
di Christian Grasso
Le origini dell’Ordine templare sono in qualche modo legate al nome di Bernardo di Fontaine (1090-1153), primo abate del monastero cistercense di Clairvaux. Il ruolo da lui giocato nel Concilio di Troyes (13 gennaio 1129), durante il quale viene stilata la Regula latina del primo Ordine religioso-miltare, e la redazione dell’ormai celebre Liber ad milites Templi – De laude novae militiae hanno garantito a Bernardo il

Christian Grasso
diritto di essere considerato come uno degli artefici principali del successo dei cavalieri templari. E non c’è alcun dubbio che l’influenza di cui allora godeva l’abate di Clairvaux a livello politico ed ecclesiastico sia stata decisiva per la legittimazione storica e religiosa dei templari.
In effetti, Bernardo è stato l’unica personalità a esprimersi apertamente sul valore della missione a cui Ugo di Payens e il gruppo di cavalieri da lui guidato intendevano perseguire. Il magister della fraternitas templare, nata e legittimata in Oriente intorno al 1120, aveva però dovuto faticare non poco prima di trovare un interlocutore capace di dare una risposta concreta ai dubbi che attanagliavano i suoi seguaci e che probabilmente avevano un eco anche nell’opinione pubblica. Il punto delicato della proposta di Ugo di Payens era proprio quella di unire nella nuova figura del miles templare preghiera ed esercizio delle armi. Poteva un cavaliere che professava i voti di povertà, castità e obbedienza, e che nello stesso tempo ambiva a dare un valore spirituale al proprio impegno, combattere ed eventualmente uccidere? Questa, in sintesi, era la domanda che i primi templari si ponevano e ponevano alla società del tempo. Bernardo di Clairvaux non fu il solo ad esprimere la sua opinione in merito. Un certo e misterioso Hugo peccator, la cui identità è per gli stessi storici ancora un enigma (si tratta di Ugo di Payens o del canonico vittorino Ugo di San Vittore ?), e il monaco certosino Guigo I intervennero nella discussione redigendo delle lettere in cui declinavano la questione nell’ottica del combattimento spirituale con cui ogni cristiano è tenuto a confrontarsi per liberarsi dal male e dal peccato che si annida nel proprio intimo. Bernardo di Clairvaux, da parte sua, preferì affrontare il problema nella sua complessità inserendo la sua riflessione sul novus miles in una prospettiva nuova e, per certi aspetti, rivoluzionaria.
Il suo De laude novae militiae è certamente un testo finalizzato a presentare a un ampio pubblico la novità templare, formalmente riconosciuta dal Concilio di Troyes, ma è anche un exhortatorium sermo rivolto agli stessi milites del Tempio invitati a conformarsi ad un nuovo ideale di vita cavalleresca radicalmente diverso da quello rappresentato dalla militia saecularis. Scopo dell’opera di Bernardo non è perciò soltanto quello di legittimare ruolo e funzione della nuova cavalleria, ma anche quello di dotarlo di una precisa e convincente fisionomia spirituale. Di qui la complessità del De laude che per essere compreso va letto nella sua integralità.
Nella prima parte del suo trattato, Bernardo affronta con decisione le questioni per così dire più pratiche e delicate. In questo senso riprende e sviluppa la riflessione agostiniana sul bellum iustum, legando ai principi della bona causa e della recta intentio l’azione militare a cui il templare è chiamato a contribuire in vista della difesa della Terra Santa dall’aggressività dei musulmani. In tale contesto, volto a presentare il ricorso alla forza come legittimo se finalizzato ad un’azione difensiva, Bernardo ricorre a un linguaggio intessuto di riferimenti militari e citazioni bibliche desunte dall’Antico Testamento che si rivelano quasi come un’introduzione alla seconda e molto più lunga parte del De laude. In essa l’abate cistercense lascia ampio spazio all’interpretazione simbolica e allegorica dei nomi dei principali Luoghi Santi. La lettura di queste pagine, tanto suggestive quanto esigenti, è fondamentale se si vuole davvero valutare la prospettiva da cui Bernardo interpreta l’esperienza templare. Quello che, in effetti, egli vuole indicare è il cammino di conversione del novus miles che è invitato a vivere nell’imitazione del Cristo. Del resto, se Bernardo concede ai templari il titolo onorifico di milites Christi, fino ad allora riservato solo ai martiri e ai monaci impegnati nel cammino di perfezione cristiana, è proprio perché li considera come dei cavalieri che hanno assunto un impegno religioso formalizzato dai voti emessi e dall’impegno a vivere nell’obbedienza di una Regula (che egli chiama “disciplina”). Bernardo presenta ai templari la propria visione del monachesimo incentrata sulla carità fraterna, l’obbedienza e la povertà e ad essa incita a conformarsi. La lotta del templare è così, almeno dal suo punto di vista, indirizzata non solo verso i musulmani, ma anche contro i vizi e i peccati che ostruiscono la via verso la santità. Queste due diverse prospettive sono complementari nel De laude, che gioca molto sui due registri di lettura, quello letterale e quello simbolico. Un esempio in tal senso celebre è relativo al neologismo coniato da Bernardo di malecidium, che è appunto l’uccisione del nemico (fisico) in quanto figura del Male.
Molte sono, come si può intuire, le suggestioni e gli spunti che la lettura del De laude è in grado di offrire. Si tratta di un testo che è certamente complesso anche in conseguenza della proposta che nasconde, che è in definitiva quella di unire l’ideale del cavaliere alla vocazione del monaco. Tale complessità non deve tuttavia scoraggiare. Anzi, deve essere una ragione in più per confrontarsi con un testo e un autore capaci di sorprendere e delle volte anche di interrogare.
E per coloro che volessero impegnarsi in tale sfida di lettura e di comprensione ci sia – infine – consentito indicare un piccolo ma prezioso volume edito da un fine conoscitore dell’abate cistercense, Jean Leclercq (San Bernardo e lo spirito cistercense),che in poche ma ricche pagine riesce a rendere più agevole l’incontro con l’autore del De laude novae militiae.