personale. Dentro questa voce una bella fetta è destinata a decine e decine di dirigenti e di posizioni apicali. Lo sanno tutti, lo sa anche il “complice” principale il sindacato, che molte sono invenzioni, prebende, alchimie per allargare a dismisura la pletora degli incarichi. Se la Perugina Nestlè avesse cento dirigenti come la Regione sarebbe fallita da un pezzo. Allora, senza far del male a nessuno, si vuol fare un accordo regionale nel quale si dice che queste posizioni sono messe in esaurimento per 10 anni e che le necessità improrogabili di professionalità verranno ricoperte utilizzando le risorse interne o attraverso la mobilità tra enti? E ancora, si vuol scrivere su questo accordo che le consistenti risorse liberate verranno utilizzate per migliorare i servizi e per premiare quei dipendenti, di qualsiasi livello, che dimostrano capacità, spirito di iniziativa e competenza? Guardate che queste “invenzioni”, da qui in avanti, saranno un obbligo. Perché l’alternativa sono nuove tasse, l’aumento indiscriminato delle tariffe e la riduzione draconiana dei livelli attuali di servizio. Tutte cose che, come noto, fanno alzare il tetto della popolarità. E qui veniamo al punto. C’ è una volontà di questo genere? A occhio, non mi pare. Manca la materia prima, che non è quella umana, ma quella scientifica e soprattutto la volontà di voltare pagina. 1) In Umbria non si discute di niente. E peggio non si studia (fino agli anni 80 questo mestiere veniva praticato e sostenuto da chi comandava). Nessuno (salvo qualche isolato caso non identificabile però con gli addetti ai lavori), enti in testa, si è preso la briga di fare una seria analisi e di produrre proposte per un largo dibattito teso a trovare soluzioni. Non c’è uno studio che dica dove e quanto (tanto, poco?) si è sbagliato negli anni passati e quali sono le risorse sulle quali puntare per il futuro. Le formulette “green e new” economy, senza un reale riscontro, non alzano il pil. E comunque non si è aperto su questo nessun serio confronto; 2) La classe politica è sempre più interessata alle questioni interne che a quelle esterne. Quindi…. 3) Il tessuto economico tende a seguire la legge della sopravvivenza più che quella delle vie alternative per lo sviluppo. Per gli imprenditori la pubblica amministrazione resta una vacca da mungere (e sempre e rigorosamente con sistemi a pioggia), non un partner con il quale fare scelte selettive e ottimali. Purtroppo per tutti siamo in tempi nei quali le decisioni non possono essere rimandate, debbono essere prese. Come diceva Alberto Sordi? “Chi si ferma è perduto”.
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2 ottobre 2010
di Darko Strelnikov

Dichiarano di avere 17.000 iscritti. E saranno loro a votare ai prossimi congressi del Pd Umbro. La cifra dichiara la crisi di questo partito. Non solo perché si è lontani anni luce dai “bei tempi”, ma perché c’è una diminuzione secca e preoccupante rispetto all’anno precedente. Chi diceva che la disputa per le segreterie nazionali e regionali aveva “drogato” il dato degli aderenti, chi parlava di pacchi di tessere che viaggiavano dal centro alla periferia, molto probabilmente era nel giusto. Crisi di tesserati, ma, sembra anche crisi di voti. Mi hanno parlato di un sondaggio scorporato per regioni nel quale, nel cuore verde d’Italia, la differenza tra i democratici e il resto della coalizione di sinistra sarebbe minima. Insomma si sarebbe passati dai 2 voti degli alleati contro 5 del Pd, a quasi 1 a 1. Tuttavia questi segnali non sembrano destinati a produrre, perlomeno nell’immediato, effetti sugli equilibri politici. Continua, infatti, la concorrenzialità tra le varie anime del centrosinistra. Di unità manco a parlarne. L’effetto Vendola ha peggiorato le cose. La paura di una esplosione del fenomeno anche da noi, ha messo in moto una ricerca di strategie, tese a resistere e a circoscrivere i recenti successi “di popolo” del Governatore della Puglia a Perugia. A prima vista questo elemento potrebbe essere gradito anche al Pd. Ma non è proprio così. Il ciclone “Nicki” colpisce fa breccia in tutta la sinistra, ma soprattutto tra la gente del Pd, che viene dalla spoglie del Pci. E allora è su questa debolezza che provano ad inserirsi anche gli altri. La dirigenza locale dell’Idv, adesso, proviene dalle stesse origini. Paolo Brutti (più cautamente), ma soprattutto il nuovo segretario provinciale Alfredo Andreani pensano ad una strategia di attacco dentro e fuori le istituzioni. Vogliono presentarsi come una alternativa di sinistra, per togliere spazio ai vendoliani e giocare sulla loro stesso tavolo. I primo assaggi sui problemi infrastrutturali, sul cambiamento della legge elettorale ecc. si sono già visti. Discorso diverso per la Federazione della sinistra che invece persegue la linea del “buon alleato”. Una linea con una doppia veste. All’assalto sulle questioni nazionali e di collaborazione attiva su quelle regionali e locali. Su questo fronte va segnalato l’attivismo del neo assessore regionale Stefano Vinti, anche con iniziative interessanti e sicuramente da non disprezzare. Ma è una linea legata soprattutto al concetto di “sopravvivenza”. Lo si capisce dal fatto che sono i più cattivi nell’attacco a Vendola e ai Vendoliani locali. Alcuni la definiscono come una ossessione politica, una specie di “sindrome da orecchino”. Il tutto va poi condito con i problemi di convivenza tra Prc e Pcdi e con turbe e divisioni interne, mai sopite e che potrebbero farsi sentire in un prossimo futuro. Non è una sorpresa perchè è difficile trovare la quadra in una situazione nella quale altri (Sel e Idv) hanno occupato lo spazio di alternativa alla sinistra moderata. Non deve stupire quindi l’innaturale alleanza con i democratici, il cui ombrello, rappresenta un’ ancora di sicurezza e un guanto di sfida agli avversari di fascia. Anche perché questi, come dicevamo, stanno perseguendo una tattica di distinguo rispetto al quadro regionale. Dopo l’Idv anche Sel fa la voce critica. Bacchetta la Marini per l’accordo con la Polverini, presenta proposte dirompenti sulla sanità, si inserisce con forza nel dibattito sindacale e reclama spazi istituzionali che oggi non ha. Secondo i suoi dirigenti, le adesioni vanno a “gonfie vele”. La frase è sempre la stessa “oltre le più rosee previsioni”. Sul trend positivo non ci sono dubbi. Ma penso che ancora siano alle centinaia. Non è poco, ma non è neanche un boom. A ottobre terranno il loro primo congresso regionale e lì si capirà meglio se si tratta dell’ennesimo cespuglio a sinistra del Pd o di un fenomeno destinato a cambiare la geografia politica umbra. Il Pd, comunque, non sembra preoccuparsi di ciò che sta accadendo. Del resto, fino ad ora, è stato un partito senza discussioni. Non c’è stata una analisi delle sconfitte. Non è stata prodotta uno straccio di idea di come uscire dal declino e da questo stato di cose. Si continua con il gioco delle correnti e delle cordate. La designazione di un giovane, Andrea Rossi, alla segreteria provinciale di partito è una novità di pura facciata, anzi è stato un preciso segnale di continuità con questo andazzo. Il nome è stato presentato come il frutto di un accordo tra i leader del partito. Ma invece è stato l’oggetto dell’ennesima disputa tra e dentro le componenti. Addirittura sembra che questo accordo non sia piaciuto nemmeno Bersani. Raccontano che sull’ipotesi Rossi i suoi sostenitori umbri si sarebbero spaccati in due. Favorevoli Bottini, Mignini e Boccali, contrarie Lorenzetti e Marini. Alla fine il segretario regionale, tra lo stupore generale, avrebbe tirato diritto e benedetto l’accordo con i Popolari sul “ragazzo” di Spoleto. Ma la cosa avrà un seguito, non tumultuoso, ma un seguito. La sfida si sposta sui numeri. Se voteranno in pochi ci sarà chi parlerà di segretario dimezzato o “poco sentito”, se invece i circoli si riempiranno di iscritti sarà la prova provata che la scelta era quella giusta. Ma intanto, liti e contrasti a parte, quello che emerge è che l’attuale gruppo dirigente non ha ancora valide alternative. Forse perché non ci sono o forse perché la richiesta di cambiamento si incentra solo sulle persone e non sui progetti e sul tipo di gestione. I mugugni continuano ad essere tanti, ma la didascalia finale resta sempre la stessa : “E vissero tutti felici e scontenti”.
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23 settembre 2010
La nuova ed ennesima riforma endoregionale sta diventando una bella montagna da scalare. Non tanto per i
provvedimenti di compressione del vecchio sistema, quanto per le ripercussioni che questo può avere sugli equilibri della politica umbra. Siamo alla terza fase. La prima, quella dell’abbondanza, è stata caratterizzata da una espansione a pioggia degli enti ed incarichi, soprattutto a livello periferico. Qualcuno che si è divertito a contarli e tra piccoli e grandi il numero avrebbe raggiunto la cifra di qualche migliaio. Non so se la conta sia esatta, ma so che erano un botto. Poi la seconda fase, quella della scorsa legislatura, quando di fronte alle prime difficoltà finanziarie e all’impossibilità di sostenere questo mastodontico apparato, si è scelto di ridurlo, mantenendo in piedi i grandi incarichi (Asl, Comunità Montane, Ati ecc.) smantellando il piccolo cabotaggio (Consorzi, parchi, enti settoriali ecc.). Adesso siamo alla terza fase e la linea mi pare chiara. Bisogna rinunciare a gran parte delle diramazioni periferiche (un solo Ati, niente Comunità Montane, Probabilmente riduzione delle Asl ecc.). Rimarranno le strutture primarie. Cosa comporterà un simile cambiamento? Comporterà che le nomine, essendo centralizzate, potranno soddisfare le necessità del ceto politico che ruota attorno ai gruppi dirigenti regionali. Non ci sarà più, per la periferia, la possibilità di sistemare le proprie questioni interne,attraverso la distribuzione di altri incarichi, diversi da quelli in mano ai Comuni. La pressione sul centro, inevitabilmente, aumenterà e il bilancino sui territori, applicato a man bassa, sulla distribuzione delle poltrone delle Giunte provinciali e regionale,dovrà, probabilmente, essere applicato anche ad enti, aziende pubbliche e quanto fa potere. E non è un caso che la lista dei papabili alla direzione di queste nuove realtà istituzionali, si stia allungando e di brutto. Il pericolo è quello di un aumento della conflittualità politica tra centro e periferia. I vassalli locali, privati della possibilità di soddisfare gli appetiti dei loro valvassori e valvassini, faranno fatica a ricomporre un quadro di fedeltà alla loro leadership. Di conseguenza anche gli uomini di riferimento avranno le loro gatte da pelare con i loro referenti periferici. Eppure la nuova situazione potrebbe anche aprire scenari nuovi e più consoni ad un efficace governo dell’Umbria. La nostra regione, lo ripeto da tempo, ha un grande bisogno di centralismo. L’idea delle cento città ha portato a spinte disgregatrici, alla lotta tra territori, ad un sistema chiuso non dialogante. Una delle caratteristiche di questa linea che si è affermata negli ultimi 10 anni, è l’assalto al capoluogo, la sua relegazione ad un territorio qualsiasi. Anzi ad una zona di emarginazione. Le grandi infrastrutture sono state pensate lontano da Perugia. L’unica grande strada in costruzione è la statale 77 che porta da Foligno a Civitanova Marche, i progetti ferroviari sono fermi al raddoppio dell’Orte – Falconara via Foligno – Fossato di Vico, le piastre logistiche per lo stoccaggio delle merci riguardano Terni, Foligno e Città di Castello, le poche novità di innovazione industriale sostenute sono tutte ubicate nel centro – sud della regione e mi fermo qui. Il forzato accentramento delle competenze degli enti non elettivi può, quindi, costituire una occasione per una proficua inversione di tendenza. Ma saprà la nuova Giunta resistere alle campane e alle pressioni dei territori e produrre una politica che faccia ritrovare una unità di azione e che , soprattutto, ricostruisca uno spirito di appartenenza regionale, da tempo smarrito? L’Umbria più si accapiglia, più si divide e più diventa, per dirla alla Metternich, “un’espressione geografica”. L’epoca del cosiddetto Federalismo contiene il germe della semplificazione territoriale. Le regioni piccole vivono sull’orlo del baratro. Se poi risultano, come nel nostro caso, un consorzio di comuni divisi tra loro, sarà più facile sopprimerle, smembrarle in tanti pezzi e accorparle. I primi sintomi di questi pericoli si sono avuti già quest’anno, con la richiesta di abolizione delle province di Isernia e Matera, che avrebbe evidenziato l’inutilità di Basilicata e Molise. La necessità di cambiamento è quindi un fatto imperativo. Ma per vincere questa battaglia occorre che la riforma, qualunque essa sia, venga concepita come un taglio deciso con il passato. Non può e non deve essere letta come l’estremo mantenimento di un sistema di potere che, fra parentesi, fa ormai acqua da tutte le parti, ma come il punto di partenza di una nuova concezione regionalista. Quella che ha una visione unitaria della sua terra, che vive il suo capoluogo come elemento di riconoscimento e di aggregazione delle diversità, che punta a creare uno spirito forte di identità. E questo presuppone un altro passo decisivo, quello relativo alla formazione di un sistema delle autonomie, di una rete sussidiaria che è in grado di evidenziare le vere priorità, di unificare e rendere proficue tutte le risorse a disposizione, evitando di bruciarle in mille ed inutili rivoli. Si mi accorgo che sono scivolato sul politichese e allora mi spiego meglio. Basta con una scuola superiore in ogni comune, basta con gli ospedali di paese, basta con una superstrada per ogni territorio, basta con decine di aziende dei rifiuti e dell’acqua, basta con piani regolatori di Comuni vicini, simili e in concorrenza tra loro, basta con le mille zone industriali che di industriale hanno solo la pretesa, basta a “doppi servizi” che distano un metro dall’altro solo perché stanno in Comuni diversi ecc. Governare vuol dire affrontare questi nodi. E se la soluzione, come penso, è quella di centralizzare, Facciamolo e alla svelta. Del resto tra Terni e Città di Castello ci sono poco più di 100 km. Una distanza piccola che dovrebbe rendere più facile il Governo. Ma in Umbria le distanze sembrano invece abissali. E’ come se si fosse tornati all’epoca del somaro, quando per andare dal Pantano al mercato di Perugia, ci volevano 6 ore di tempo e arrivati ad una delle porte bisognava pagare il dazio, se no non si entrava. Una situazione (quella del dazio) che piacerebbe tanto a diversi nostri amministratori.
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