La Chiesa, spalancando le sue porte, ha voluto facilitare l’ingresso di chi era fuori senza pensare che, così facendo, facilitava l’uscita di chi era dentro. Dobbiamo fare i conti con un drastico ridimensionamento del numero dei credenti, un vistoso calo delle vocazioni e, quel che è peggio, un indebolimento del senso religioso sostituito da un comune pensiero negativo, una viscida umidità che nella comunità sociale, credente o meno, oscilla tra il ridicolo ed il diabolico. In materia di fede i numeri hanno un’importanza relativa (è l’individuo, la persona che conta nel rapporto metafisico.
Dio conta fino a uno!) non così la religione, in cui la matematica assume valenza preponderante, non come elemento di sola statistica ma soprattutto come sostegno al progetto di evangelizzazione e diffusione del messaggio cristiano. In un tempo di complessità della società come l’attuale, il tema religioso non solo non è avvertito come prioritario, non è proprio avvertito come problema. Sono altri gli argomenti che s’impongono: economia, immigrazione, terrorismo. Dio può attendere! Le ragioni del nostro deragliamento spirituale (beninteso non spiritistico, in quanto le pratiche occultistiche, con annesse superstizioni vengono comunque praticate con assoluta pervicacia) non possono occupare questa mia semplice riflessione, ma interessa, però, sottolineare come la pedagogia cattolica, perennemente divisa tra un’ardita fuga in avanti a distruggere l’inautentico e l’inattuale ed un arroccamento improduttivo a difesa di quanto lasciato in eredità dalla tradizione liturgico-pastorale precedente, ha come risultato di creare una confusione manifesta tra i credenti e un vago senso di appagamento tra coloro che non professano una fede ma coltivano la flebile speranza di avere torto. Ciò che rimane è uno spaesamento come quando si siano persi i punti di riferimento di un orizzonte conosciuto anche se temuto. Sacerdoti senza abito, attività catechistica svolta da volenterosi talora improvvisatisi maestri, chiese costantemente chiuse (che manco gli uffici pubblici), vescovi impegnati in una imprecisata attività “sociale” e che fraintendono il pulpito una sorta di personalissima tribuna elettorale, liturgie sciatte e confusionarie dove risulta impossibile trovare raccoglimento e riflessione. In particolare la messa festiva è divenuta una sorta di frastornante tripudio di musica improvvisata, colonna sonora di un rito ormai frainteso: perduto lo spirito del “memoriale” ci si attiene al prontuario della comunità in festa con battimani, schitarrate e tamburate caotiche. Forse sarebbe meglio la domenica, fare una gita fuori porta con la famiglia o una visita al museo! Questa deriva epocale è segno dei tempi, non certamente causa della crisi etica, spirituale e valoriale che ha contagiato tutto l’Occidente (di cultura e tradizione giudeo-cristiana) la quale crisi invece trae la sua origine da una incontrollata fede nel progresso tecnico, da una filosofia di vita diffidente delle ricette antiche in cui veniva imposto un limite al potere dell’uomo e dove l’universo creato imponeva una gerarchia previdente e provvidente. Il risultato è che non solo non serve più adottare un linguaggio cristiano comprensibile al mondo, ma nemmeno adattare il cristianesimo al mondo. E quindi avanti con l’illusione che il multiculturalismo sia la società futura, che l’accoglienza sia il sostituto dell’identità, che l’indifferentismo sia rispetto dell’altro, che il contrario di “verità” sia un’altra verità: per timore di ottenere risposte sgradevoli evitiamo di porre domande ed è così che definiamo difficile ciò che sarebbe invece facile. Non è che la mentalità moderna neghi l’esistenza di Dio è che non riesce a dare un senso alla parola.
MASSIMO CAPACCIOLA
Tag: capacciola, cattolicesimo, chiesa, cristiani, massimo, messa, rito
27 dicembre 2016 alle 22:12 |
Gita fuori porta ? Perché non andare da Sua Santità Papa Francesco a porre alcune domande visto che ci ha imposto di togliere il reato di clandestinità in Italia, conservandolo però in Vaticano?
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